lunedì 31 luglio 2023

Adolescenza sulla Bocca dell'Inferno - Puntata 39

Il Gioco del Branco 3: Una Chiamata per l’Inferno

 

«Noi usciremo da qui» disse Billy.

Nell’affollato refettorio dell’istituto Reicdleyen, la sua voce poteva perdersi nella miriade di lamenti, chiacchiere e versi dei vari internati riuniti per il pranzo, ma Zec la udì forte e chiaro. E ne fu felice.
Era la prima volta che il suo ragazzo riprendeva a parlare dopo mesi e aveva scelto l’occasione migliore: per i pasti riuscivano a riunirsi tutti più o meno vicini in un grande tavolo, tra loro c’erano altri ospiti, ma la maggior parte li ignoravano.
Zec passò in rassegna i volti degli amici: di fronte a lui Michelle rimase a bocca aperta; a un posto di distanza da lei Betty sgranò gli occhi dietro le lenti degli occhiali; Donovan, seduto dal suo stesso lato del tavolo, si sporse in avanti per superare il ragazzo che aveva vicino e guardò Billy di traverso.
Lui, che gli era a fianco, sentì le sue labbra piegarsi in un sorriso. Non era più catatonico, mangiava e progettava qualcosa: tutti segnali positivi
«Allora, ti sei ripreso?» chiese titubante Betty. «Ieri pomeriggio sembravi… ecco ancora assente, ma adesso…»
«Ho avuto una chiacchierata rivelatrice» rispose Billy sorridente. «Non so bene come, ma mi ha sbloccato. Ovviamente i dottori mi hanno fatto delle domande e diversi esami durante la mattina, ma non mi hanno detto nulla sugli esiti.»
Donovan si stese quasi sul tavolo per riuscire a vederlo bene. «Quindi è tutto merito di quella tipa di ieri? La misteriosa signorina che ti conosce, anche se non esiti?»
Billy annuì. «È un’amica di Elliott e anche mia. Rivederla mi ha scosso… in un certo senso… e dato la spinta a tornare lucido. Mi ha spronato a reagire e a tornare a vivere.»
«È stupendo» esclamò Zec. Più del desiderio di uscire da quel posto, aveva sperato di trovare un modo per aiutare il suo ragazzo a riprendersi, ma senza arrivare ad alcuna soluzione. Ora non gli interessava sapere cosa lo avesse risvegliato, gli importava solo che fosse tornato.
Michelle giocherellò con la crosta del pane del sandwich nel piatto. «E possiamo sapere con precisione perché proprio questa persona ha avuto questo effetto su di te?»
«Non saprei spiegarlo con precisione. È come se avesse sbloccato una parte del passato di Elliott in me. Magari quando saremo fuori di qui potremmo indagare più a fondo» disse Billy. «Ci siamo rimasti fin troppo. E poi dobbiamo cercare il mio corpo, cioè quello di Elliott. È scomparso dall’ospedale.»
«Lo sapevo già» fece Betty. «Vi avrei avvisato adesso a pranzo. Ieri è venuto a farmi visita Kenny, me lo ha rivelato lui e dice che è scomparsa anche la Falce.»
Zec la guardò dubbioso. «Pensi sia vero?»
Betty aprì la bocca per rispondere, quando la ragazza tra lei e Michelle emise un verso di fastidio, poi lanciò il piatto in aria e saltò in piedi sulla panca. Due inservienti arrivarono di corsa alle loro spalle, mentre il piatto s’infrangeva sul pavimento, e presero la ragazza di peso. La tirarono giù e la trascinarono via dal refettorio.
Michelle scivolò al fianco di Betty e lei rispose: «Non aveva ragione di mentire, anzi sperava sapessi dirgli io dove cercarla.»  
«Una ragione in più per accelerare la nostra uscita» ribadì Billy.
Michelle sospirò. «È più facile a dirsi: da quando siamo entrati i miei poteri e quelli di Zec sono bloccati.»
Zec annuì. «Già, sarà per colpa delle medicine, o qualcos’altro in questa struttura che li annulla. Anche perché, se ci avete fatto caso, da quando ci siamo, qui dentro non è successo nulla di soprannaturale.»
«E poi ci sono quelli lì: ci seguono dovunque, tranne che in bagno. Specialmente l’infermiera Kate» concluse Michelle, facendo un cenno con il mento oltre le loro spalle.
Zec voltò di poco il collo all’indietro. Il corpo infermieristico era piuttosto scrupoloso con tutti, ma in effetti sembravano avere un attenzione speciale per il loro gruppo.
Billy guardò a sua volta gli infermieri e poi tornò a rivolgersi a loro. «Troveremo di sicuro un modo, abbiamo affrontato di peggio e insieme su…»
«Non ti credo» lo interruppe Donovan.
Zec e gli altri tre amici lo fissarono sbalorditi.
«È inutile che fate quelle facce. Chi ci dice che è sincero? Insomma, tre mesi fa voleva uccidersi-barra- suicidarsi, ci ha fatti rinchiudere in manicomio ed è rimasto catatonico tutto il tempo. E ora? Puf  rincontra una vecchia amica ed è tornato tutto come prima? Come sappiamo che non tenterà di nuovo di ammazzasi appena saremo fuori?»
«Che domanda stupida» replicò Zec arrabbiato. «Ora sta bene e si vede che non intende rifarlo.»
Billy gli sfiorò gentilmente la mano destra. «No, ha ragione. Capisco perché voglia una garanzia. Come faccio a  convincerti?»
Donovan lo guardò serio. «Fai un programma a lungo termine. Qui dicono che se non hai intenti suicidi, fai progetti per il futuro. Dimmene uno.»
«D’accordo.» Billy ci rifletté un paio di minuti e poi disse: «Prendiamo l’impegno di uscire tutti insieme per Halloween, tra due mesi. Andremo a una festa e ci travestiremo da X-Men.»
Gli occhi di tutti loro si spostarono ancora una volta su Donovan.
«Ok, ti credo» rispose lui e sorrise compiaciuto. «Adesso qualcuno ha una vera idea per andarcene?»   
Zec sospirò esasperato. Donovan era fatto così: cambiava atteggiamento nel tempo di un battito di ciglia.
«Io avrei una proposta» intervenne timidamente Michelle. «C’è una persona che possiamo contattare e può aiutarci a venirne fuori: Dana.»
«Mia sorella?» fece Zec. Non sapeva se prenderla sul ridere o infuriarsi. «Scherzi, vero? Ci ha lasciato nei guai nella camera di Elliott all’ospedale e non si è mai fatta vedere per tutto questo tempo.»
Billy intervenne di nuovo a calmarlo. «Però è l’unica nostra possibilità. Pensaci: voi siete senza poteri, non c’è nessun altro disposto ad aiutarci con una semplice telefonata, o che ci creda sulla parola e abbia i mezzi per farci uscire.»
«Ma non possiamo chiamarla, non ho il cellulare che mi aveva dato, me lo hanno requisito il giorno che ci hanno trascinato dall’ospedale a qui per il ricovero.»
«Io so dov’è» rispose Betty. «È in una stanza al pianterreno, dove tengono gli effetti personali dei degenti.»   
Donovan spinse indietro il suo vicino di panca, che non reagì. «Ottimo. Ci serve solo un buon diversivo per riprenderci il cellulare, poi basterà una cantatina e saremo liberi.»
Zec era contrario a quel piano, guardò Billy in volto, sperando capisse le sue remore. Ma incontrò il suo timido sorriso e lo sguardo fiducioso, l’espressione con cui in passato lo aveva sempre convinto che anche la più assurda delle idee poteva avere successo.
«Ok. Come volete.» Sospirò rassegnato e capitolò. Non era proprio capace di resistergli.
 

