Il Gioco del Branco 5: Tu sei il Tuo Inferno
«Ho capito a quale girone infernale
appartengo» affermò Donovan, stravaccato sul divano di pelle rossa, nel salone
dell’appartamento di Dana all’inferno. Premette un nuovo tasto sul telecomando
stretto nella mano sinistra e con lo sguardo perso davanti al megaschermo della
tv al LED, continuò: «Gli ingordi dei multicanali e delle piattaforme
streaming.»
Alle sue spalle con le braccia
incrociate sul petto, Zec lo osservò sbuffando. Per quanto volesse scaricare la
responsabilità su di lui, sapeva che la colpa per quella situazione era solo
sua.
Erano passate due settimane dalla loro
fuga dall’ Istituto Reicdleyen, grazie al suo accordo con sua sorella demone, e
nessuno di loro pareva intenzionato a trovare un modo per tornare al loro mondo
e alle loro vite normali.
Perfino Betty, di solito la più
assennata tra loro, era stessa accanto a Donovan, intenta a scompigliargli i
capelli biondo scuro con una mano e a pescare sul fondo di un cesto di plastica
giallo con l’altra. La luce dello schermo si rifletté sui loro visi svogliati,
mentre passavano in rassegna tra le varie possibilità di show da seguire.
Zec era sorpreso solo in parte da quella
visione. Tutto era iniziato dopo i primi tre giorni arrivati nella residenza
infernale di Dana. In principio volevano tutti riposarsi un po’, godersi gli
ultimi scampoli d’estate, poi era cominciata la degenerazione. Era ovvio che quell’inferno
– qualunque versione fosse – avrebbe avuto un effetto negativo su di loro, ma
credeva che i suoi amici fossero abbastanza forti da resistere.
Come ormai ripeteva da giorni, fece un
tentativo. Aggirò il divano e andò a sedersi sul lato libero accanto a Donovan.
«Ehi, voi due, non siete stufi di stare
qui?» domandò, strattonando il gomito all’amico.
L’altro emise un verso simile a un
grugnito, scuotendo la testa.
«Avete già visto ogni episodio di ogni
possibile serie tv, vecchia e recente; ogni film prodotto negli ultimi
cinquantacinque anni; persino qualche reality e voi li odiate» sbottò Zec
esasperato. «È arrivata l’ora di staccarvi da questo divano e da quel
televisore.»
«Non fare il guastafeste» replicò Betty,
senza nemmeno guardarlo in faccia. «Vogliamo solo passare del tempo insieme,
tranquilli, io e il mio ragazzo.»
Zec si alzò spazientito e rassegnato.
Gli era ormai chiaro che nella sua dimensione infernale, Dana poteva far leva
sul desiderio più profondo dell’animo e amplificarlo fino a farlo diventare una
condanna. E da solo non poteva combattere la voglia smisurata di Betty e
Donovan di passare la loro prima estate da fidanzati, negata dalla reclusione
nell’istituto psichiatrico.
Girò ancora intorno al divano e si avviò
verso l’uscita del salone.
«Aspetta Zec» lo richiamò Betty.
Lui si voltò con un barlume di speranza.
«Ci porti altri popcorn? Questi sono
finiti.»
Zac la osservò una frazione di secondo
sventolare alle spalle il cesto vuoto e decise di ignorarla. Camminò nel lungo,
interminabile corridoio, sospirando. Dana aveva dato loro pieno accesso alla
sua villa e assecondato ogni richiesta ed era stato il primo errore in cui
erano caduti. Anche lui aveva trascorso qualche giorno nell’ozio, con dei
passatempi, condividendo la voglia degli altri di divertirsi, ma poi si era
risvegliata la noia. Il desiderio di tornare alla vita di tutti giorni e il
problema principale della Bocca dell’Inferno si era fatto un pensiero sempre
più insistente, ma sembrava esserlo solo per lui.
Sentì dei versi provenire dalla camera
alla sua destra, si diresse davanti all’uscio e scoprì una palestra attrezzata
di ogni genere di strumento per allenarsi. Pertiche e parallele alla parte
nord; tapis-roulant per la corsa a quella sud; una fila di bilancieri e panche
per il sollevamento pesi sparsi un po’ ovunque negli spazi restanti. Non era
così strano, ma era certo che quella stanza non fosse presente fino al giorno
prima.
Di nuovo, il verso affannato e
arrabbiato attirò la sua attenzione e scorse nel centro dello stanzone Billy, in canottiera e pantaloncini, con un
paio di guantoni bordeaux intento a prendere a pugni un sacco blu appeso con
una catena al soffitto.
Zec si beò per un istante dell’immagine
del suo ragazzo sudato che metteva in mostra qualche muscolo e la sua foga da
combattente.
«Vai a parlargli?»
Michelle comparve al suo fianco,
facendolo sussultare. «Non servirebbe a niente» le rispose. «È vittima anche
lui dell’influsso di questo inferno.»
