Il Gioco del Branco 3: Una Chiamata per l’Inferno
«Noi usciremo da qui» disse Billy.
Nell’affollato refettorio dell’istituto
Reicdleyen, la sua voce poteva perdersi nella miriade di lamenti, chiacchiere e
versi dei vari internati riuniti per il pranzo, ma Zec la udì forte e chiaro. E
ne fu felice.
Era la prima volta che il suo ragazzo
riprendeva a parlare dopo mesi e aveva scelto l’occasione migliore: per i pasti
riuscivano a riunirsi tutti più o meno vicini in un grande tavolo, tra loro
c’erano altri ospiti, ma la maggior parte li ignoravano.
Zec passò in rassegna i volti degli
amici: di fronte a lui Michelle rimase a bocca aperta; a un posto di distanza
da lei Betty sgranò gli occhi dietro le lenti degli occhiali; Donovan, seduto
dal suo stesso lato del tavolo, si sporse in avanti per superare il ragazzo che
aveva vicino e guardò Billy di traverso.
Lui, che gli era a fianco, sentì le sue
labbra piegarsi in un sorriso. Non era più catatonico, mangiava e progettava
qualcosa: tutti segnali positivi
«Allora, ti sei ripreso?» chiese
titubante Betty. «Ieri pomeriggio sembravi… ecco ancora assente, ma adesso…»
«Ho avuto una chiacchierata rivelatrice»
rispose Billy sorridente. «Non so bene come, ma mi ha sbloccato. Ovviamente i
dottori mi hanno fatto delle domande e diversi esami durante la mattina, ma non
mi hanno detto nulla sugli esiti.»
Donovan si stese quasi sul tavolo per
riuscire a vederlo bene. «Quindi è tutto merito di quella tipa di ieri? La
misteriosa signorina che ti conosce, anche se non esiti?»
Billy annuì. «È un’amica di Elliott e
anche mia. Rivederla mi ha scosso… in un certo senso… e dato la spinta a
tornare lucido. Mi ha spronato a reagire e a tornare a vivere.»
«È stupendo» esclamò Zec. Più del
desiderio di uscire da quel posto, aveva sperato di trovare un modo per aiutare
il suo ragazzo a riprendersi, ma senza arrivare ad alcuna soluzione. Ora non
gli interessava sapere cosa lo avesse risvegliato, gli importava solo che fosse
tornato.
Michelle giocherellò con la crosta del
pane del sandwich nel piatto. «E possiamo sapere con precisione perché proprio
questa persona ha avuto questo effetto su di te?»
«Non saprei spiegarlo con precisione. È
come se avesse sbloccato una parte del passato di Elliott in me. Magari quando
saremo fuori di qui potremmo indagare più a fondo» disse Billy. «Ci siamo
rimasti fin troppo. E poi dobbiamo cercare il mio corpo, cioè quello di
Elliott. È scomparso dall’ospedale.»
«Lo sapevo già» fece Betty. «Vi avrei
avvisato adesso a pranzo. Ieri è venuto a farmi visita Kenny, me lo ha rivelato
lui e dice che è scomparsa anche la Falce.»
Zec la guardò dubbioso. «Pensi sia
vero?»
Betty aprì la bocca per rispondere,
quando la ragazza tra lei e Michelle emise un verso di fastidio, poi lanciò il
piatto in aria e saltò in piedi sulla panca. Due inservienti arrivarono di
corsa alle loro spalle, mentre il piatto s’infrangeva sul pavimento, e presero
la ragazza di peso. La tirarono giù e la trascinarono via dal refettorio.
Michelle scivolò al fianco di Betty e
lei rispose: «Non aveva ragione di mentire, anzi sperava sapessi dirgli io dove
cercarla.»
«Una ragione in più per accelerare la
nostra uscita» ribadì Billy.
Michelle sospirò. «È più facile a dirsi:
da quando siamo entrati i miei poteri e quelli di Zec sono bloccati.»
Zec annuì. «Già, sarà per colpa delle
medicine, o qualcos’altro in questa struttura che li annulla. Anche perché, se
ci avete fatto caso, da quando ci siamo, qui dentro non è successo nulla di
soprannaturale.»
