Il Gioco del Branco 18: Echi del Sogno di un Altro
Michelle si guardò intorno intontita.
«Dove siamo finiti?»
Zec scrutò il paesaggio spoglio, confuso
e sorpreso quanto lei.
Intorno a loro c’era solo una lunga,
interminabile strada a doppia corsia. Erano sul ciglio in pigiama, in una sera
fredda d’inverno senza però provare brividi. Se questo non era sufficiente a
confermare di non essere nel mondo reale, Michelle se ne convinse notando alle
sue spalle ogni elemento dell’ambiente circostante venir risucchiato a spirale
nel nulla.
«In qualche modo Billy è riuscito a
collegarsi a Elliott e siamo in una specie di spazio mentale» disse Zec.
«In un sogno» replicò. «Ma sarà quello
di Elliott? E dove sono gli altri?»
Zec allargò le braccia sconsolato.
«Possiamo solo andare a cercarli.»
Intimorita di finire nel vuoto dietro di
loro, Michelle annuì. Nonostante si ritrovasse in un luogo impreciso e con la
possibilità di finire in guai peggiori, fu grata di essere rimasta sola con
Zec. Da tutta la sera cercava di parlargli senza avere il coraggio e la giusta
occasione per farlo.
«Devo farti una confessione» esordì,
girando il volto verso di lui.
Camminandole al fianco, lui chiese:
«Cosa?»
«Durante il numero di Chas in
auditorium… ecco, per un minuto ho sperato… ho desiderato ci fosse tua sorella
Dana. E l’ho sentita rispondermi.»
Zec rimase in attesa qualche istante. «E
poi? Cosa è successo?»
«Niente, forse me lo sono solo
immaginata.»
Lui non disse niente e distolse lo
sguardo.
Camminarono a piedi nudi sull’asfalto in
silenzio, proseguendo in linea diritta.
«Avevo paura ti arrabbiassi» disse
Michelle d’impulso. «So che il rapporto tra di voi è complicato e dopo averla
smascherata per l’inganno sul perché è un demone non dovremmo fidarci. E non mi
fido.»
«Però hai pensato a lei sentendo la
musica.»
Michelle annuì.
Zec alzò lo sguardo al cielo. «Anche io,
appena succede qualcosa di soprannaturale, penso subito a Billy. Mi dà
sicurezza. Per te è lo stesso?»
«Sì, almeno credo.» Sospirò, lisciandosi
il pigiama rosso. «Mi sento molto confusa riguardo a Dana. Mi sento… attratta
da lei.»
«E lei lo sa?»
«No, cioè forse l’ha capito. Quando
siamo state sole ha flirtato con me, ma poi nelle settimane nel suo inferno non
mi ha considerato. Tu hai idea se a lei possano piacere… ecco, i tipi come me?»
Zec s’incupì. «A dire il vero non so più
che idea farmi su mia sorella. Non ho mai pensato potesse essere omosessuale, o
atro e non me lo sono mai chiesto. Un tempo eravamo uniti, non ci raccontavamo
proprio tutto, ma sapevamo capirci. Poi ha alzato un muro, mi ha escluso dalla
sua vita. E adesso non so mai se ha un doppio fine per ogni cosa che dice o
fa.»
Michelle sospirò di nuovo, sconsolata.
Si era tolta un peso nel raccontargli tutto, ma non era venuta a capo dei suoi
dubbi.
Inaspettato, Zec le sfiorò il mignolo
con il suo. «Non sono arrabbiato con te se pensi a Dana, o ti piace, o
qualunque rapporto vuoi con lei» disse, guardandola negli occhi. «Ti dico solo
di stare attenta. Sei mia amica e non voglio vederti soffrire per i giochi di
mia sorella.»
«Grazie» rispose sorpresa.
Un sorriso comparve sulle labbra
dell’amico, facendo svanire l’aria oscura dal volto. «Mi dispiace non esserti
più d’aiuto, però voglio tu sappia che qualunque cosa accada, sarò dalla tua
parte.»
«Anche se dovessi mettermi insieme a una
demone manipolatrice?»
«Ehi, chi sono io per giudicare?» le
rispose allegro. «Il mio ragazzo è la proiezione mentale di un uomo in coma.
Nessuno è perfetto.»
Michelle scoppiò a ridere, niente era
nella norma per loro. E andava bene così.
L’ilarità di quella assurda passeggiata
sul brodo della strada fu stravolta dallo sfrecciare di un’auto rossa nella
stessa direzione che stravano percorrendo. Correva così veloce che quasi sbandò
verso di loro, non tanto da colpirli, ma abbastanza da permettere di notare due
figure femminili nell’abitacolo.
«Credi che dovremmo seguirla?» domandò
Zec.
