CAPITOLO 62
Fuggire dal passato
Non appena
arrivò a casa, Sara chiuse la porta con una doppia mandata, si diresse nella
sua stanza, lasciò cadere lo zaino sul pavimento e si buttò sul letto.
Non aveva voglia
di pranzare. Per farlo, doveva andare in
cucina e passare davanti a quella che un tempo era stata la camera di Leonardo.
Ora, in seguito all’incantesimo della memoria, era diventata lo studio del
padre. Per quanto l’arredamento fosse diverso, lei continuava a ricordare la
stanza con il suo vecchio aspetto e il segreto di quel dolore le toglieva la
voglia di mangiare.
Sospirò e si
mise a sedere sulla coperta. Anche stare lì a far nulla la innervosiva. Aprì la
cerniera dello zaino e pescò al suo interno il Registro. Rimase pochi secondi a
fissare il nome scritto sulla copertina: Sayka.
«Basta con i
dubbi» disse. «Non posso cambiare il passato e sono stufa di averne paura. Per
affrontarlo, devo conoscerlo.»
Si voltò, scostò
una ciocca di capelli scuri dalla guancia, aprì il Registro sul cuscino e si
distese a pancia in giù a leggere.
Registro dell’Ordine n. 00335
La Divisione Ricerca e Addestramento dei
mezzo demoni riporta il ritrovo e le informazioni ricavate dopo
l’identificazione del soggetto: Sayka.
Anni dal Primo al Quattordicesimo
La mezzo demone Sayka è la più pericolosa
tra i mezzo demoni che la Divisione Ricerca e Addestramento ha mai rintracciato
nel corso degli anni di servizio per l’Ordine.
Per via della sua discendenza paterna di
origine demoniaca, le notizie sulla nascita e crescita della mezzo demone ci
sono pervenute solo in tarda età, quando ormai diventata una giovane donna di quattordici
anni, è entrata in contatto con un gruppo di esseri umani del villaggio di cui
fa parte la madre umana, ed è stata proprio la donna la fonte da cui riportiamo
tali informazioni.
La madre di Sayka ha raccontato ai membri
della Divisione Ricerca e Addestramento, richiamati nel villaggio dopo
l’attacco della figlia, come le aveva dato la vita.
Era poco più di una ragazzina quando apprese
dell’esistenza dei demoni e sua madre e suo padre la misero in guardia sui
pericoli che quegli esseri mostruosi rappresentavano. Poco tempo dopo, un
gruppo di quegli stessi mostri assaltò
il villaggio, rendendola orfana. Dopo la morte dei genitori, nessuno si prese
cura di lei. Crebbe da sola, con le sue forze e imparò presto che gli uomini
potevano essere malvagi, violenti e senza pietà proprio come i demoni.
Iniziò a interessarsi alle arti magiche
oscure, alchimia e negromanzia, provando a riportare in vita i suoi genitori,
gli unici affetti che aveva mai avuto. Furono queste pratiche che attirarono le
attenzioni di un demone e non uno qualunque, ma il Re DiKann in persona.
Non ha raccontato nei particolari come ci
riuscì, ma DiKann la ammaliò: quando lui le domandava qualcosa, lei non
riusciva a resistergli, era come sotto un incantesimo. Per di più, le promise
di esaudire il suo desiderio se solo si fosse concessa a lui.
La donna accettò, rimase incinta del Re
demone e fu protetta dai suoi sottoposti durante tutta la durata della
gravidanza. Quando nacque una bimba, DiKann la prese con sé e la portò nel suo
regno: il Primo Inferno. La donna lo pregò di lasciare la figlia con lei, o di
portarla con lui affinché la crescessero insieme. Lui in riposta le fece ritrovare i genitori
nella casa in cui era nata e cresciuta, dicendole che aveva saldato il suo
debito: d’ora in avanti non avrebbero più avuto nulla che li legasse e le
risparmiava la vita solo perché aveva adempiuto in modo esemplare al suo
compito.
Per quattordici lunghi anni, non ha più
visto né il demone, né la figlia avuta da lui, fino a quando lei ricomparve nel
villaggio, assetata di sangue senza niente che potesse ricordarle la creatura
innocente che aveva generato.
«Non serve che
continui a leggere. Posso raccontarti io quello che successe dopo.»
Sara scattò in
piedi, facendo scivolare il fascicolo sul pavimento. Qualcuno aveva parlato. La
stessa voce che aveva sentito in classe il giorno della simulazione della prova
d’esame.