Il piano era semplice, forse fin troppo secondo l’opinione di Zec.

Durante l’ora di ricreazione sarebbero stati di nuovo tutti riuniti nella stessa stanza, proprio al pianterreno. Sistemati nelle rispettive postazioni, che occupavano quasi abitualmente, attesero il momento propizio per agire. Betty aveva suggerito di aspettare l’inizio dell’ora delle viste, gli inservienti avrebbero avuto più da fare nel controllare visitatori e residenti dell’istituto ed era più facile sfuggire alla loro sorveglianza.
Come sempre, Zec dovette ammettere che l’amica aveva avuto una pensata geniale.
Seduto nella poltrona, vide i primi ragazzi venir accompagnati ai tavoli per gli incontri con gli esterni, spostò lo sguardo e la osservò scostarsi la coda di cavallo sopra la spalla destra, il segnale che toccava a Michelle fare la sua mossa.
La ragazza annuì. Si alzò in piedi, si mosse in avanti e barcollò in modo poco convincente a destra e a sinistra. Zec dubitò fosse in grado di recitare la sua parte, poi la vide accasciarsi a terra e stringersi in una posizione fetale e mugolare: «Sto male… sto male…» e dovette ricredersi.
Una coppia di infermieri maschio e femmina le si avvicinarono di corsa.
«Che cosa succede?» chiese lui.
«Cosa ti senti?» domandò lei, accovacciandosi al suo fianco.
«Ma non vedete? È la solita commedia» esclamò Betty, balzando in piedi dalla sedia. «Per questa ogni scusa è buona per cercare di farsi dare altro cibo» aggiunse e si avvicinò minacciosa ai due infermieri e a Michelle.
Il maschio le si parò davanti. «Ehi, ferma lì! Ce ne occupiamo noi.»
«Aiutatemi, mi fa male la pancia… ho i crampi allo stomaco» si lamentò Michelle.
«Visto? È solo una senza fondo che vuole mangiare, mangiare e mangiare ancora.»
L’infermiera femmina alzò lo sguardo verso il collega. «Dovremmo portarla in infermeria: è la procedura.»
L’infermiera Kate sopraggiunse all’improvviso. «Cosa sta succedendo? Qual è il problema?»
Betty le si buttò addosso. «Non è giusto, quella lì fa tante scene e ottiene quello che vuole! Anche io voglio qualcosa in più degli altri!»
L’infermiere maschio l’afferrò per le spalle e la scostò bruscamente da Kate. Vedendola ancora disorientata, Betty fece un lieve cenno con la testa.
Zec lo colse all’istante e si spostò dalla scena senza essere notato. Billy e Donovan si mossero furtivamente al suo fianco, e mentre Betty e Michelle urlavano la loro sceneggiata, uscirono dal salone indisturbati.
«Dobbiamo andare sempre dritto per questo corridoio» disse Zec ai due compagni. Poi si fermò di colpo a pochi passi dalla reception. «Merda! Ci siamo dimenticati un dettaglio importante.»
«Cosa?» domandò Donovan sulle spine.
«La porta della stanza dove tengono la roba sarà chiusa a chiave e non abbiamo nulla per forzarla.»
Billy guardò davanti a sé. «Vuol dire che improvviseremo.»    
«Cosa vu… »
L’altro corse in avanti, raggiunse l’abitacolo con l’infermiere e fermandosi di fronte a lui, gli sorrise  e lo salutò con il palmo aperto. L’uomo schizzò fuori e prima che potesse parlare, Billy gli sferrò un pugno sul volto, mandandolo K.O.
Zec e Donovan lo raggiunsero.
«Era proprio necessario?» gli chiese, sentendosi in colpa.
Billy gli posò la mano sulla spalla. «Tranquillo, è solo svenuto e se la caverà con un semplice brutto livido.» 
Donovan s’inginocchiò, e frugandogli nelle tasche, trovò un mazzo di chiavi. «Speriamo ci sia anche quella che serve a noi.» Si rialzò e osservò l’uomo sul pavimento. «Spostiamolo o ci beccheranno subito.»
Riluttante, Zec aiutò il fidanzato a prenderlo per le spalle, mentre l’altro ragazzo lo trascinava per i piedi. Lo deposero sotto il bancone della  reception, lontano dalla vista esterna.
Proseguirono correndo per il corridoio, sul lato destro trovarono una porta grigia con una rete sulla parte superiore. In alto era riportata la dicitura DEPOSITO EFFETTI PERSONALI.  Donovan provò  a infilare la prima chiave nella toppa, ovviamente senza successo. Gli ci vollero altri tre tentativi, ma con la quinta andò a segno.
«Bingo!» esultò. Aprì la porta entrò e accese l’interruttore della luce.
Zec e Billy lo seguirono e lui la richiuse girando la chiave nella serratura. All’interno trovarono una coppia di mobili in metallo con quattro scaffali ciascuno. Sugli scaffali erano raggruppati circa venticinque scatoloni, all’interno, ognuno conteneva sacchetti di plastica sigillati con dentro vari oggetti e con applicato sulla superficie un adesivo con un numero identificativo.
«Dobbiamo controllarle tutte» disse Billy.
«Scherzi? Non faremo mai in tempo» replicò Donovan.
Zec si avvicinò a una scatola e controllò un paio di sacchetti. Il numero indicativo era di tre cifre, la prima separata da un trattino dalle altre due. Quelli che aveva in mano riportavano il numero 1-01 e  1-02. Rifletté rapido e ipotizzò a cosa potessero riferirsi.
«Sono raggruppati in base alla divisione dei pazienti: il primo numero è quello della stanza, gli altri quelli di chi la occupa» spiegò. «Cerchiamo la scatola che contiene i sacchetti con i numeri 3-12 e 3-13.»
I due compagni annuirono, si divisero gli scaffali e pochi minuti dopo, Donovan gridò: «Ce li ho!»
Zec lo raggiunse con Billy. L’amico gli porse il sacchetto 3-12 e attraverso la plastica trasparente intravide il cellulare. Lo estrasse e lo strinse nella mano sinistra.
Nello stesso istante, all’esterno qualcuno urlò a gran voce: «Aiuto! C’è un infermiere a terra!»
«Devi sbrigarti» lo esortò Billy.
Zec richiamò dall’elenco multimediale del telefono la lista di brani musicali e trovò quello ideale. Quello che parlava della loro estate. Cruel Summer la cover degli Ace of Base. Fece partire la canzone e si concentrò per cantare la sua emotiva e personale versione:
 

«Estate tremenda e afosa nel manicomio, anche seduto in disparte

Provo a trovare una spiegazione, ma tutto mi soffoca qui
Le voci di estranei mi sovrastano (alcuni dicono sono nella testa)
Ma c’è una cosa che non capisco
Nel tuo caldo infernale non mi hai teso una mano
Sei stata crudele in questa estate
Abbandonarmi lì e qui al mio destino
Sei stata crudele in questa estate
Sei scappata e non hai mollato solo me»
 

Bussarono con fermezza alla porta chiusa a chiave. «Aprite! Sappiamo che siete dentro!»

