lunedì 18 settembre 2023

Adolescenza sulla Bocca dell'Inferno - Puntata 42

 

Il Gioco del Branco 6: Non Puoi Reprimere l’Inferno


Frugando all’interno dell’armadietto, alla ricerca del libro di matematica, Donovan udì il fastidioso sussurrare, divenuto una costante nell’ultima settimana. Infilò la testa ancora più a fondo e represse l’impulso di urlare.

Lui e i suoi amici erano stati riammessi al liceo poco dopo l’inizio del nuovo anno, dopo la loro vacanza forzata al Reicdleyen e nell’Inferno di Dana e avevano trovato ad attenderli ogni genere di pettegolezzi sul perché fossero stati rinchiusi nell’istituto psichiatrico e quali cure avessero ricevuto. Nonostante la sorella di Zec avesse mantenuto la parola, spingendo tutti a credere a un loro rilascio per sanità mentale, la permanenza in quel luogo era ancora fonte di sguardi curiosi e derisori, risolini soffocati e un irritante brusio di sottofondo.
Per quanto nei primi due giorni avesse cercato di fare finta di nulla, ormai giunto al quinto giorno Donovan lo trovava insopportabile.
«Un po’ strambi lo sono sempre stati» udì spifferare qualcuno alle sue spalle.
«Molto più di un po’» commentò un altro. «E sono anche pericolosi, sono successi un sacco di incidenti l’anno scorso e loro erano sempre coinvolti.»
«Vuoi dire… responsabili…»
Donovan afferrò il primo libro a caso, lo mise di furia nello zaino e chiuse l’armadietto sbattendo l’anta fragorosamente. Si voltò e fece in tempo a notare tre ragazzi allontanarsi dal corridoio a passo spedito.
«È tutto a posto?» Betty arrivò al suo fianco, come se fosse comparsa dal nulla. «Sembri stanco.»
«Sì, cioè no… insomma, non li sopporto più» rispose.
La ragazza gli prese la mano destra nella sua. «Lo so, ma passerà, sai come funziona qui a scuola, presto ci sarà un nuovo argomento e noi diventeremo storia antica.»
«Non mi dà fastidio che parlino di noi» ammise. «Sono tutte le cavolate che si inventano a mandarmi in bestia. O le supposizioni senza sapere la verità.»
«Per questo si chiamano pettegolezzi e comunque non potremmo raccontare la verità» disse Betty con un sorriso. «Non pensarci, godiamoci la pausa pranzo. Gli altri ci aspettano in mensa.»
Donovan fece una smorfia insofferente. «Non possiamo continuare a mangiare in cortile?»
«Abbiamo aspettato anche troppo.»
«Là dentro saremmo esposti in modo esagerato.»
«E all’esterno sembriamo colpevoli» replicò tirandolo per il braccio destro.
Donovan sospirò insoddisfatto, ma la seguì per le scale, verso la mensa.
Davanti alle doppie porte spalancate, individuò Michelle, Billy e Zec ad aspettarli. L’accordo era di entrare in gruppo e non dare ascolto a qualsiasi tentativo di provocarli.
Donovan dubitava di riuscire a trattenersi.
Si mossero in fila, afferrarono il vassoio e andarono dall’inserviente incaricata di servire le portate nelle teglie.
Il brusio iniziò non appena vennero riconosciuti.
Donovan si concentrò sul cibo davanti a sé, per niente invitante. Scelse nuggets di pollo, patatine fritte, budino al cioccolato e una lattina di Coca-Cola. Betty gli fu subito accanto, reggendo nel suo vassoio un piatto di piselli e anche lei i nuggets e una bottiglietta d’acqua.
«Andiamo verso il fondo, ci sarà di sicuro un tavolo libero» gli disse.
Prima che si muovessero, alcuni ragazzi sollevarono la testa dai piatti e fu il turno degli sguardi. Indagatori, beffardi, giudicanti.
«Ehi, di qua c’è posto» fece Zec, indicando con il capo alla loro sinistra. Billy gli era vicino e anche il loro pranzo era simile a quello scelto da lui.
«Eccoli! Eccoli!» sussurrò una voce maschile.
«Potevano continuare a non presentarsi» sibilò una femminile.
«Shh! Non sappiamo cosa possono fare se perdono la calma» li ammonì un altro ragazzo.
Donovan deglutì a fatica e strinse con le dita il vassoio. Quando furono al tavolo e lo posò, le sue nocche erano bianche. Lasciò cadere lo zaino ai suoi piedi e tirò la sedia sotto il sedere.
Michelle arrivò per ultima e si sedette di fronte a lui. Il suo vassoio era il più zeppo. «Stai bene? Sembri sul punto di soffocare.»
Lui si sforzò di sorridere e disse solo: «Mangiamo.»
«Betty, devi aiutarmi con storia» fece Zec, fingendo di ignorare i commenti intorno a loro. «Mi sono perso durante la spiegazione e non ho finito di prendere appunti.»
«Anche io» intervenne Billy.
Al suo fianco, Betty posò la forchetta nel piatto e tirò la borsa a tracolla sulle ginocchia. Fece scorrere la cerniera e pescò un quaderno rosso con una spirale. «Vi posso dare i miei appunti, ma mi servono entro venerdì.»
