Il
Gioco del Branco 9: I Bugiardi Meritano l’Inferno
Per tutta la durata della lezione di
matematica, Betty non staccò lo sguardo da Jordan Guiterrez. Sedeva nella fila
alla sua destra, due banchi davanti a lei e poteva osservarlo senza venire
scoperta.
L’idea di Billy di carpire informazioni
da lui era giusta, ma aveva escogitato lei il modo più adatto per metterla in
atto, ricordandosi delle difficoltà di Jordan in tre materie e decidendo di
proporsi alla fine della lezione di una di esse per aiutarlo. In fondo era ciò
che gli aveva promesso proprio Billy poco prima il termine dell’anno scolastico precedente, anche se il modo in cui
avevano trascorso l’estate le aveva impedito di metterlo in pratica.
Scrutandolo, Betty si rese conto che il
suo problema con la matematica non era migliorato: guardava la lavagna dove la
professoressa scriveva numeri e simboli continuando con la spiegazione e
ricopiava come un forsennato sul quaderno, quasi temesse di perdere un
passaggio fondamentale, grattandosi
agitato la testa dai capelli scuri tagliati corti.
Betty constatò che qualunque forma di
sicurezza gli avesse fatto acquisire Kate con l’entrata nel branco, non
influiva anche sulla sua comprensione delle formule algebriche.
La campanella di fine lezione risuonò per
tutto il piano e segnò la conclusione dell’ora di matematica e il suo momento
di agire.
Betty raccolse libro e quaderno, li
infilò nella borsa e se la mise a tracolla. Si alzò dalla sedia, mentre la
professoressa comunicava le pagine degli esercizi da eseguire, scansò un paio
di compagni per arrivare a Jordan. Gli fu di fronte nell’esatto momento in cui
si alzò anche lui dal banco.
«Ciao, sono Betty. Billy mi ha parlato
di te» disse in tono gioviale.
Lui la squadrò sbrigativo. «So chi sei.»
Prese il libro e il quaderno dal banco e li ripose nello zaino.
«Ok… bene. So che hai qualche difficoltà
in matematica e posso aiutarti, se lo vuoi ancora» propose, senza abbandonare
il sorriso. «Possiamo riguardare insieme la lezione di oggi e magari fare
qualche esercizio.»
«Ho già chi mi aiuta» replicò Jordan.
Mise lo zaino sulle spalle e si mosse dalla parte opposta per raggiungere la
porta dell’aula.
Era chiaramente ostile, forse per
l’influenza di Kate e dopo le rivelazioni di Donovan, l’aiuto a cui si riferiva
poteva essere Aiden, ma Betty non si fece scoraggiare. Lo inseguì, tenendo il
passo.
«Va bene, allora posso darti una mano in
biologia ed economia. Hai problemi anche in quelle materie, giusto?»
Jordan si bloccò nel corridoio e la
guardò serio. «Ti ho detto che ho già l’aiuto che mi serve. Da voi non voglio
nulla.»
«Perché?» gli domandò d’impulso.
«Di voi non ci si può fidare.» Jordan si
voltò e proseguì per la sua strada.
Osservandolo da dietro le lenti, Betty
non insistette. Doveva cambiare tattica.
«Un agguato non è la mossa migliore»
disse Michelle, scrutando i volti degli amici intorno.
«Non hai parlato con lui, non hai visto
come mi ha guardata» rispose Betty tranquilla. Aveva riportato i fatti della
mattinata ai suoi quattro compagni e lei stessa aveva dovuto ricredersi sul
metodo per interagire con Jordan. «Non è stato convinto da qualcuno ad avercela
con noi, ci detesta per sua scelta.»
Billy annuì. «Ho avuto la stessa
impressione spiandolo in palestra.»
«E siamo comunque dell’idea di
costringerlo a parlare con noi…» Zec gesticolò agitato, guardandosi intorno nel
corridoio vuoto durante gli ultimi minuti della pausa pranzo.
Betty gli rivolse uno sguardo dolce. «Lo
so che non ti piace essere aggressivo con le persone, ma si tratta di una
situazione necessaria. Inoltre, sappiamo di cosa è capace anche senza l’aiuto
della possibile trasformazione regalatagli da Kate, dobbiamo prevenire una
nuova prigione infernale.»
«A questo proposito» s’intromise
Donovan, «voi due non avete mostrato più i vostri poteri da quando siamo usciti
dal Reicdleyen. So che lì erano in qualche modo bloccati, ma ora?»