Erano due uomini, li videro attraverso la rete metallica, ma Zec proseguì imperterrito.
 

«Questo posto pullula di infermieri, io e i miei amici siamo alle strette

Non potremo gestirli tutti, ti chiedo aiuto: servi tu per andarcene
Per tornare a casa…
Sei stata crudele in questa estate
Abbandonarmi lì e qui al mio destino
Sei stata crudele in questa estate
Sei scappata e non hai mollato solo me
Sei stata crudele in questa estate
Abbandonarmi lì e qui al mio destino
Sei stata crudele in questa estate
Sei scappata e non hai mollato solo me»

 

«Aspetta, forse ho un’altra chiave» disse uno all’altro. Si frugò in tasca. Poi la serratura scattò. Il pomello venne girato e la porta si spalancò. I due comparvero sulla soglia e li guardarono arcigni.
Donovan e Billy si accostarono a Zec e cantarono con lui
 

« Sei stata crudele in questa estate

Sei stata crudele in questa estate
Sei stata crudele in questa estate
Sei stata crudele in questa estate»
 

Gli infermieri fecero un passo avanti.

La musica sovrastò le loro tre voci.
E una foschia porpora si diffuse in tutta la stanza.

 

 
Continua…?

lunedì 17 luglio 2023

Adolescenza slla Bocca dell'Inferno - Puntata 38

 Il Gioco del Branco 2: Billy ti Presento Nicole

 

Billy osservò la donna di fronte a sé. Non provò nulla.