Donovan apprezzò il loro tentativo di avere una conversazione normale, anzi voleva rilassarsi a tutti costi. Poi i suoi occhi scorsero il libro di matematica nella borsa della sua ragazza e gli venne un dubbio. Lasciò cadere la forchetta nel piatto, raccolse da terra lo zaino e lo aprì frenetico. «Merda!» imprecò.
«Cosa c’è?» domandò Betty.
«Ho preso il libro sbagliato dall’armadietto. Questo è di letteratura, a me serve quello di matematica per l’ultima ora.»
«Non è un problema» rispose Michelle, pulendosi con un tovagliolino le labbra sporche di ketchup.
«Abbiamo tutto il tempo, finito di mangiare, di tornare a prenderlo» disse Billy, parlando al plurale.
Donovan scosse la testa arrabbiato. «Non è questo il punto. Prima mi hanno distratto le solite chiacchiere, se stessero zitti e ci lasciassero in pace, non mi sarei confuso.» Parlò di proposito a un volume più alto del necessario.
Betty gli massaggiò il braccio. «Tranquillo, non è… un problema» ripeté.
«Continuate a dirlo, ma è chiaro che è un problema» sbottò. «Ma non è nostro, non abbiamo fatto nulla di male.»
Di fronte a lui, in mezzo agli altri due amici, Zec si sporse in avanti.«Hai ragione. Però se cedi hanno vinto loro.»
«Lo so» ribatté Donovan. «È tutto così frus…»
«Che succede qui?» domandò un ragazzo alto, asiatico con ciocche di capelli scuri tenute a punta dal gel. Indossava la tuta rossa della squadra di basket e intorno aveva cinque compagni con lo stesso abbigliamento.
«Niente che ti riguarda, Aiden» rispose Billy.
Aiden lo ignorò. «Il club dei pazzoidi sta per dare di matto?»
Gli altri membri della squadra di basket scoppiarono a ridere.
Loro lo fissarono seri. Donovan serrando la mascella.
«Cavoli, vi hanno proprio lobotomizzato al Reicdleyen» continuò divertito. «“Pazzoidi”, “dare di matto”, non capite la batt…»
Donovan scattò in piedi come una furia e gli assestò un pugno sotto il mento, facendolo sbilanciare e  mandandolo contro due ragazzi dietro di lui.
Dopo i primi attimi di sorpresa, Aiden si staccò con veemenza dai compagni.
Si lanciò su di lui, Donovan cadde con la schiena sul tavolo e una fitta atroce si diffuse su tutta la spina dorsale; spinto dal peso del corpo dell’atleta sopra il suo, scivolò sulla superficie. I vassoi finirono sul pavimento in una pioggia di nuggets di pollo e contorni misti, mentre Aiden prese a sferrargli pugni al volto.
«Basta! Smettila!» udì gridare Betty.
Seppur intontito dal dolore alla faccia, Donovan riuscì a parare un colpo e intravide Billy e Zec afferrare Aiden per le spalle e cercare di toglierglielo di dosso. Mosso dalla rabbia, gli rifilò una ginocchiata in pieno stomaco. Aiden gemette e provò a colpirlo all’occhio con un nuovo pugno, ma lui si scostò in tempo e le nocche dell’altro si scontrarono sul legno plastificato del tavolo.
Aiden lanciò un urlo e fissandolo in volto, Donovan intravide le sue pupille diventare gialle e qualcosa di lungo e affilato spuntare dalle gengive. Durò solo un istante.
«Cosa state facendo laggiù?» urlò la voce del coach Adams.
I compagni di squadra di Aiden, rimasti a guardarli divertiti,  si unirono a Zec e Billy, affrettandosi  a separarlo da lui. Aiutato poi da Betty e Michelle, Donovan tornò a fissare il suo avversario, ma non notò nessun tratto atipico nel suo volto.   
«Non riuscite neanche a mangiare come delle persone normali? Dovete azzuffarvi come bestie!» li aggredì l’uomo dopo averli raggiunti.
Intorno a loro si formò un capannello di studenti, ma nessuno osò fiatare.
Sorretto dalle amiche, Donovan vide Aiden tenersi la pancia con smorfie doloranti. Provò a sorridere, ma avvertì una fitta alle guance e sotto l’occhio destro.
«Ha cominciato lui» disse Michelle, puntando l’indice sinistro contro Aiden.
«Non mi interessa» rispose il coach Adams. Squadrò sia lui che l’altro ragazzo e aggiunse: «Cheung, spera di essere a posto per l’allenamento di oggi pomeriggio. Brennon, cerca altri modi per sfogarti. Portateli in infermeria e ringraziate che non ho ancora pranzato, o vi trascinavo personalmente dal preside.»
Donovan aprì la bocca per ribattere, ma Betty scosse con fermezza la testa e così rimase zitto. Si lasciò prendere sotto il braccio da Billy, che reggeva già il suo zaino e si avviò con lui nel corridoio, sentendo Aiden e un altro membro della squadra di basket procedere dietro di loro.
«Che ti è preso? Era solo una stupida battuta» gli sussurrò Billy.
«Io… non so…mi dispiace» riuscì a sibilare.
 

