Sorge Oscurità Maggiore 19: La Solitudine di Ezechiel Giller
Zec guardò per la quarta volta
l’orologio al polso. La professoressa Noxon li aveva tenuti “in ostaggio” quasi
due ore oltre l’orario di scuola perché i lavori di chiusura dell’allestimento
del musical procedessero spediti e mantenessero una tabella di marcia che
accorciasse i tempi. E avevano ancora altri quattro pomeriggi da passare così.
«Sono quasi le sei» bofonchiò, tormentando
gli spallacci dello zaino sopra le maniche della giacca.
Il pensiero andò subito a sua madre:
anche se la loro amica Kathryn – una donna che conosceva in pratica da quando
era nato – lo aiutava durante gli orari di scuola e adesso che era impegnato
con il club di teatro, Zec non si sentiva tranquillo a restarle tanto lontano.
Il suo esaurimento era in una fase migliore rispetto i due anni passati, ma non
si poteva mai sapere. Ogni giorno era diverso, ognuno pesante da affrontare, e
lui sapeva che più tardava a rincasare, più l’ansia tormentava sua mamma,
innescando un circolo pericoloso. Non voleva essere causa di un problema per la
sua salute, però aveva bisogno di parlare con i suoi amici.
Era una decisione su cui aveva
rimuginato tutto il tempo dei lavori di sistemazione delle scene e degli
oggetti dello spettacolo, non erano stati accoppiati per nessuna mansione e si
erano rivolti la parola a malapena, non solo quel pomeriggio, ma dalla seduta
di gruppo con Hart Wyngarde. Non andava bene.
Zec sospettava che le strane
insinuazioni che gli aveva rivolto il Consulente Wyngarde e che lo avevano
turbato e fatto dubitare della sua vita, non erano un trattamento riservato
solo a lui. Era successo qualcosa anche agli altri in quell’incontro. Sapevano
di Billy e del suo sentirsi in colpa per la scelta presa da Elliott, ma ognuno
ignorava cosa avesse fatto l’uomo per renderli tanto restii a confidarsi gli
uni con gli altri.
Così Zec aveva deciso di attenderli
all’ingresso del liceo, finito il loro compito con il club si sarebbero
incrociati e a costo di forzarli, avrebbero avuto un confronto. Però era trascorsa
mezz’ora e non era ancora passato nessuno di loro. Aveva incrociato solo cinque
o sei membri del club di teatro e tutti impegnati nel suo stesso gruppetto di
lavoro.
Sollevò la testa dal quadrante al polso
e scorse Dylan Derreck procedere nel corridoio verso di lui.
«Ehi cosa ci fai ancora qui?» gli disse
alzando la mano destra in cenno di saluto.
«Sto aspettando i miei amici.»
«Mi sa che ti hanno dato buca. Non è
rimasto più nessuno dei club e dei corsi extrascolastici.»
Zec lo fissò diffidente. «Perché sei
ancora qui, allora? Non fai parte del club di teatro e di nessun altro.»
Dylan gli sorrise. «Ho parecchio tempo
libero e mi piace girovagare.»
Lo fissò incerto. Non era più parte del
branco di Kate e dal giorno del test di ammissione al college finito male non
lo aveva più visto in compagnia dei suoi ex-alleati, però c’era qualcosa nel
suo atteggiamento che non lo convinceva.
«Sei sicuro che Billy, Betty o qualcuno
degli altri non sia ancora qui intorno?»
Dylan sollevò la mano sinistra e disegnò
una croce sul petto, all’altezza del cuore. «Lo giuro solennemente.»
Zec ignorò il tono sarcastico, ma rimase
amareggiato dal comportamento degli amici. Non si erano preoccupati di
assicurarsi che anche qualcuno tra loro fosse già andato via. Nemmeno il suo
ragazzo lo aveva cercato almeno per avvertirlo che tornava a casa per conto
suo. Era l’unico a voler mantenere compatto il loro gruppo, provando a contrastare
qualunque piano avesse messo in atto Hart-Oscurità Maggiore.
«Se vuoi, posso darti un passaggio io.»
Dylan si scostò dalla fronte il ciuffo di capelli che svettava tra quelli più
corti. «Prometto di comportarmi da gentiluomo.»
«Tanto so difendermi da solo» replicò
Zec. Pensò che a quel punto tanto valeva andarsene e dato il ritardo accumulato
inutilmente, poteva anche accettare l’offerta. Non aveva voglia di fare il
tragitto da solo. «D’accordo. Grazie.»
Dylan sfoderò il suo abituale sorriso
malizioso e gli passò il braccio destro intorno alle spalle. Più vicini di
quanto intendesse Zec, oltrepassarono le porte d’ingresso del liceo,
attraversarono una parte del cortile interno, raggiungendo il parcheggio sulla
destra.
Una volta montati sulla Jeep del ragazzo,
Zec si sedette al lato del passeggero e lo guardò posizionarsi al volante. «Per
arrivare a casa mia ti conviene pre…»
«Tranquillo, conosco la strada.» Dylan
girò la chiave nel quadro comandi, mise in moto e superò le strisce che
delimitavano il posteggio.
«Non so se essere lusingato o
preoccupato» gli rispose. «Visti i tuoi precedenti, potrei pensare tu mi stia
stalkerando.»
«Oh, sei in vena di complimenti.
Comunque non sono quel tipo di persona, anche se ammetto che se trovo qualcuno
che mi interessa, non mi arrendo al primo rifiuto.»