«Sarai un po’ sorpreso di vedermi» gli disse.
Gli occhi marroni erano puntati nei suoi. Sorrise, allargando le labbra rosso scuro e mostrò i denti bianchi, che risaltarono sulla carnagione tra il color cannella e il nocciola.
«Sono Nicole Racher, sinceramente non so se ti ricordi di me» si passò un po’ imbarazzata le dita della mano sinistra tra i capelli neri e fece arricciare una ciocca sull’indice. «Voglio dire, l’altro te sa chi sono e penso lo sappia anche tu.»
Billy sbatté le palpebre. Per la prima volta da quando si trovava dentro quella struttura, qualcosa riaccese la sua attenzione. Provò la sensazione come di riemergere dal fondo di una vasca piena d’acqua. Fece ruotare lo sguardo intorno a sé. Vide tutto l’arredamento come se avesse appena messo piede nella sala. Riportò lo sguardo sulla donna, perché sentiva che gli era familiare?
«Ok, forse è meglio inizi a darti qualche spiegazione» continuò Nicole. Appoggiò le braccia coperte dalla giacca di lino sul tavolo e il bracciale d’oro al polso sinistro tintinnò. «Sono il contatto di emergenza di Elliott Summerson, lui è…»
«So chi è» replicò. Nel sentire la sua stessa voce dopo tanto tempo gli parve diversa. Si sorprese addirittura di aver proferito parola… chi era quella donna per potere destarlo dal suo esilio autoindotto?
«Bene, come dicevo sono il suo contatto d’emergenza, mi hanno chiamato anni fa quando finì misteriosamente in coma e poi adesso che il suo corpo è scomparso dall’ospedale. Sono qui anche per questo. Tu sai dove possa trovarsi?»
«No» rispose d’istinto. Poi aggiunse: «Perché dovrei? Anzi, come mai parli a me di Elliott Summerson? È per la faccenda dell’aggressione?»
Nicole scosse la testa. «Me l’hanno raccontato prima di darmi il permesso di farti visita, ma sono qui per un’altra ragione. Ho saputo di te e dei tuoi amici, ho visto delle foto di quando vi hanno rinchiuso e ho avuto i primi sospetti. Una volta entrata nell’istituto, non appena ti ho visto, ne  ho avuto  la conferma. So che sei Elliott… una parte di lui.»
Billy la scrutò con più cura. Un’immagine balenò dietro i suoi occhi. Una Nicole più giovane, seduta con lui a un a banco di scuola, a ridere…
«Noi eravamo compagni, no amici, al liceo e anche prima, fin da bambini» le disse.
«Migliori amici» lo corresse. «Sono contenta che tu mi abbia riconosciuta.»
Billy si allontanò lentamente dal tavolo, schiacciandosi contro lo schienale. «Se è vero, perché all’ospedale hanno detto che nessuno era con Elliott quando è stato male? E anche che nessuno è andato a trovarlo?»
«Abito fuori città da diversi anni. La mia strada e quella di Elliott hanno preso direzioni diverse dalla fine del liceo e ci siamo allontanati.» Abbassò lo sguardo, sembrava dispiaciuta e in parte colpevole. «Sono tornata il giorno che è stato ricoverato in coma, ma non sono rimasta. Avevo una vita con delle responsabilità e poi sapevo non lo avrebbe voluto.»
«Gli amici non abbandonano gli amici» ribatté Billy. Si rese conto quanto suonasse infantile, ma non riuscì a trattenersi. Una parte di lui covava del risentimento, anche se non ne capiva bene il motivo. 
Lei però fece una debole risata. «Non sei cambiato, sono felice. Era una delle tue paure, temevi di tirar fuori il peggio di te con le tue capacità.»
«Aspetta, sai dei poteri psichici?»
Nicole annuì. «Tu… Elliott li possedeva già all’epoca della scuola. Non li usava mai, o almeno solo in situazioni che consideravamo di emergenza, lo aveva confidato solo a me. E poco prima che partissi e lui finisse in coma, mi mise in guardia.»
«Spiegati meglio.»
Gli occhi di Nicole si velarono di nuovo di dispiacere e senso di colpa. «Disse che avrebbe cercato di resistere il più a lungo possibile, ma se a un certo punto si fosse arreso, se il peso della vita fosse stato troppo da sopportare, tornata in città avrei dovuto aspettarmi di trovarlo diverso, ma comunque riconoscibile.» Tirò un lungo sospiro. «All’inizio non capii a cosa si riferisse, credevo fosse un modo un po’ eccentrico di salutarmi, lui era anche questo: un ragazzo e un uomo molto misterioso.»
«Però sai cosa sta succedendo in città» rispose Billy.
«Mi è giunta qualche voce.»
«Allora puoi aiutarmi, aiutarci tutti. Consoci Elliott da sempre, meglio di come riesco a fare io, una parte di lui mi esclude. Resta, combatti con noi, insieme potremo…» nell’enfasi le aveva stretto le mani che teneva sul tavolo. Le sue dita erano scivolate su quelle di lei e all’anulare sinistro sfiorò un cerchio di metallo freddo. Abbassò lo sguardo e riconobbe una fede nuziale dorata. Ritrasse subito le mani. «Scusa, non ho il diritto di chiederti nulla.»
