Il
Gioco del Branco 6: Non Puoi Reprimere l’Inferno
Frugando all’interno dell’armadietto, alla ricerca del libro di matematica, Donovan udì il fastidioso sussurrare, divenuto una costante nell’ultima settimana. Infilò la testa ancora più a fondo e represse l’impulso di urlare.
Lui e i suoi amici erano stati riammessi
al liceo poco dopo l’inizio del nuovo anno, dopo la loro vacanza forzata al Reicdleyen
e nell’Inferno di Dana e avevano trovato ad attenderli ogni genere di
pettegolezzi sul perché fossero stati rinchiusi nell’istituto psichiatrico e
quali cure avessero ricevuto. Nonostante la sorella di Zec avesse mantenuto la
parola, spingendo tutti a credere a un loro rilascio per sanità mentale, la
permanenza in quel luogo era ancora fonte di sguardi curiosi e derisori, risolini
soffocati e un irritante brusio di sottofondo.
Per quanto nei primi due giorni avesse
cercato di fare finta di nulla, ormai giunto al quinto giorno Donovan lo
trovava insopportabile.
«Un po’ strambi lo sono sempre stati»
udì spifferare qualcuno alle sue spalle.
«Molto più di un po’» commentò un altro.
«E sono anche pericolosi, sono successi un sacco di incidenti l’anno scorso e
loro erano sempre coinvolti.»
«Vuoi dire… responsabili…»
Donovan afferrò il primo libro a caso,
lo mise di furia nello zaino e chiuse l’armadietto sbattendo l’anta fragorosamente.
Si voltò e fece in tempo a notare tre ragazzi allontanarsi dal corridoio a
passo spedito.
«È tutto a posto?» Betty arrivò al suo
fianco, come se fosse comparsa dal nulla. «Sembri stanco.»
«Sì, cioè no… insomma, non li sopporto
più» rispose.
La ragazza gli prese la mano destra
nella sua. «Lo so, ma passerà, sai come funziona qui a scuola, presto ci sarà
un nuovo argomento e noi diventeremo storia antica.»
«Non mi dà fastidio che parlino di noi»
ammise. «Sono tutte le cavolate che si inventano a mandarmi in bestia. O le
supposizioni senza sapere la verità.»
«Per questo si chiamano pettegolezzi e
comunque non potremmo raccontare la verità» disse Betty con un sorriso. «Non
pensarci, godiamoci la pausa pranzo. Gli altri ci aspettano in mensa.»
Donovan fece una smorfia insofferente.
«Non possiamo continuare a mangiare in cortile?»
«Abbiamo aspettato anche troppo.»
«Là dentro saremmo esposti in modo
esagerato.»
«E all’esterno sembriamo colpevoli»
replicò tirandolo per il braccio destro.
Donovan sospirò insoddisfatto, ma la
seguì per le scale, verso la mensa.
Davanti alle doppie porte spalancate,
individuò Michelle, Billy e Zec ad aspettarli. L’accordo era di entrare in
gruppo e non dare ascolto a qualsiasi tentativo di provocarli.
Donovan dubitava di riuscire a
trattenersi.
Si mossero in fila, afferrarono il
vassoio e andarono dall’inserviente incaricata di servire le portate nelle
teglie.
Il brusio iniziò non appena vennero
riconosciuti.
Donovan si concentrò sul cibo davanti a
sé, per niente invitante. Scelse nuggets di pollo, patatine fritte, budino al
cioccolato e una lattina di Coca-Cola. Betty gli fu subito accanto, reggendo
nel suo vassoio un piatto di piselli e anche lei i nuggets e una bottiglietta
d’acqua.
«Andiamo verso il fondo, ci sarà di
sicuro un tavolo libero» gli disse.
Prima che si muovessero, alcuni ragazzi
sollevarono la testa dai piatti e fu il turno degli sguardi. Indagatori,
beffardi, giudicanti.
«Ehi, di qua c’è posto» fece Zec,
indicando con il capo alla loro sinistra. Billy gli era vicino e anche il loro
pranzo era simile a quello scelto da lui.
«Eccoli! Eccoli!» sussurrò una voce
maschile.
«Potevano continuare a non presentarsi»
sibilò una femminile.
«Shh!
Non sappiamo cosa possono fare se perdono la calma» li ammonì un altro ragazzo.
Donovan deglutì a fatica e strinse con
le dita il vassoio. Quando furono al tavolo e lo posò, le sue nocche erano
bianche. Lasciò cadere lo zaino ai suoi piedi e tirò la sedia sotto il sedere.
Michelle arrivò per ultima e si sedette
di fronte a lui. Il suo vassoio era il più zeppo. «Stai bene? Sembri sul punto
di soffocare.»
Lui si sforzò di sorridere e disse solo:
«Mangiamo.»
«Betty, devi aiutarmi con storia» fece
Zec, fingendo di ignorare i commenti intorno a loro. «Mi sono perso durante la
spiegazione e non ho finito di prendere appunti.»
«Anche io» intervenne Billy.
