Sorge Oscurità Maggiore 18: Punti di rottura (2°parte)
Donovan si voltò di scatto e camminò rapido
nel corridoio, allontanandosi dalla stanza dei costumi.
Era riuscito a eludere il controllo
della professoressa Noxon per poter parlare con Betty e se l’era ritrovata
davanti abbracciata a Kenny Wood.
Si bloccò. Perché stava scappando? Non
era lui quello in torto. Betty rifiutava di condividere con lui quello che la
turbava ed evitava in ogni modo che lui la toccasse. Problemi che non aveva con
Kenny. Doveva tornare indietro e pretendere delle spiegazioni.
“Tanto
sarebbe colpa mia” pensò. Come gli aveva fatto notare Hart
Wyngarde, era un pessimo soggetto, anzi peggio: non abbastanza cattivo e non
abbastanza buono, il tentativo mal riuscito di essere… qualcosa che non era. E
comunque gli avrebbero rinfacciato ancora una volta che la situazione era
degenerata a causa sua.
Attese di sentire la voce di Betty che
lo chiamava, aspettandosi che anche lei volesse un confronto, ma c’era solo
silenzio.
Esalò uno sbuffo d’aria dalle narici,
scuotendo la testa e riprese a camminare. Non aveva voglia di tornare sul
palcoscenico a occuparsi di smontare le scenografie e non intendeva parlare con
altri ragazzi. Così, arrivato in auditorium, osservò la professoressa di
spalle, con attenzione sgattaiolò rapido verso la porta antipanico che dava sul
cortile e uscì all’esterno.
L’aria ancora fredda di marzo lo colpì e
Donovan si strinse nelle braccia coperte dalla camicia, proseguendo fino a
raggiungere una delle lastre di pietra del muretto sul lato posteriore
dell’istituto.
Di certo, se avesse scelto di affrontare
Betty sul suo strano comportamento con lui, la sua ragazza avrebbe tirato in
ballo di nuovo Anika e non aveva voglia di ascoltare quella storia per
l’ennesima volta. Si sentiva già abbastanza in colpa.
«Il solito furbetto, ma ti ho beccato»
fece Chas, incrociando le braccia sul petto, coperto da un maglione lilla.
Donovan sollevò il capo e la fissò.
«Senti, non è un buon momento.»
«E lo dici a me? Sono un’artista, un’attrice,
non un operaio della manovalanza. Questo genere di lavoro spetterebbe a gente…
come te.»
Donovan non aveva la voglia e le energie
per ribattere. Si strinse nelle spalle e si sedette sulla lastra di pietra.
Chas lo guardò sorpresa. «Nessuna risposta
sarcastica? O battuta sul mio ego?»
Lui fece di nuovo spallucce.
L’espressione sul viso di Chas mutò.
Perse la sua abituale sfacciataggine e come del trucco lavato via, lasciò
l’immagine di un volto nuovo, naturale. Mostrò uno sguardo serio, meno
altezzoso, le labbra si rilassarono e chiese: «Posso rimanere?»
«Come vuoi.»
Chas andò verso la lastra e si sedette
accanto a lui. «Volevo ringraziarti. Il giorno in cui quell’essere ha ucciso Aiden, hai cercato di
proteggermi, ti sei preoccupato per me. È stato strano… ma bello.»
Donovan emise un grugnito simile a una
mezza risata. «Già, “strano, ma bello” è
il miglior complimento che potessi ricevere.»
«Autocommiserazione? Non me l’aspettavo
da te.»
Lui si girò a guardarla. Il tono non era
sprezzante o derisorio. Più che altro meravigliato e… dispiaciuto. «Come mai?»
«Mi hai sempre dato l’idea di uno sicuro
di sé.» Chas si sciolse i capelli biondi legati in una coda alta e li lasciò
liberi di coprirle le spalle. «Ma forse era una maschera.»
«A quanto pare avete tutti opinioni
precise su di me» replicò piccato.
«Non volevo offenderti, se sei di
cattivo umore e ti scoccio, posso andarmene.»
Donovan la guardò di nuovo. Ancora una
volta rimase sconcertato da quella versione di lei. Nella sua voce non c’era nulla di aggressivo, era
gentile, non si stava prendendo gioco di lui. Era impreparato a interagire in
quel modo, non seppe cosa risponderle, così riabbassò lo sguardo e rimase
zitto.
Dopo qualche istante di silenzio, Chas
disse: «Sai, in un certo senso anche io ho indossato e indosso una maschera. È
parte del segreto che ho dovuto condividere per entrare nel branco di Kate.»
«Quella storia è finita, non sei
obbligata a raccontarmelo.»