Nicole ritrasse le mani a sua volta e le strinse una nell’altra. «Sì, sono sposata. E so cosa stai pensando, ma  non ti ho abbandonato. Ti ho invitato – cioè l’ho fatto con Elliott – tante volte a venirmi a trovare, a passare qualche giorno da me. C’è sempre stato un imprevisto e non è mai venuto. E come ti ho già detto la mia vita è andata avanti.»
«Non ti sto incolpando di nulla» replicò.
«Lo so, ma volevo che lo sapessi.»
Billy si sentì uno stupido. I ricordi dei suoi giorni passati con Nicole riaffiorarono così come il senso di perdita quando lei aveva lasciato la città, per studiare, poi per un nuovo lavoro e infine per costruirsi una vita.
«Riguardo quello che sta succedendo, non lo fa… fai con cattive intenzioni» riprese lei. «Le storie di fantasia sono sempre state la sua via di fuga, il modo per sopravvivere in un mondo che non è proprio come lo vorresti. Supponeva che dando libero sfogo al suo potere potesse succedere qualcosa del genere, ma si è frenato per anni.»
Billy aggrottò la fronte. «Stai cercando di giustificarmi… giustificarci… insomma non so più come parlare.»
«Ti sto solo offrendo un altro punto di vista. Elliott non è mai stato egoista, è un difetto che non gli appartiene.»
«In ogni caso questo non cambia la realtà dei fatti» replicò Billy, abbandonando le braccia lungo i fianchi. «Se non è possibile o eticamente corretto ucciderlo, l’unico posto in cui posso stare è qui e sperare che il suo corpo ci raggiunga presto.»
Nicole divenne seria. «Non è vero e non ci credi nemmeno tu.»
«Hai altre alternative? Perché io sinceramente non so più cosa fare.»
Nicole si scostò di pochi centimetri e guardò oltre la sua spalla. «Potrei avere un consiglio dal diretto interessato.»
Billy girò lentamente il volto e osservò dove stava guardando. L’infermiera con il cartellino con su scritto “KATE” li osservava con attenzione. Li stava sorvegliando. Tornò a fissare in volto Nicole e aprì la bocca per parlarle. Sentì la mano sinistra di lei stringergli il ginocchio sotto il tavolo e ammutolì.
«Elliott mi ha lasciato una lettera. Me la diede qualche tempo prima che partissi e mi chiese di restituirgliela solo quando fossi dovuta tornare in città e lo avessi rivisto con un aspetto diverso» raccontò Nicole.
La vide muovere il braccio destro verso la tasca della giacca e poi allungalo verso la gamba sotto il tavolo.
Billy fece scivolare con nonchalance la mano lungo la coscia e arrivato oltre il ginocchio, incontrò quella di Nicole e afferrò la busta che gli porgeva. Sempre come se niente fosse, ritrasse il braccio, sollevò di poco la maglietta e fece scivolare la busta tra l’elastico dei pantaloni in vita e la pelle.
«L’hai letta?» le domandò.
Nicole scosse la testa. «Mi ha chiesto di non farlo. Sono sicura che qualunque cosa ci sia scritto, è destinato solo a te. Conoscendolo, vorrà darti una spiegazione sul perché ha aperto questa Bocca dell’Inferno e ha messo te a guardia.»
«E credi che queste spiegazioni mi aiuteranno a risolvere definitivamente il problema? E a capire la fonte del dolore legata ai suoi genitori? Alla malattia mentale di uno di loro?»
«Non lo so, Elliott non mi raccontò mai tutti i particolari su quella situazione, ma ti chiedo un favore: leggila. E dopo, valuta bene la tua idea di avere come unica soluzione l’eliminarlo.»
Billy sentì montargli la rabbia. «Per te è facile dire così. Ora te ne andrai, lascerai la città, tutte le stramberie e tornerai alla tua vita.»
Nonostante il suo tono rancoroso e accusatorio, Nicole gli sorrise comprensiva. «Se Elliott avesse voluto che rimanessi, non mi avrebbe dato solo il ruolo del messaggero. Ma se mi prometti che una volta uscito in qualche modo di qui cercherai il suo corpo, io ti prometto di ritornare.»
«Perché?» domandò incuriosito.
«Una volta che lo avrai trovato, decideremo cosa fare. Di certo ragionandoci insieme, ci verrà in mente un modo per sistemare tutto senza uccidere nessuno. Gli amici non abbandonano gli amici, giusto?»
La scrutò sorridendo. In quel comportamento riconobbe una parte della Nicole che ricordava e dovette ammettere di sentirne la mancanza.
«Va bene. Te lo prometto.»  
«Ok, ora devo proprio andare» rispose scostando la sedia. Si alzò in piedi e si girò per uscire. Poi si fermò, si voltò e lo guardò per un’ultima volta. «Buona fortuna» sussurrò.
Billy le fece un cenno di saluto con la mano, come si fa con una vecchia amica.
 