Betty si morse il labbro inferiore per
quella dimenticanza. Avrebbero dovuto affrontare quella domanda prima e avere
ancora quel dubbio era, dal punto di vista strategico, una penalità altissima.
«Avete già provato a diventare poltergeist e spostare qualcosa con il
pensiero?»
Michelle e Zec si guardarono a vicenda.
«No» rispose lei.
«Non c’è stata l’occasione» replicò lui.
Betty mise subito in moto il cervello
per pensare a una soluzione. Se la sua teoria su Kate era corretta, forse
poteva bloccare i loro poteri fin dalla prima volta che li aveva visti
all’istituto, ma secondo questa prospettiva sarebbe stata anche più potente di
Elliott. No, si disse che non poteva essere così forte. Però dovevano fare una
prova subito e c’erano decine di armadietti sacrificabili.
«Eccolo, viene da questa parte» esclamò
Donovan.
Betty alzò la testa e abbandonò i suoi
piani. Il suo sguardo si scontrò con quello del ragazzo ispanico dalla pelle
olivastra, ma invece che bloccarsi, lui proseguì a camminare.
«Non sai accettare un rifiuto?» le
domandò serafico.
«Abbiamo bisogno di parlare con te»
disse Billy.
Jordan girò il volto come se lo notasse
solo in quel momento. «Adesso ti ricordi di me? Improvvisamente siete tutti e
cinque interessati a fare due chiacchiere.»
«Perché fai lo stronzo?» chiese Donovan.
Betty lo colpì sulla spalla con un pugno
leggero. «Non volgiamo litigare, non capiamo perché sei arrabbiato con noi.»
«Tanto per cominciare vorrei poter
aprire il mio armadietto.» Jordan fece un cenno, indicando l’anta in ferro alle
loro spalle.
Si spostarono per farlo procedere.
«L’ultima volta ci siamo preoccupati di
aiutarti e proteggerti» ricordò Zec. «Vogliamo solo che ci racconti cosa è
successo nei mesi in cui non c’eravamo.»
Jordan chiuse con foga lo sportello
dell’armadietto. «Intendi nei mesi in cui avevate promesso di aiutarmi con i
problemi con il professor Monaghan? Nei mesi in cui siete spariti e non ve ne è
importato niente di cosa stessi passando. Mi sono serviti a capire che siete
dei bugiardi.»
«Sei impazzito? Sai benissimo dove siamo
stati e cosa abbiamo passato noi!» lo
aggredì Donovan.
Betty lo spinse indietro per evitare di
peggiorare la situazione. «Non sei stupido Jordan, sai dell’istituto
psichiatrico, lo sa tutta la scuola ed è ovvio non potessimo fare granché da lì
dentro. Potevi venire a trovarci.»
«Sei bravissima a rigirare la frittata!»
sbottò Jordan. «Da quando sono stato nel locale caldaie, ho visto di cosa siete
capaci, vuoi farmi credere che Billy oppure Michelle non avrebbero potuto agire
per farvi scappare?»
«Billy era catatonico e nessun’altro di
noi poteva accedere a poteri speciali» spiegò Betty seria. «Non ti abbiamo
abbandonato, o ignorato per scelta.»
Jordan parve confuso. Li guardò incerto.
«Mettiamo sappia qualcosa di nuovo su eventi paranormali, perché dovrei
dirvelo?»
«Perché non siamo contro di te» rispose
Betty. «Vogliamo aiutarti, proteggerti, se ne hai bisogno. O collaborare, non
diamo la caccia a nessuno e nessuno deve farsi più male. Siamo sempre stati
att…»
«Tu! Sarai l’ultimo!»
Il grido interruppe Betty e li fece
voltare tutti verso l’imboccatura del corridoio.
Un uomo puntava il braccio destro e il
dito indice contro Jordan e indossava un logoro cappuccio nero con il mantello
avvolto intorno al corpo.
«Chi diavolo è questo?» domandò Donovan.
L’uomo procedette e facendo scivolare il
cappuccio oltre il capo, rivelò un volto semi calvo, dai tratti somatici
distorti da bruciature sulla pelle.
Pur con quel viso alterato, Betty lo
riconobbe. «È il professor Monaghan.» Era chiaramente stato mutato
dall’influsso della Bocca dell’Inferno, ma le parve diverso dalle solite
bizzarrie.
«Con te il sacrificio sarà completo,
finalmente tornerò sano» proseguì l’uomo. «Hanno cercato di bruciarmi vivo, ma
sono ancora qui. Nessuno di voi piccoli, inutili ragazzini può fermarmi.»