«Chi sei? Cosa
vuoi?» gridò, girandosi a destra e a sinistra, cercandolo nella stanza vuota. «Fatti
vedere!»
La figura evanescente
dalla pelle grigia comparve sulla soglia della camera, sorridendo. «La
principessa ha ritrovato il suo temperamento.» Sospeso a mezz’aria, il giovane
uomo con il labbro inferiore spaccato e i capelli appiccicati al volto, si
spostò come un fulmine, ritrovandosi a pochi passi da lei. «Abitavo in quel
villaggio, quando arrivasti dal Primo Inferno. Fui il primo che uccidesti, te
l’ho già detto.»
Sara stava per
ribattere, ma qualcosa si risvegliò nei suoi ricordi. Erano immagini fugaci e
confuse. Si rivide all’ingresso di un luogo circondato da un recinto di legno,
a brandire un coltello che infilava con foga nel petto di quello stesso uomo che aveva di fronte. Lui
moriva davanti ai suoi occhi e lei ne era compiaciuta.
«No» sussurrò.
«Sì. Non hai
bisogno di vederlo scritto. Stai ricordando che mostro eri» le rispose con
sguardo furioso. «E come premio per i tuoi omicidi, ti è stata concessa una
nuova vita. Ma non ti permetteremo di viverla in pace. Devi ricordare ogni
istante di ciò di cui sei colpevole.»
Sara mosse un
passo verso di lui, facendosi coraggio. «Io… so che chiedere scusa è inutile. E
non cerco perdono, ma…»
«Nessuno di noi
vuole dartelo.»
«Voi?» domandò,
accorgendosi che era la seconda volta che palava al plurale. «A chi altro ti
riferisci?»
«A tutte le tue
vittime» rispose una voce femminile. Un donna dai capelli lunghi che le
cadevano sulle spalle, con la stessa pelle grigia dell’altro essere e un lungo
vestito pieno di macchie, era apparsa dietro alla sedia della sua scrivania.
«Il massacro che hai compiuto al tuo villaggio natale era solo l’inizio. Lo
definisti il tuo “battesimo del sangue”. Ne seguirono altri. Per divertimento,
o per ripagare torti di cui non eravamo colpevoli.»
«Non posso
rimediare a quello che ha fatto Sayka» gridò con il fiato mozzato. «Non sono
lei, perché volete perseguitarmi?»
«Qui la vittima
non sei tu» replicò la donna.
«Siamo noi a
pretendere vendetta» disse il giovane uomo. «Siamo morti senza colpa e non
possiamo lasciarti impunita!»
Le due figure
grigie le si avvicinarono minacciose. Sara indietreggiò terrorizzata e sentì il
legno duro del suo armadio bloccarle la schiena. Non poteva fuggire e altri
spettri come i due che avanzavano, potevano comparire da un momento all’altro.
«Finirò quello
che ho iniziato» la minacciò il giovane uomo con un ghigno. Allungò le braccia
verso il suo collo, imitato dalla donna al fianco.
«No!» urlò Sara.
«Non è colpa mia!»
Desiderò con
tutta se stessa di andarsene. Il vento caldo e la luce abbagliante del
teletrasporto accorsero in suo aiuto, trasportandola dove si sentiva al sicuro.
Sara aprì
debolmente gli occhi e si ritrovò distesa su un divano.
«Ben svegliata»
la salutò Patrick Molina, sporgendosi sopra la sua testa. «Ti senti meglio?»
«Dove sono? Cosa
è successo?» chiese confusa.
«Sei comparsa
nel mio salone e sei svenuta» spiegò Patrick. «Non sei ferita, ma ho
l’impressione che tu fossi in fuga. Da qualcosa o da qualcuno?»
Sara si mise a
sedere. «Non saprei spiegarlo bene neanche io.»
Lui prese posto
accanto a lei. «Su, forza. Raccontami tutto. Sai che puoi parlare liberamente
con me.»
Era vero. Sara
era a suo agio con Patrick come non lo era con nessun altro da diverso tempo.
Espirò profondamente. «Angelo Moser ci ha consegnato dei fascicoli che ci
riguardano. Dentro è trascritta la storia delle nostre identità del passato»
iniziò a raccontare. «Mentre leggevo i primi anni di vita di Sayka, due figure
sono comparse nella mia camera. Erano grigie e assomigliavano a spiriti. Erano
vittime di Sayka, persone che aveva ucciso. O farei meglio a dire che io ho ucciso.»