La porta della stanza era stata chiusa, l’infermiere di turno aveva già fatto il primo giro di ispezione perché le luci fossero spente e gli internati nel mondo dei sogni.  

Billy si alzò lentamente dal letto. Gettò uno sguardo al suo compagno di camera e lo sentì ronfare della grossa. A piedi nudi si portò verso l’uscio. Accostò l’orecchio e dal corridoio esterno non udì rumore. Camminò con calma verso il tavolo posto vicino alla finestra, chiusa con la sicura e scostò di poco le tende leggere.
Le luci elettriche esterne gli davano sufficiente illuminazione per poter leggere. Estrasse la busta dal nascondiglio sicuro in cui l’aveva riposta per tutto il pomeriggio, dopo averla prelevata dalla mano di Nicole. Si accomodò sul tavolo e sollevò la linguetta della chiusura. Prelevò il foglio di carta scritto a mano, lo dispiegò e iniziò a leggere.
Scorse le righe con attenzione.
Trattenne il respiro fino a giungere alla fine.
Poi sollevò gli occhi dal foglio.
Non aveva più dubbi. Sapeva cosa doveva fare.

 

 

                                                                       Continua…?

lunedì 3 luglio 2023

Adolescenza sulla Bocca dell'Inferno - Puntata 37

Il Gioco del Branco 1: Estate Sprecata per la Mente Addormentata

 

Sospirando, Betty appoggiò il mento sui palmi. Seduta nella sala intrattenimento, con i gomiti sul tavolo, osservò attraverso le lenti degli occhiali l’immagine allettante del giardino davanti a lei. Il vetro delle porte di sicurezza la separava dall’esterno e il sole spargeva luce e calore nella triste e deprimente stanza dell’istituto psichiatrico Reicdleyen.