Zec rimase zitto, preferì non cedere a
quel suo tentativo di flirtare. Mentre Dylan guidava tranquillo, portandoli
fuori dal parcheggio della scuola e procedendo poi sulla strada, gli tornò in
mente la conversazione con Hart Wyngarde. Essere l’oggetto delle attenzioni di
un ragazzo non era così spiacevole. Per lui era anche la prima volta, dato che
Billy non era stato molto esplicito nel conquistarlo. E a differenza di lui,
non c’era il rischio che Dylan scomparisse nel nulla.
«Come è stato cambiare totalmente vita?»
gli chiese d’impulso. Ricordando che in un certo senso, anche lui aveva
comunque annullato la sua esistenza. «Fingersi morto, scomparire, far perdere
le tracce… insomma ripartire da zero.»
«Liberatorio.» Dylan girò di poco il
viso per guardarlo. «Hai intenzione di lasciare Dorms a breve?»
«No, niente del genere. Ero solo
curioso. Non credo ne sarei mai capace.»
«Perché?»
Zec sospirò. «Mollare tutto e buttarmi
alla cieca nel vuoto, senza sapere dove andare, o cosa mi aspetta non fa per
me. E poi non potrei lasciare sola mia madre, ha troppo bisogno di me e le
spezzerei il cuore.»
«Deve essere bello avere un genitore a
cui tenere e che tiene a te.» Dylan riportò lo sguardo sulla strada e si fece
serio. «Mia madre è morta di malattia un anno dopo la mia nascita, non la
ricordo affatto. Mio padre ha preferito buttarsi nell’alcool, invece che
crescere me e anche lui è morto qualche anno dopo. I miei vari genitori
affidatari non hanno mai voluto veramente badare a un bambino, ti risparmio il
racconto delle mie disavventure, ma non sento di appartenere a nessuna
famiglia.»
Zec lo fissò intristito. Lo aveva
giudicato un ragazzo a cui non frega nulla se non di se stesso, però aveva alle
spalle una storia davvero dolorosa. Non gli parve più strano che avesse scelto la
fuga come soluzione. «Mi dispiace.»
«Non devi. Io sono contento così.» Dylan
distese di nuovo le labbra in un sorriso più sincero rispetto a poco prima.
«Come ti ho detto: la mia libertà è la mia forza. Per te è diverso.»
«Già, sono così attaccato a mia mamma,
al mio ragazzo, ai miei amici, perfino a mia sorella nonostante tutto quello
che ha combinato.» Zec emise un risolino nervoso. «Vorrei essere forte e invece
dipendo dagli altri. Sono patetico.»
«Niente affatto. E nemmeno debole.
Aprirsi tanto agli altri è segno di forza, ti metti a rischio a costo di essere
ferito.»
Zec lo osservò parlare e gli parve di
sentire ancora una volta Hart Wyngarde. «E se avessi paura anche io? Così tanta
da spingermi a fare qualcosa di… orribile per non perdere chi amo?»
Dylan si strinse nelle spalle. «Non ci
vedo niente di male. Combattere per qualcuno o qualcosa a cui tieni non deve
farti vergognare, nemmeno se ti spinge oltre i tuoi limiti. L’importante è che
ne valga la pena.»
Era proprio questo ciò su cui Zec
iniziava a dubitare. Abbassò gli occhi sullo zaino che teneva in grembo e
ripensò all’anno passato, a quando con il suo gruppo avevano avuto le prime
incomprensioni. La reazione di tutti era stata quella di dividersi, poi avevano
risolto i loro problemi, affrontando qualcosa di enorme come l’istituto
psichiatrico, ma sempre più spesso erano divisi sulle decisioni importanti. In
verità ognuno procedeva per conto suo e solo dopo un po’ si confidava con gli
altri. Come potevano dirsi uniti se al primo cambiamento che scuoteva la loro
normalità si richiudevano a riccio, fino a evitarsi.
La prova l’aveva avuta anche quel
pomeriggio. Aveva sacrificato qualcosa per lui importante e a nessuno di loro
importava. Lo avevano lasciato da solo.
L’auto si fermò.
Zec alzò il capo e guardò furori dal
finestrino. La Jeep era parcheggiata a pochi passi dal vialetto della sua
abitazione.
«Per quanto mi riguarda, questo lato di
te ti rende ancora più attraente.»
Zec si girò a ribattere e Dylan lo
sorprese: le sue labbra si posarono sulle sue, le loro lingue si sfiorarono e
poi l’altro ragazzo si ritrasse concludendo quel bacio fugace.
«Non avresti dovuto» disse sollevando lo
zaino come una barriera tra loro.
Dylan scosse la testa. «Non farti venire
inutili paranoie. È stato solo un bacio. E anche se ti è piaciuto, non hai
tradito il tuo Billy.»
«Forse… però avresti dovuto chiedermi se lo volevo.» Zec aprì la
portiera.
Dylan gli prese gentilmente la mano.
«Scusa. La prossima volta lo farò. E se hai bisogno di compagnia, di sentirti
meno solo, io sono a tua disposizione. Lo sarò sempre. Non ti abbandonerò,
qualunque decisione prenderai o azione compirai.»
Zec si fermò, mentre l’aria fresca della
sera lo accarezzava. La frescura era piacevole, rigenerante, proprio come lo
era stato passare quei minuti in compagnia di Dylan. Poi uscì dall’abitacolo e
si sistemò lo zaino su una spalla.
«Grazie. Per tutto» gli disse.
Dylan gli fece l’occhiolino. «Sempre a
tua disposizione.»
Zec chiuse la portiera e lo osservò
ripartire. Guardandolo allontanarsi, avvertì crescere la convinzione diversa da
quando era partito da scuola.
Hart Wyngarde e Dylan avevano ragione.
Non c’era nulla di sbagliato in lui. E se per non sentirsi più escluso e tenere
chi amava vicino doveva usare maniere forti, era arrivato il momento di
cominciare a farlo.
Continua…?
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