Betty si parò davanti a Jordan e i suoi
amici fecero altrettanto. Billy si lanciò in avanti, ma a Monaghan bastò aprire
il palmo sinistro per costringerlo sul pavimento in ginocchio, facendogli sputare
della strana roba verde dalla bocca.
Nel lungo corridoio prese a risuonare il
rombo di tamburi, si diffuse una melodia celtica, accompagnata da delle voci
maschili dal timbro imponente che intonavano un canto indecifrabile.
Zec ricorse d’istinto ai poteri,
confermandone il pieno possesso. Vene scure si disegnarono sul volto e la
sclera degli occhi divenne pece. Ruotò i polsi e due ante di metallo si
divelsero dai cardini. La prima volò colpendo il professore nel ventre e
obbligandolo a piegarsi all’indietro. La seconda puntò dritto alla testa.
«No!» urlò Betty, sovrastando la musica
intorno a loro. «Non dobbiamo ferirlo gravemente.»
Zec strinse la mano sinistra a pugno e
lasciò cadere sul pavimento la lastra di metallo.
Donovan strattonò Jordan. «Chi l’ha ridotto così? Sei stato tu?»
«Non c’entro nulla» ribatté l’altro
divincolandosi.
Betty lo scrutò negli occhi e lesse
qualcosa che ometteva. «Hai idea di chi sia stato. Dicci chi è, possiamo
sistemare tutto.»
Jordan la guardò stringendo i denti.
«È opera di Kate, l’infermiera?» chiese
la ragazza, sicura della risposta. «Non devi avere paura di lei, possiamo
discuterne e convincerla a lasciar perdere qualsiasi cosa stia pianificando.»
«Non mi potete fermare!» gridò Monaghan.
Sollevò lo sportello di ferro sul suo petto e lo lanciò di lato come se fosse fatto
di cartone. Si rialzò in piedi e dai suoi occhi si sprigionò un bagliore
biancastro.
Zec fece volteggiare il secondo sospeso
in aria, ma poi annaspò. Perse la presa sull’arma improvvisata che cadde sul
pavimento. A sua volta, finì in ginocchio a terra e la strana sostanza verde
scuro fuoriuscì con violenza dalla sua gola.
Michelle alzò le braccia, ma prima di
poter far comparire i segni sul viso della manifestazione del potere, il
professore puntò il palmo destro contro di lei e le toccò la stessa sorte dei
due compagni.
Betty tornò a concentrarsi
sull’avversario. Non riusciva a riconoscere la creatura in cui si era
trasformato, non le ricordava nessun mostro di Buffy l’ammazzavampiri, eppure aveva un sentore familiare. Comunque,
ogni mossa volesse mettere in atto era stata annullata annientando i tre membri
più forti del loro gruppo.
Monaghan distorse le labbra in un
ghigno. «Sei mio.» La musica si intensificò. Aprì le braccia facendo svolazzare
il mantello scuro.
Betty e Donovan furono sbalzati contro
gli armadietti, lasciando Jordan un bersaglio facile.
Il professore fece un passo verso il suo
obbiettivo e sottili corde affilate sbucarono dal soffitto. Si avvolsero
intorno al suo collo. Lui emise un rantolo strozzato e la testa si staccò dal
collo, rotolando ai piedi.
Il canto celtico cessò.
Dolorante e inorridita, Betty osservò
attonita le due parti del corpo del professor Monaghan divenire cenere e
disperdersi nell’aria.
Billy, Zec e Michelle smisero di
vomitare all’istante e tossendo, si rialzarono.
Donovan barcollò lontano dall’armadietto
ammaccato.
Betty fece altrettanto e cercò Jordan
oltre le lenti degli occhiali.
Lui passò in rassegna tutti loro. Si
soffermò un istante di più su di lei, quindi si girò di scatto e corse via.
Betty raggiunse i tre amici colpiti per
primi dal nemico. «State bene? Dobbiamo…» si zittì. Avrebbe voluto dire di
rivolgersi all’infermeria, ma non le sembrava più un luogo sicuro.
«È tutto a posto» confermò Billy.
«Dobbiamo andare dietro a Jordan e capire cosa è successo veramente poco fa.»
Si riunirono in cerchio e i cellulari
squillarono all’unisono.
Betty estrasse il suo. Era il suono di
un messaggio. Premette il polpastrello del pollice sullo schermo e lesse:
Lasciate
in pace Jordan. Non è uno di voi. È mio!
S.
Betty sollevò il telefono per mostralo agli
altri, ma non servì. Dai loro volti increduli capì lo avevano ricevuto tutti.
Continua…?
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