«Strano» commentò lei. «Pensavo ne fosse
immune e comunque credevo il suo desiderio consumante fosse stare avvinghiato a
te da qualche parte come i due maniaci del megaschermo.»
Zec la guardò di sbieco. In parte perché
non aveva pensato a quella ipotesi e in effetti era un po’ scocciato che per
Billy non fosse quella l’attività più avvincente. Riflettendoci, ricordò c’era
qualcosa di diverso il lui dopo l’incontro con la donna misteriosa al
Recdleyen: qualsiasi cosa gli avesse detto lo aveva scosso, in principio
pensava in meglio, ora nutriva qualche dubbio. In secondo luogo era sorpreso
lei fosse lucida.
«Tu, piuttosto, non sembri soffrire
degli effetti da desiderio opprimente infernale.»
Michelle scrollò le spalle. «I primi
giorni, forse. Neanche tu, sai come mai?»
«Dovendo ipotizzare il mio caso, può
essere perché ho stabilito l’accordo con Dana di mia volontà e questo mi rende
meno influenzabile.»
«Logico, più o meno» gli rispose. «Per
me forse perché non sono sicura di cosa desidero, o se posso averlo.»
Zec la guardò inarcando un sopracciglio.
«Non ti seguo.»
Michelle mosse la mano destra come a
scacciare una mosca, o un pensiero. «Niente, lascia perdere. Ricordami i
termini del tuo accordo. Hai specificato quanto tempo dovremmo restare qui?»
Lui provò a ricordare il testo della
canzone cantata durante la fuga da sua sorella. «Non mi sembra avesse stabilito
un limite preciso.»
«Bene, abbiamo una possibilità di
spezzare questo contratto, o qualunque cosa sia» disse Michelle.
Zec
ragionò veloce sullo stato degli altri e capì l’inganno di Dana. C’erano i presupposti
per batterla al suo gioco, ma gli serviva dell’altro. «Hai ragione, ma prima
dobbiamo avere un'altra arma a nostro vantaggio.» S’incamminò sempre lungo il
corridoio e aggiunse. «Osserva con attenzione queste pareti e nota se c’è
qualcosa di strano, o ti sembra spuntato all’improvviso.»
«Ok, ma cosa cerchiamo?» domandò lei.
«Non lo so ancora, ma conoscendo mia
sorella deve essere nascosto in bella vista.»
Perlustrarono insieme un primo tratto,
lui scrutando a destra e lei a sinistra. Avanzarono di una ventina di passi,
sguardo attento, ma senza successo.
«Sarebbe più facile se mi dai un indizio
su cosa devo trovare» fece Michelle.
Zec non replicò. Sapeva di essere stato
un troppo vago, ma era altrettanto certo di saper riconoscere quello che gli
serviva se lo avesse visto. Fece scivolare le dita della mano sinistra sulla
parte tiepida di marmo e fu attirato da un luccichio in basso. Si piegò sulle
ginocchia e riconobbe la forma di una chiave di violino.
«Ci siamo» esultò. Afferrò il simbolo e
si rivelò una vera chiave, provò a girarla e una porta fiammeggiante comparve
dentro al muro. «Vieni, Michelle.»
L’amica lo raggiunse. «Hai qualche
garanzia che non finiremo dentro un vulcano, un fiume di lava, o peggio?»
«Stai tranquilla.» Zec spinse la porta
verso l’interno, in realtà, non del tutto sicuro di cosa trovarsi di fronte, a
parte la certezza non ci fosse una trappola. «Qui c’è quello che mia sorella ci
nasconde.»
Entrarono e si trovarono in uno studio
di registrazione. Un ampio vetro li separava da una stanza insonorizzata in cui
scorsero un’asta provvista di microfono, su cui erano abbandonate un paio di
cuffie da ascolto. Davanti al vetro erano posizionati due schermi e una console
piena di tasti e leve. Ai muri ai lati erano incassate due casse acustiche
nere.
«È quello che ti aspettavi?» chiese
Michelle.
«Non proprio» ammise Zec. Spostò gli
occhi sul resto della camera e intravide quattro mobili con cassetti simili ad
archivi. «Dobbiamo cercare più a fondo, guardiamo in quei cassetti, cerca
qualsiasi cosa abbia un legame diretto con Dana.»
Entrambi li aprirono e rovistarono
all’interno.
Zec trovò una serie di custodie quadrate
di CD, senza etichetta, alcune avevano la scritta DEMO in pennarello nero. Nel
secondo trovò un mucchio di foto, in forma umana, che la ritraevano in varie
pose, vestita con abiti diversi, sgargianti o normali. Non riuscì a spiegarsi
cosa stesse insabbiando. Sembravano provini per copertine di album, o poster.
Comunque qualcosa legato all’ambito musicale.
Michelle gli tirò il braccio. «Guarda
qui.»
Le si accostò e fissò il grosso
raccoglitore ad anelli che reggeva in mano. In diverse cartellette trasparenti
erano stampate lettere con il logo di etichette discografiche e il timbro
RESPINTO ben in vista.
«Sono tutte indirizzate a Dana» fece
Michelle, girandone un'altra.