Billy comparve di corsa, superandoli e
rincorrendo l’automobile.
Michelle gli afferrò la mano. «Ora ne
sono convinta.»
Billy scrutò interdetto la strada
davanti a sé. Non era quello che si era aspettato una volta afferrata
mentalmente la connessione con Elliott. Non trovò i compagni al suo fianco e la
sua scarsa esperienza nei viaggi psichici poteva esserne il motivo.
Un’automobile rossa gli passò accanto,
dapprima con un’andatura normale, poi accelerò. Riuscì solo a vedere due
ragazze all’interno. Una dall’aria poco più grande di lui, con i capelli
castano scuro al volante e la seconda nel posto del passeggero, di qualche anno
più giovane con i capelli biondi.
Seguila.
Era la sua stessa voce e gli ronzò nelle
orecchie e in testa.
Billy si mosse d’istinto, convinto a non
poter stare dietro a un auto che viaggiava a quella velocità, scoprì che le sue
gambe procedevano con un’energia sovraumana. Ebbe la sensazione fossero
manovrate da qualcun altro.
Tenne il viso alzato e lo sguardo fisso
davanti a sé.
Era proprio dietro al veicolo rosso.
Lo vide sbandare sulla destra e poi
riprendere il controllo nella corsia.
Nello stesso istante, ai lati della sua
visuale, comparvero Donovan con Betty e Zec insieme a Michelle.
Sapeva di non potersi fermare a dare
spiegazioni così urlò: «Presto, correte dietro di me!»
Dopo un attimo di smarrimento, vide le
due coppie unirsi nella rincorsa, riuscendo con loro stessa sorpresa a tenere
il suo ritmo.
«Perché stiamo inseguendo l’auto?»
chiese Donovan.
Senza voltarsi, Billy rispose: «È un
sogno, non lo sapremo fino alla fine.»
Niente in quella situazione gli era
familiare, o indicava il collegamento con Elliott e la Falce, ma in qualche
modo ce n’era uno. Nel profondo era certo non fossero lì per caso.
L’auto frenò bruscamente.
Lui e i suoi amici fecero altrettanto,
restando dietro al mezzo.
In lontananza intravidero una figura distesa
sul cemento in mezzo alla strada. La ragione che aveva fatto bloccare la corsa
a tutti.
La portiera del guidatore si spalancò e
uscì la ragazza bruna.
«Vado a vedere cosa gli succede. Tu
resta dentro» ordinò, girata di tre quarti e rivolta alla compagna di viaggio.
La portiera del passeggero si aprì lenta
e sbucò una testa bionda. «No, voglio aiutarti.»
«Rimani lì» insisté la ragazza più
grande e la seconda obbedì, svanendo all’interno dell’abitacolo.
Senza muoversi, Billy osservò la giovane
chiudere la portiera e superarre il cofano. Fece due passi e poi si piegò in
basso, sparendo dalla loro visuale.
Billy si sporse per vedere meglio, ma
una forza invisibile lo agguantò, tirandolo all’indietro e facendolo cadere con
il sedere per terra.
Non erano più in mezzo alla strada, ma
dentro un corridoio dalle pareti grigie e conosciute.
«Siamo all’ospedale Saint Mary» affermò
ad alta voce.
Zec gli porse la mano per aiutarlo. «Ci
hai portato tu qui?»
«No, non ho il comando degli
spostamenti» disse afferrandogli la mano e tirandosi su.
«E chi ce l’ha?» domandò Michelle.
«Non so, non sapevo cosa aspettarmi
quando ho provato a rintracciare psichicamente Elliott» ammise. «Di sicuro
esserci trovati al seguito di quell’auto e qui non sono casualità.»
«Però sappiamo già che Elliott non è all’ospedale
Saint Mary» ricordò Donovan.
«Questa non è l’ala in cui era
ricoverato lui» disse Betty, osservando il corridoio. «Non ci sono le scale
sulla sinistra e neanche la stanza per il gruppo dei disturbi alimentari.»
Billy guardò con più attenzione. In
fondo al corridoio c’era solo un ascensore e ai lati le porte delle stanze erano
socchiuse. Tutte, tranne l’ultima a destra.
Aprila.
Si voltò a guardare i compagni. «Lo
avete sentito anche voi?»
«Era la tua voce…» rispose Zec. «Ma mi
ha rimbombato in testa.»
«Vale per tutti» confermò Donovan.
Billy avanzò deciso verso la porta
chiusa e allungò il braccio.
Un ululato gutturale annunciò il
manifestarsi di una creatura di fumo nero e denso, salendo al soffitto fino a
formare la sagoma di un gigantesco lupo. Gli occhi erano bianchi e luminescenti
e lo fissavano rabbiosi. Con il suo intero corpo si posizionò davanti alla
porta, coprendola.