«Ne abbiamo già
parlato» intervenne Patrick. «Chi eri e chi sei, sono due persone diverse.»
«Forse. Ma per
loro non fa alcuna differenza. Volevano aggredirmi, probabilmente uccidermi per
pareggiare i conti.»
«Ne sei proprio
sicura? Magari ti sei solo fatta suggestionare da quello che hai letto.»
Sara scosse la
testa. «No. A un certo punto ho ricordato Come io, cioè Sayka ha ucciso uno di
loro.» La voce le si ruppe in singhiozzi e iniziò a piangere. «È stato orribile.
Sono davvero colpevole. E hanno detto che non sono i soli ad avercela con me.
Ce ne sono altri, verranno per tormentarmi e per vendicarsi.»
«Non
preoccuparti. Troverò il modo di aiutarti.»
Sara capì che
cercava di consolarla, ma non riusciva a credergli. Non c’era modo per
risolvere quella situazione. Era maledetta e condannata. Più si ripeteva quelle
parole, più sentiva i singhiozzi scuoterla.
Patrick la colse
di sorpresa. Privatosi dei guanti di pelle, l’abbracciò, la strinse con
dolcezza, massaggiandole la nuca con fare protettivo.
Sara si lasciò
avvolgere dalle sue braccia e si aggrappò con le dita a quelle della mano di
Patrick, come se fosse la sua unica ancora per non sprofondare in quel mare di
disperazione.
Appena le dita
di Sara sfiorarono la sua pelle, Patrick vide se stesso nell’ingresso di un
edificio sconosciuto. Sembrava un grande grattacielo. Kaspar De Santi gli era
di fronte e annuiva serio.
“Posso stare
tranquillo?” si sentì chiedere all’altro uomo. “Mi chiamerai se ci fosse un cambiamento
nella sua situazione?”
“Certo. Ti
avviserò alla prima novità” gli rispose Kaspar.
Seguì con lo
sguardo l’altro sé che usciva dall’edificio. Entrambi erano all’esterno e notò
sulla porta a vetri alle sue spalle la scritta C.E.N.T.R.O. Tornò a guardarsi e
dopo aver compiuto un paio di passi, scoprì che l’latro sé aveva alzato la testa
per fissare il cielo, da cui iniziarono a cadere candidi fiocchi di neve.
Patrick ritornò
nel presente, nel suo corpo e lasciò la presa intorno a quello di Sara.
«Cercherò un
modo per evitare che tu abbia ancora queste visite sgradite. Oppure troverò
come insegnarti a respingerli» disse alzandosi in piedi e ricoprendo le mani
con i guanti. Fece ricorso a tutta la sua
forza di volontà per apparire disinvolto. «Ora però è meglio che torni a casa e
ti rilassi. Ti chiamo un taxi.»
Sara si asciugò
le lacrime con il dorso delle mani. «Non ce ne è bisogno» ripose. «Posso
teletrasportarmi.»
«Sei sicura? Non
sverrai un’altra volta?»
«Non succederà»
gli rispose con un sorriso. «Mi sento bene. Parlare con te mi fa stare meglio.
Scusami ancora per il disturbo. E grazie.»
«Sei sempre la
benvenuta» replicò, abbozzando un sorriso.
Lei si alzò in
piedi e Patrick rimase a fissarla mentre ricorreva al suo potere e abbandonava
la casa. Si accasciò sul divano ora
libero, tenendosi la testa tra le mani. Aveva toccato Sara per la seconda volta
e di nuovo aveva avuto una visione inspiegabile.
«Prima quel
ragazzo di nome Leonardo che conosce il Ritus
e oggi questo »sbottò confuso.
Ripensò alle
immagini che erano entrate a forza nella sua testa e anche se non trovava un
nesso con ciò che aveva visto in precedenza, si rese conto che c’era qualcosa di
familiare. Quasi due mesi prima, infatti, si era ritrovato sotto la neve, fuori
da un edificio con il nome C.E.N.T.R.O. senza capire perché fosse stato lì. Ora
sapeva di esserci andato per accompagnare qualcuno di cui aspettava notizie.
«Chiunque sia
questa persona, deve essere importante» disse Patrick.
Aveva bisogno di
risposte e sapeva a chi rivolgersi. Per quanto la sua fiducia in lui fosse
diminuita, accettò l’idea di dover avere un incontro con Kaspar al più presto. Anche
se sospettava che lo aspettasse un guaio più grande.
Continua…