Zec cominciò a mettere insieme i pezzi.
C’era un legame con il suo essere diventata un demone della musica. Aprì i
cassetti rimanenti e cercò un altro raccoglitore simile. Ne trovò uno più
piccolo e lo aprì con foga. All’interno erano raccolti dei contratti
discografici, o meglio delle bozze, come era riportato in alto sopra ad ognuno.
«A quanto pare darvi piena libertà nella
villa non è servito a evitare di farvi ficcanasare.»
La voce di Dana alle loro spalle li colse
di sorpresa.
Michelle lanciò un gridolino e il
raccoglitore le cadde sul pavimento con un tonfo.
«Cosa c’è carotina?» domandò Dana con un
ghigno. «Sei un po’ tesa?»
«Non puoi più prenderci in giro»
sentenziò Zec. «E ora devi lasciarci andare.»
«Abbiamo fatto un patto, ricordi?»
«Senza termini di scadenza» le rispose.
«Quindi siamo liberi di lasciarti quando volgiamo e tu non hai l’autorità per
trattenerci. Devi aprirci il portale per farci tornare a casa.»
Michelle lo fissò incredula. «Hai capito
tutto questo dalle scartoffie?»
«Dovevo aspettarmelo» disse Dana, senza
scomporsi. «Mi ero accorta che ti eri fatto più furbo, non credevo così tanto.»
«Stai ancora cercando di prendere tempo,
ma il tuo inganno è finito.» Zec la guardò serio, senza rabbia. «Non sei la
moglie di Sweet, il demone del musical.»
«Ah no?» intervenne Michelle confusa. «E
di chi?»
«Di nessuno. Non c’è nessun contratto
matrimoniale. Seguendo le regole di Buffy
i demoni maggiori sono costretti a rilasciarli e lei non ne ha nessuno» continuò
Zec. «Mia sorella ambiva a diventare una cantante famosa, una popstar, o una
rockstar; voleva girare il mondo in tour; avere dei fan, gloria e tutto ciò che
porta il successo. Per questo se ne andata da casa.»
Dana incrociò le braccia sui seni, assumendo
una posa difensiva. «Non è solo per quello, e lo sai bene. Te l’ho detto al
nostro primo rincontro.»
«Ok, ma la vera ragione per cui sei
scomparsa è perché i tuoi progetti sono andati in fumo. Non ottenendo ciò che
volevi, hai sfruttato l’energia psichica di Elliott e il suo mutare la realtà
in stile Bocca dell’Inferno.»
Michelle si schiarì la voce. «Quindi ha
scelto volutamente di essere un demone?»
«Si è adattata alla situazione. E poi le
è sempre piaciuto avere un’aria da “bad girl”» spiegò Zec.
A fatica Dana riportò un sorriso sul
volto. «Non confermo e non smentisco.»
Lui emise una risata nervosa. Sua
sorella riusciva a dargli sui nervi anche quando era stata palesemente
scoperta. «Non ce ne è bisogno, le tue azioni parlano da sole. Ti sei creata il
tuo inferno personale, come me lo hai definito, raggiungendo il tuo sogno di
fare la cantante, ma eri sola. E non ti piace la solitudine, o peggio non avere
un pubblico. Così hai cercato in ogni modo di trascinarmi qui e quando hai
visto l’occasione, ci hai portati tutti. Speravi che l’influsso di
amplificazione dei desideri ci facesse perdere la cognizione del tempo e
tenerci qui all’infinito. O fin quando non ti fossi stancata di noi.»
«Non mi stancherò mai di te» rispose
Dana in tono mellifluo. «E nemmeno di te, carotina.»
«Basta» disse Michelle. «Zec ha ragione:
libera gli altri dalla tua influenza, aprì il portale e lasciaci liberi.»
«Anche se non siete sotto l’effetto del
mio inferno, e non capsico bene come, è così brutto stare con me? Mi sembra vi
siate divertiti all’inizio» fece Dana.
«Sì, all’inizio, come hai detto. Però
deve essere una nostra scelta, non possiamo colmare il tuo vuoto» rispose Zec
calmo. «Non potremmo mai farlo finché tu sarai il tuo inferno.»
Dana mantenne lo sguardo su di lui e
ebbe l’impressione le labbra le tremassero appena. Se per rabbia, o tristezza
non seppe distinguerlo.
«Come volete» gli disse poi, nel pieno
controllo di sé. «Per la cronaca le mie intenzioni non erano del tutto
egoistiche. Per provarvelo, cancellerò da tutti il ricordo della vostra fuga e
lo sostituirò con un ufficiale rilascio per sanità mentale.»
Zec si scambiò un ultimo sguardo con
Dana senza parlare. La loro partita da fratelli era di nuovo sulla parità.
Sua sorella si girò per guidarli verso
l’uscita. «È solo un arrivederci, finché Elliott sarà in coma, avrete bisogno
di me.»
Lui si voltò verso Michelle. «Andiamo
dagli altri. Le vacanze sono finite, si torna a casa.»
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