Al suo fianco, Betty posò la forchetta
nel piatto e tirò la borsa a tracolla sulle ginocchia. Fece scorrere la
cerniera e pescò un quaderno rosso con una spirale. «Vi posso dare i miei appunti,
ma mi servono entro venerdì.»
Donovan apprezzò il loro tentativo di
avere una conversazione normale, anzi voleva rilassarsi a tutti costi. Poi i
suoi occhi scorsero il libro di matematica nella borsa della sua ragazza e gli
venne un dubbio. Lasciò cadere la forchetta nel piatto, raccolse da terra lo
zaino e lo aprì frenetico. «Merda!» imprecò.
«Cosa c’è?» domandò Betty.
«Ho preso il libro sbagliato
dall’armadietto. Questo è di letteratura, a me serve quello di matematica per
l’ultima ora.»
«Non è un problema» rispose Michelle,
pulendosi con un tovagliolino le labbra sporche di ketchup.
«Abbiamo tutto il tempo, finito di
mangiare, di tornare a prenderlo» disse Billy, parlando al plurale.
Donovan scosse la testa arrabbiato. «Non
è questo il punto. Prima mi hanno distratto le solite chiacchiere, se stessero
zitti e ci lasciassero in pace, non mi sarei confuso.» Parlò di proposito a un
volume più alto del necessario.
Betty gli massaggiò il braccio.
«Tranquillo, non è… un problema» ripeté.
«Continuate a dirlo, ma è chiaro che è un problema» sbottò. «Ma non è nostro,
non abbiamo fatto nulla di male.»
Di fronte a lui, in mezzo agli altri due
amici, Zec si sporse in avanti.«Hai ragione. Però se cedi hanno vinto loro.»
«Lo so» ribatté Donovan. «È tutto così
frus…»
«Che succede qui?» domandò un ragazzo
alto, asiatico con ciocche di capelli scuri tenute a punta dal gel. Indossava
la tuta rossa della squadra di basket e intorno aveva cinque compagni con lo
stesso abbigliamento.
«Niente che ti riguarda, Aiden» rispose
Billy.
Aiden lo ignorò. «Il club dei pazzoidi
sta per dare di matto?»
Gli altri membri della squadra di basket
scoppiarono a ridere.
Loro lo fissarono seri. Donovan serrando
la mascella.
«Cavoli, vi hanno proprio lobotomizzato
al Reicdleyen» continuò divertito. «“Pazzoidi”, “dare di matto”, non capite la
batt…»
Donovan scattò in piedi come una furia e
gli assestò un pugno sotto il mento, facendolo sbilanciare e mandandolo contro due ragazzi dietro di lui.
Dopo i primi attimi di sorpresa, Aiden
si staccò con veemenza dai compagni.
Si lanciò su di lui, Donovan cadde con
la schiena sul tavolo e una fitta atroce si diffuse su tutta la spina dorsale; spinto
dal peso del corpo dell’atleta sopra il suo, scivolò sulla superficie. I vassoi
finirono sul pavimento in una pioggia di nuggets di pollo e contorni misti,
mentre Aiden prese a sferrargli pugni al volto.
«Basta! Smettila!» udì gridare Betty.
Seppur intontito dal dolore alla faccia,
Donovan riuscì a parare un colpo e intravide Billy e Zec afferrare Aiden per le
spalle e cercare di toglierglielo di dosso. Mosso dalla rabbia, gli rifilò una
ginocchiata in pieno stomaco. Aiden gemette e provò a colpirlo all’occhio con
un nuovo pugno, ma lui si scostò in tempo e le nocche dell’altro si scontrarono
sul legno plastificato del tavolo.
Aiden lanciò un urlo e fissandolo in
volto, Donovan intravide le sue pupille diventare gialle e qualcosa di lungo e
affilato spuntare dalle gengive. Durò solo un istante.
«Cosa state facendo laggiù?» urlò la
voce del coach Adams.
I compagni di squadra di Aiden, rimasti
a guardarli divertiti, si unirono a Zec
e Billy, affrettandosi a separarlo da
lui. Aiutato poi da Betty e Michelle, Donovan tornò a fissare il suo
avversario, ma non notò nessun tratto atipico nel suo volto.
«Non riuscite neanche a mangiare come
delle persone normali? Dovete azzuffarvi come bestie!» li aggredì l’uomo dopo
averli raggiunti.
Intorno a loro si formò un capannello di
studenti, ma nessuno osò fiatare.
Sorretto dalle amiche, Donovan vide
Aiden tenersi la pancia con smorfie doloranti. Provò a sorridere, ma avvertì una
fitta alle guance e sotto l’occhio destro.
«Ha cominciato lui» disse Michelle,
puntando l’indice sinistro contro Aiden.
«Non mi interessa» rispose il coach
Adams. Squadrò sia lui che l’altro ragazzo e aggiunse: «Cheung, spera di essere
a posto per l’allenamento di oggi pomeriggio. Brennon, cerca altri modi per
sfogarti. Portateli in infermeria e ringraziate che non ho ancora pranzato, o
vi trascinavo personalmente dal preside.»