«La vita fa schifo» disse in un sussurro.
Era prigioniera in quel luogo per una colpa non commessa. Il tentato omicidio di Elliott Summerson con una falce era stato evitato grazie al suo intervento e dei suoi amici, e non opera loro come erano stati accusati. Avevano provato a raccontare la verità, ma il risultato era stato il ricovero forzato in quella struttura.
Tre mesi. Tre lunghi e interminabili mesi a dover parlare con dottori e fare sedute di gruppo, per essere stata sincera e aver combattuto ogni sorta di stramberia e orrore che Elliott aveva ricreato nel mondo reale con i suoi poteri psichici.
E non si era trattato di tre mesi qualunque. Aveva perso l’intera estate rinchiusa un quel posto.
«Le vacanze migliori gettate nel water» sospirò di nuovo. Non aveva neanche più la forza di arrabbiarsi.
«Non abbatterti, non possono trattenerci qui dentro ancora a lungo» le disse Donovan con un sorriso, seduto alla sua destra, un tavolo distante dal suo. «Recupereremo il tempo perduto.»
Lui era un’altra ragione per cui era così depressa. Aveva un fidanzato spiritoso e carino, aveva fatto centinaia di programmi per loro quell’estate, che sarebbe stata la loro prima insieme come coppia. Invece erano riusciti a vedersi a stento: solo quando avevano una seduta di gruppo, oppure a quella distanza nelle ore di ricreazione in quella stessa stanza. Ovviamente con infermieri a fare la guardia in modo non ci fossero contatti troppo ravvicinati
I medici e i loro genitori erano convinti che la loro “situazione” peggiorava quando erano in gruppo, così era stata anche allontanata dai suoi unici veri amici. 
Michelle entrò nel suo campo visivo, la loro stessa divisa da internati – maglietta a maniche corte e pantaloni della tuta – troppo stretta per la sua stazza, le mise in evidenza la carne quando si sedette alla sua sinistra, tenendo la stessa distanza di Donovan.
«Ho incrociato Zec» disse senza guardarla in faccia. «Sta arrivando e ci sarà anche Billy.»
Betty si voltò di scatto nella sua direzione. «È sveglio?»
«No, lo hanno preso a forza dal letto» le rispose.
La ciliegina sulla torta della reclusione al Reicdleyen era stata la caduta improvvisa e inspiegabile di Billy in stato catatonico. Anche se odiava ammetterlo, Betty lo reputava l’unico responsabile del guaio in cui si trovavano e anche il solo in grado di tirarli fuori con le sue doti, se non si fosse chiuso in se stesso dall’esatto instante in cui avevano messo piede lì.
Zec entrò nella sala, passò davanti a loro tre, con il pollice destro indicò dietro di sé e prese posto nella poltrona alle sue spalle.
Due infermieri in divisa bianca reggevano Billy per le braccia e lo trascinarono nell’angolo opposto al loro, dietro un lungo tavolo in legno bianco. Lo fecero sedere e si sistemarono a pochi passi da lui.
Betty si girò. L’amico aveva lo sguardo fisso al muro, anche se si capiva chiaramente che non vedeva ciò che aveva di fronte. Era perso in chissà quali pensieri. Osservandolo in quello stesso stato, più di una volta, aveva temuto si fosse in qualche modo ricongiunto alla sua identità principale, costringendoli a rimanere bloccati nell’istituto per sempre. La sua parte logica però le suggeriva che se cosi fosse stato, Billy sarebbe dovuto scomparire o qualcosa del genere.
«Elizabeth Swanson.»
Sentendosi chiamare con il nome completo, Betty tornò a guardare davanti a sé. L’infermiera le sostava davanti, in divisa bianca e golfino blu, con sopra appuntato il cartellino con scritto ‘Kate’ e la fissava con espressione neutra. L’aveva già vista spesso durante l’estate, in genere era lei a occuparsi di portarle le  medicine e a seguirla nei suoi spostamenti.
«Sì? Cosa c’è?»
«Hai una visita» le rispose, indicando un tavolo dalla parte opposta della stanza, dove si potevano ricevere persone dall’esterno. «Ti accompagno.»
Betty si alzò e provò a indovinare chi fosse il visitatore. Sua madre e suo padre erano già andati il giorno prima e sarebbero tornati solo nel fine settimana. Passò davanti a Donovan, e la guardò con aria interrogativa, ma poté solo ricambiare lo sguardo con la stessa sorpresa.
L’infermiera Kate la prese sotto braccio e la scortò lungo lo spazio che la separava da quell’area. Non riusciva a immaginare chi fosse il visitatore. Non aveva altri parenti in città e nessun compagno di scuola si era azzardato a entrare nell’istituto psichiatrico.
Quando la distanza tra loro fu ridotta, notò lo sconosciuto con indosso una maglia con il cappuccio, lo teneva calato sulla testa nonostante il caldo, e guardava verso il basso, rendendole impossibile riconoscerlo dal viso.
Kate scostò la sedia e la fece accomodare. «Riducete al minimo i contatti fisici e io sarò qui nelle vicinanze per ogni necessità.» Sorrise e si allontanò.
Il ragazzo di fronte a lei alzò lentamente il capo e fece scivolare indietro il cappuccio, rivelando riccioli scuri e carnagione color cioccolato.
«Kenny! Che diavolo ci fai qui?» Betty tenne a stento a freno la rabbia, ma sentì la sua voce alzarsi più del dovuto.