«Lasciami passare» fece Billy.
Il lupo enorme latrò in risposta,
avanzando con le zampe anteriori, in posizione di attacco.
«Non sono pratica di simbolismi, ma non
credo ci farà entrare» disse Michelle.
Zec lo afferrò per il braccio e lo tirò
indietro. «Andiamocene, non voglio scoprire cosa può farci, anche se è un
sogno.»
«Siamo arrivati fin qui, manca poco per
sapere» provò a convincerlo.
Il lupo compì un passo verso loro,
ringhiando.
Betty si aggrappò alla sua spalla. «È
inutile insistere. Dobbiamo andarcene.»
Billy indietreggiò insieme a loro. «Ok,
ma abbiamo un problema. Non ho idea di come portarci via da qui.»
«Ci sveglieremo divorati da questo
bestione?» fece Donovan con voce tremante. «O non ci sveglieremo affatto.»
Per quanto si sentisse responsabile,
Billy non seppe cosa dire. Peggio, non sapeva cosa fare se non allontanarsi dal
lupo, che al contrario li seguiva famelico.
Si erano mossi nella parte opposta
all’ascensore e finirono con le spalle al muro.
Letteralmente.
Il lupo balzò in aria, spalancando le
fauci per morderli, ma una lancia si conficcò nel suo costato.
La Prima Cacciatrice apparve davanti a
loro. Con la sua pelle scura, i capelli intrecciati e gli stracci come abiti,
si frappose tra il gruppo e la minaccia.
«Sei il primo invasore, non puoi
attaccare» intimò all’animale.
Il lupo guaì, piegò il muso e con i
denti aguzzi smosse il bastone della lancia per sfilarla.
La Prima Cacciatrice si girò, restando
faccia a faccia con Billy.
«Mi dispiace, dovevo rimediare al mio
errore» gli disse. «Hai frainteso le mie parole. Non è la tua morte che devi
accettare.» Alzò il volto e lo baciò sulla fronte.
Billy avrebbe voluto porle delle
domande, ma appena lei staccò le labbra, gli si chiusero le palpebre.
Billy spalancò gli occhi.
«Ferma, cosa vuol dire?» chiese. Si
guardò intorno. Era nel salotto della casa di Michelle e l’amica e gli altri
compagni stavano risvegliandosi, stesi intorno a lui.
«Siamo tutti interi» constatò Donovan,
tastandosi il petto e le cosce.
Billy si alzò in piedi. «Cosa intendeva
la Prima Cacciatrice? So che ho sbagliato a voler provare a uccidere Elliott,
ma quale morte devo accettare?»
Zec gli fu subito accanto, avvolgendogli
le spalle con un braccio e massaggiandogli il petto con l’altra. «Calmati, è
sempre complicato interpretare un sogno.»
Michelle indietreggiò e si issò sul lato
sinistro del divano. «E non sappiamo neanche di chi sia quello in cui siamo
finiti.»
Billy respirò regolarmente, provando a
rilassarsi. Aveva troppe domande a ronzargli in testa, ma dirle ad alta voce
non sarebbe servito a nulla. Gli altri avevano sul volto la stessa espressione
confusa e disorientata che sentiva su di sé.
Betty si mise in piedi. «In realtà,
andando per esclusione possiamo presumere di chi era quel sogno. Cercavamo
Elliott e la Falce e abbiamo trovato una ragazza che sogna un incidente
stradale e una stanza d’ospedale protetta da un lupo.» Si tolse gli occhiali,
pulì le lenti con la manica del pigiama e poi li inforcò. «Una delle due è
sicuramente Kate.»
Zec scosse la testa. «Erano troppo
giovani.»
«Potrebbe essere un ricordo» replicò
Betty.
Donovan strisciò al lato destro del
divano e ci appoggiò la schiena contro. «Ma se Kate è ogni giorno a scuola,
come può essere in una camera dell’ospedale?»
Betty sospirò. «Essere un’infermiera è
la sua copertura, ricordi?» Poi contò sull’indice e il medio. «Il Reicdleyen,
l’infermeria, perché non anche al Saint Mary.»
«Va bene, ma perché non farci vedere chi
c’è nella stanza?» chiese Zec.
Michelle batté le mani. «Perché lì
dentro c’è S.»
Billy abbandonò il suo rimuginare sulla
Prima Cacciatrice e unì i puntini delle osservazioni dei compagni. «Oppure,
vista la nostra esperienza con Elliott, Kate sta nascondendo sé stessa e lei ed
S non sono in combutta, ma sono la stessa persona.»
Continua…?
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