«Lo so, ma voglio farlo.» Chas abbozzò
un sorriso e continuò: «Ho due sorelle maggiori e sono sempre stata quella meno
interessante. Ogni cosa che facevo, loro due l’avevano fatta prima di me e
meglio. Così in famiglia, con i parenti e fin dalle elementari con gli amici,
passavo quasi inosservata. E non mi piaceva, volevo anche io le attenzioni che
avevano loro. Poi osservando gli altri ho visto come si mentivano davanti alla
faccia per poi essere sinceri alle spalle. E così ho sfruttato questa
debolezza. Prendevo queste informazioni e le ingigantivo, creavo bugie
abbastanza credibili e le riferivo all’interessato di turno. Finivano con il fidarsi
di me. Diventavo interessante, qualcuno da avere sempre intorno.»
«Se ho capito bene è una specie di
manipolazione» disse Donovan, inarcando un sopracciglio. «Piuttosto
cervellotico e non ne andrei fiera.»
Chas sospirò. «Non è questo il punto.
All’inizio pensavo bastasse solo con qualcuno ogni tanto, ma poi mi resi conto
che mentire era l’unico modo per essere benvoluta. Se mettevo una contro l’altra
le persone, ero io quella da non scartare. Non è un vanto, ma non avevo altro
modo per ottenere quello che volevo.»
Donovan
rifletté. Si chiese se in fondo non aveva fatto lo stesso anche lui. Come gli
aveva fatto notare Hart Wyngarde, aveva nascosto e modificato il suo
comportamento per non passare per il poco di buono che girava filmini spinti,
di nascosto con la ragazza che gli piaceva, dopo averla conquistata
convincendola di essere interessante con un atteggiamento da finto sbruffone.
«Scusami tu, non credo di essere il più
indicato a giudicarti. Probabilmente sono un bugiardo anche io, solo meno
credibile.»
«Sono tutti bugiardi» gli rispose Chas.
«Nessuno è completamente sincero, nessuno è mai veramente se stesso. A volte è
l’unico modo che hai per difenderti. Come faceva Aiden.»
«Intendi la storia di fingersi un atleta
stupido, quando in realtà aveva un gran cervello?»
Chas annuì. «Aiden pensava fosse
qualcosa da nascondere perché non sarebbe stato accettato, secondo me era un
qualcosa che lo rendeva ancora più attraente, e me ne ero accorta prima ancora
che lo condividesse per diventare parte del branco di Kate. A dirla tutta è la
ragione principale per cui ho accettato la proposta di farne parte anche io,
più della promessa dei poteri sul canto, era un modo per avvicinarlo, stargli
accanto.»
Donovan le posò la mano destra sulla
spalla.. «Avevi più di una cotta per lui… mi dispiace ti abbia trattato in modo
orribile.»
«Ormai non importa più. Forse, se invece
che venire fuori in quel modo, avessi avuto il coraggio di provare a
conquistarlo, pesino dichiararmi apertamente…» la voce le si ruppe.
«Scusami, non volevo farti tornare
triste» le disse stringendole con gentilezza la spalla.
Chas chiuse gli occhi e inghiottì il
magone. «Scusa tu, volevo tirarti su il morale e ho finito ancora per esser il
centro della conversazione.» Sollevò le palpebre e lo guardò in volto. «Non me
lo aspettavo, ma è facile parlare con te… riesco a essere sincera…»
«È buffo, Betty non riesce a farlo.»
«Non è colpa tua.»
«Non lo so, non ne sono così sicuro.»
Chas si sporse in avanti, stringendosi
ancora di più a lui. «Forse dovresti capire se è la ragazza giusta, se vale
tutto il tuo impegno per far funzionare la relazione.»
«Magari hai ragione. Con tutto quello
che ci succede, sprecare il tempo dietro a qualcuno che non ti vuole è un
peccato.»
Chas gli sfiorò la guancia sinistra con
la mano. «Sì, meglio vivere il momento.»
Il tocco di lei fece provare a Donovan
una scossa di piacere. Era diverso da come lo aveva toccato Betty. E non
ricordava più che sensazioni le faceva provare.
«Niente rimpianti» disse.
«Al diavolo i rimpianti» replicò Chas.
Donovan le passò la mano sinistra tra i lunghi
capelli biondi, posandola sulla nuca, attirandola a sé. Lei gli cinse il collo
con il braccio sinistro.
Si lasciarono trasportare da quell’istante
di libertà e desiderio.
Le labbra di Donovan si posarono su
quelle di Chas e lei le accolse. Il gesto delicato fu invaso dalla passione e
le loro lingue si intrecciarono con foga, godendosi quel bacio improvviso.
Continua…?
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