«Tranquilla, voglio solo parlare» le rispose.
Rimase a fissarla per alcuni minuti.
Insofferente, Betty disse: «Allora? Vuoi iniziare?»
«Ok, ma calmati o penseranno il peggio di me.»
«E non dovrebbero? Tu e tua sorella ci avete lasciato nei pasticci all’ospedale e non avete fatto nulla neanche dopo per chiarire la situazione.»
Kenny si appoggiò allo schienale. «Dai Betty, sei troppo intelligente per pensare che saremmo rimasti lì a farci incastrare.»
«Potevate comunque trovare un modo per… »
«No» la interruppe. «Non siamo alleati e lo sai. Lo abbiamo sempre ripetuto.»
Betty incrociò le braccia sul petto e mise il broncio. Quell’odioso aveva ragione, sperare nel loro aiuto era proprio da stupidi.
«Comunque ti trovo bene» riprese lui. «Voglio dire, non è come essere in prigione, giusto? Non potete uscire, ma vi trattano bene e non fate niente tutto il giorno. È un po’ come le vacanze.»
«Certo. Una favola» replicò. «Anzi perché non vi trasferite qui anche tu e Kerry? Sarà uno sballo fare dell’inutile terapia tutti insieme.»
«Ok, scusa.»
Il ragazzo rimase in silenzio.
Betty sbuffò. «Insomma, vuoi dirmi perché sei venuto?»
«Si tratta della Falce. È Scomparsa.»
Sgranò gli occhi nel sentirglielo dire. Tirò la sedia più vicino al tavolo e spinse le mani contro la superficie. «Come? E quando?»
«È successo quasi tre mesi fa. Un paio di giorni dopo avervi sorpresi in camera di Elliott Summerson, io e Kerry siamo tornati per recuperarla, ma non c’era più. L’abbiamo cercata in tutto l’ospedale Saint Mary, ma sembra scomparsa nel nulla.» Abbassò il tono della voce: «Per caso voi ne sapete di più?»
«Come potremmo? Ti ricordi dove siamo da mesi, grazie a voi?»
«Be’ magari voi non siete in grado, ma Billy? Lui potrebbe aver fatto qualche trucchetto per riprendersi l’arma.»
Betty abbozzò un sorrisetto. «Hai fatto tanta strada per niente. Billy è in stato catatonico dal primo giorno qui. A fatica mangia e si veste, di certo non può evocare la Falce.»
Kenny batté il pugno sul tavolo. «Maledizione. E tu non hai idea di dive possa essere?»
Betty tornò seria. «No. Ora puoi anche andartene.» Tirò indietro la sedia per alzarsi.
«Aspetta» la fermò. «Scusami, non volevo che ti succedesse tutto questo. Dico davvero. Però è importante sapere che fine ha fatto la Falce, capisci anche tu che in mani sbagliate può essere pericolosa.»
«Lo so e tu di certo avrai immaginato che se avessimo potuto evocarla, l’avremmo già fatto e saremmo usciti dall’istituto.»
Kenny annuì. «Sì, è ovvio.»
Non le parve più tanto ostile e provò a sfruttare quel piccolo vantaggio. «Forse mi sbaglio: non è stato un viaggio inutile.»
La guardò incuriosito. «Cosa vuoi dire?»
«Sai del nostro legame con quell’oggetto e possiamo ancora aiutarti» continuò Betty. «Escogita un modo per farci dimettere e tutti insieme troveremo una soluzione. Come hai detto, non possiamo lasciare quell’arma dispersa.»
«Mi dispiace, ma questo non posso farlo» replicò lui. «È meglio se voi restate qua.»
«Perché?»
«È più sicuro per tutti.» Kenny scostò la sedia indietro e si tirò di nuovo il cappuccio sulla testa. Aprì la bocca, ma la chiuse subito senza aggiungere altro. Si alzò e si voltò, procedendo verso l’uscita della sala.
Betty si morse il labbro inferiore infuriata. Avrebbe tanto voluto urlargli di fermarsi, di darle altre spiegazioni, ma sapeva che una scenata del genere avrebbe solo peggiorato la sua posizione lì dentro.
Kate arrivò diligente al suo fianco. «Vieni, Elizabeth. Torniamo all’altro tavolo.»
Non era un invito e Betty lo sapeva. Abbandonò la sedia e si lascio prendere ancora una volta sotto braccio, come la malata che non era.
Camminando verso la sua precedente postazione, vide i due infermieri aiutare Billy ad alzarsi.  Sorreggendolo per le braccia, lo portarono nella sua direzione e si incontrarono per un secondo.
«Ti lascio nelle mani del mio collega» le disse Kate con il solito odioso sorriso.
Mentre uno dei due uomini si staccava da Billy, per prendere il posto della donna al suo fianco, l’infermiera fece lo stesso con il ragazzo.
«Cosa succede? Dove lo portate?» domandò. Non riuscì a nascondere la sua preoccupazione, non dopo quello che le aveva rivelato Kenny.
«È tutto a posto» rispose Kate con voce pacata. «Anche Billy ha diritto alle sue visite.»
Betty restò ancora più sorpresa. Riprese a camminare, ma girò il capo e guardò dietro di sé. Mentre procedeva controvoglia nella zona dei soli internati, riuscì a scorgere la figura della persona venuta per il suo amico.
Era una donna sui trent’anni, pelle color nocciola con i capelli castani tagliati corti appena sotto le orecchie. Non era una degli insegnanti del liceo e non l’aveva mai vista prima d’ora. Era seduta e calma. Non si scompose nemmeno quando Kate e l’altro infermiere fecero accomodare Billy davanti a lei.
Betty non poté fare a meno di chiedersi: chi conosceva Billy oltre a loro, dato che non era reale? E di cosa voleva parlargli?

 

                                                        Continua…?