Donovan aprì la bocca per ribattere, ma
Betty scosse con fermezza la testa e così rimase zitto. Si lasciò prendere
sotto il braccio da Billy, che reggeva già il suo zaino e si avviò con lui nel
corridoio, sentendo Aiden e un altro membro della squadra di basket procedere dietro
di loro.
«Che ti è preso? Era solo una stupida
battuta» gli sussurrò Billy.
«Io… non so…mi dispiace» riuscì a
sibilare.
Donovan e Aiden rimasero in silenzio,
seduti su due brandine uno di fronte all’altro per il resto della durata della
pausa pranzo.
A
quanto pare la nostra salute non è una priorità dell’infermiera
pensò Donovan. Si guardò intorno nello stanzino dalle pareti azzurro sporco,
con un unico armadio chiuso a chiave, accorgendosi solo in quel momento della
borsa sportiva dell’altro ai piedi della brandina. Tra un asciugamano e un paio
di scarpe da ginnastica, la copertina del volume di matematica risaltò, quasi
chiamandolo. Quel libro lo stava perseguitando. D’istinto si piegò e lo
afferrò, sfogliandolo.
«Che cavolo fai?» sbottò Aiden.
«Calmo, sto solo dando un’occhiata,
all’ultima ora ho lezione di matematica» rispose. La sua attenzione fu
catturata dalle pagine degli esercizi: erano tutte completate ed erano solo
all’inizio dell’anno scolastico. Arrivò fino al termine del volume e scoprì che
aveva anche già eseguito le simulazioni dei test finali e il punteggio era il
massimo. Sollevò lo sguardo e disse: «Non sei solo un atleta spaccone, sei un
piccolo genio.»
Aiden gli strappò di mano il libro e lo
buttò nella borsa. «Fatti gli affari tuoi.»
«Ehi! Ti stavo facendo un complimento.
Scommetto che te la cavi bene anche nelle altre materie.»
«Stai zitto!»
«Non c’è niente di male, anzi con il tuo
quoziente intellettivo potrai entrare in qualsiasi college vuoi. Inoltre
potresti smettere di frequentare quei cretini della squadra, non hai bisogno di
loro.»
«Fa’ silenzio!» replicò l’altro, ma
questa volta suonò come un ringhio.
Donovan lo guardò stupito. «Non capisco
perché ti arrabbi tanto. Se avessi le tue capacità io… aspetta, i tuoi
cosiddetti amici non lo sanno, vero?»
Aiden sibilò trai denti. «Mi stai
minacciando?»
Donovan aggrottò la fronte. «Cosa?
Niente affatto. Perché dovrei? Però non capisco perché uno intelligente come te
perde tempo a fare cavolate con quelli come loro. Prima ti sei voluto mettere
in mostra con loro con quella battuta, ma era troppo stupida per uno come te.»
Aiden saltò giù dalla brandina. «Non sai
niente di me, non parlarmi come se mi conoscessi. Faccio quello che mi pare e
sto con chi mi pare.»
«Certo, meglio essere bullo che
bullizzato» commentò. «Non sarò super intelligente ma lo capisco anche io:
mantieni il segreto per non essere emarginato.»
L’altro ragazzo fu scosso da un fremito.
«Non hai… idea della fatica… della pressione…» ansimò tra una parola e l’altra
e inarcò la schiena in avanti. «Fingere sempre… reprimere chi sei… veramente!»
Donovan si alzò a sua volta. «Cosa ti
prende? Non stai bene?»
Aiden ringhiò. Si piegò all’indietro e
rivelò il suo cambiamento. Gli occhi erano assottigliati e con le iridi gialle;
le orecchie divenute a punta; dalla bocca spalancata si vedevano una coppia di
zanne superiori e una di inferiori; i capelli modellati dal gel erano allungati
e arruffati; ciuffi di pelo erano cresciuti dal fondo delle bassette.
«Sei un licantropo!» esclamò Donovan.
Aiden ringhiò ancora, più forte e dalle
mani aperte spuntarono artigli per ogni dito. Si voltò sbavando e ruggì contro
di lui.
Donovan scivolò all’indietro, perdendo
l’equilibrio e si ritrovò seduto sul pavimento.
Billy corse all’interno come un fulmine,
brandendo un coltello e parandosi tra lui e Aiden.
Aiden annusò l’aria tra loro. Si mise a
quattro zampe e balzò fuori dall’infermeria.
Billy si piegò e lo aiutò a rimettersi
in piedi. «Stai bene?»
«Sì, ma come sapevi cosa stava per
succedere?»
«Il mio senso del soprannaturale è
tornato e ho avvertito il pericolo» gli rispose. Infilò il coltello in tasca.
«Per fortuna il mio nascondiglio delle armi non è stato scoperto.»
Donovan guardò l’esterno della stanza
ancora sconvolto. «Dovremmo rincorrerlo?» Poi si bloccò con la bocca aperta.
Una giovane donna di poco più di venti
anni, fece capolino dalla porta. «Brennon e Cheung mi stavano aspettando» disse
osservandoli.
Donovan non riuscì a crederci.
L’infermiera della scuola era Kate, la stessa dell’istituto psichiatrico.
Continua…?
Nessun commento:
Posta un commento