Donovan e Aiden rimasero in silenzio, seduti su due brandine uno di fronte all’altro per il resto della durata della pausa pranzo.

A quanto pare la nostra salute non è una priorità dell’infermiera pensò Donovan. Si guardò intorno nello stanzino dalle pareti azzurro sporco, con un unico armadio chiuso a chiave, accorgendosi solo in quel momento della borsa sportiva dell’altro ai piedi della brandina. Tra un asciugamano e un paio di scarpe da ginnastica, la copertina del volume di matematica risaltò, quasi chiamandolo. Quel libro lo stava perseguitando. D’istinto si piegò e lo afferrò, sfogliandolo.
«Che cavolo fai?» sbottò Aiden.
«Calmo, sto solo dando un’occhiata, all’ultima ora ho lezione di matematica» rispose. La sua attenzione fu catturata dalle pagine degli esercizi: erano tutte completate ed erano solo all’inizio dell’anno scolastico. Arrivò fino al termine del volume e scoprì che aveva anche già eseguito le simulazioni dei test finali e il punteggio era il massimo. Sollevò lo sguardo e disse: «Non sei solo un atleta spaccone, sei un piccolo genio.»
Aiden gli strappò di mano il libro e lo buttò nella borsa. «Fatti gli affari tuoi.»
«Ehi! Ti stavo facendo un complimento. Scommetto che te la cavi bene anche nelle altre materie.»
«Stai zitto!»
«Non c’è niente di male, anzi con il tuo quoziente intellettivo potrai entrare in qualsiasi college vuoi. Inoltre potresti smettere di frequentare quei cretini della squadra, non hai bisogno di loro.»
«Fa’ silenzio!» replicò l’altro, ma questa volta suonò come un ringhio.
Donovan lo guardò stupito. «Non capisco perché ti arrabbi tanto. Se avessi le tue capacità io… aspetta, i tuoi cosiddetti amici non lo sanno, vero?»
Aiden sibilò trai denti. «Mi stai minacciando?»
Donovan aggrottò la fronte. «Cosa? Niente affatto. Perché dovrei? Però non capisco perché uno intelligente come te perde tempo a fare cavolate con quelli come loro. Prima ti sei voluto mettere in mostra con loro con quella battuta, ma era troppo stupida per uno come te.»
Aiden saltò giù dalla brandina. «Non sai niente di me, non parlarmi come se mi conoscessi. Faccio quello che mi pare e sto con chi mi pare.»
«Certo, meglio essere bullo che bullizzato» commentò. «Non sarò super intelligente ma lo capisco anche io: mantieni il segreto per non essere emarginato.»
L’altro ragazzo fu scosso da un fremito. «Non hai… idea della fatica… della pressione…» ansimò tra una parola e l’altra e inarcò la schiena in avanti. «Fingere sempre… reprimere chi sei… veramente!» 
Donovan si alzò a sua volta. «Cosa ti prende? Non stai bene?»
Aiden ringhiò. Si piegò all’indietro e rivelò il suo cambiamento. Gli occhi erano assottigliati e con le iridi gialle; le orecchie divenute a punta; dalla bocca spalancata si vedevano una coppia di zanne superiori e una di inferiori; i capelli modellati dal gel erano allungati e arruffati; ciuffi di pelo erano cresciuti dal fondo delle bassette.
«Sei un licantropo!» esclamò Donovan.
Aiden ringhiò ancora, più forte e dalle mani aperte spuntarono artigli per ogni dito. Si voltò sbavando e ruggì contro di lui.
Donovan scivolò all’indietro, perdendo l’equilibrio e si ritrovò seduto sul pavimento.       
Billy corse all’interno come un fulmine, brandendo un coltello e parandosi tra lui e Aiden.
Aiden annusò l’aria tra loro. Si mise a quattro zampe e balzò fuori dall’infermeria.
Billy si piegò e lo aiutò a rimettersi in piedi. «Stai bene?»
«Sì, ma come sapevi cosa stava per succedere?»
«Il mio senso del soprannaturale è tornato e ho avvertito il pericolo» gli rispose. Infilò il coltello in tasca. «Per fortuna il mio nascondiglio delle armi non è stato scoperto.»
Donovan guardò l’esterno della stanza ancora sconvolto. «Dovremmo rincorrerlo?» Poi si bloccò con la bocca aperta.
Una giovane donna di poco più di venti anni, fece capolino dalla porta. «Brennon e Cheung mi stavano aspettando» disse osservandoli.
Donovan non riuscì a crederci. L’infermiera della scuola era Kate, la stessa dell’istituto psichiatrico.

 

 

Continua…?