«E poi ci sono quelli lì: ci seguono
dovunque, tranne che in bagno. Specialmente l’infermiera Kate» concluse
Michelle, facendo un cenno con il mento oltre le loro spalle.
Zec voltò di poco il collo all’indietro.
Il corpo infermieristico era piuttosto scrupoloso con tutti, ma in effetti
sembravano avere un attenzione speciale per il loro gruppo.
Billy guardò a sua volta gli infermieri
e poi tornò a rivolgersi a loro. «Troveremo di sicuro un modo, abbiamo
affrontato di peggio e insieme su…»
«Non ti credo» lo interruppe Donovan.
Zec e gli altri tre amici lo fissarono
sbalorditi.
«È inutile che fate quelle facce. Chi ci
dice che è sincero? Insomma, tre mesi fa voleva uccidersi-barra- suicidarsi, ci
ha fatti rinchiudere in manicomio ed è rimasto catatonico tutto il tempo. E
ora? Puf rincontra una vecchia amica ed è tornato
tutto come prima? Come sappiamo che non tenterà di nuovo di ammazzasi appena
saremo fuori?»
«Che domanda stupida» replicò Zec
arrabbiato. «Ora sta bene e si vede che non intende rifarlo.»
Billy gli sfiorò gentilmente la mano
destra. «No, ha ragione. Capisco perché voglia una garanzia. Come faccio a convincerti?»
Donovan lo guardò serio. «Fai un
programma a lungo termine. Qui dicono che se non hai intenti suicidi, fai
progetti per il futuro. Dimmene uno.»
«D’accordo.» Billy ci rifletté un paio
di minuti e poi disse: «Prendiamo l’impegno di uscire tutti insieme per
Halloween, tra due mesi. Andremo a una festa e ci travestiremo da X-Men.»
Gli occhi di tutti loro si spostarono
ancora una volta su Donovan.
«Ok, ti credo» rispose lui e sorrise
compiaciuto. «Adesso qualcuno ha una vera idea per andarcene?»
Zec
sospirò esasperato. Donovan era fatto così: cambiava atteggiamento nel tempo di
un battito di ciglia.
«Io avrei una proposta» intervenne
timidamente Michelle. «C’è una persona che possiamo contattare e può aiutarci a
venirne fuori: Dana.»
«Mia sorella?» fece Zec. Non sapeva se
prenderla sul ridere o infuriarsi. «Scherzi, vero? Ci ha lasciato nei guai
nella camera di Elliott all’ospedale e non si è mai fatta vedere per tutto
questo tempo.»
Billy intervenne di nuovo a calmarlo.
«Però è l’unica nostra possibilità. Pensaci: voi siete senza poteri, non c’è
nessun altro disposto ad aiutarci con una semplice telefonata, o che ci creda
sulla parola e abbia i mezzi per farci uscire.»
«Ma non possiamo chiamarla, non ho il
cellulare che mi aveva dato, me lo hanno requisito il giorno che ci hanno trascinato
dall’ospedale a qui per il ricovero.»
«Io so dov’è» rispose Betty. «È in una
stanza al pianterreno, dove tengono gli effetti personali dei degenti.»
Donovan spinse indietro il suo vicino di
panca, che non reagì. «Ottimo. Ci serve solo un buon diversivo per riprenderci
il cellulare, poi basterà una cantatina e saremo liberi.»
Zec era contrario a quel piano, guardò
Billy in volto, sperando capisse le sue remore. Ma incontrò il suo timido
sorriso e lo sguardo fiducioso, l’espressione con cui in passato lo aveva
sempre convinto che anche la più assurda delle idee poteva avere successo.
«Ok. Come volete.» Sospirò rassegnato e
capitolò. Non era proprio capace di resistergli.
Il piano era semplice, forse fin troppo
secondo l’opinione di Zec.
Durante l’ora di ricreazione sarebbero
stati di nuovo tutti riuniti nella stessa stanza, proprio al pianterreno. Sistemati
nelle rispettive postazioni, che occupavano quasi abitualmente, attesero il
momento propizio per agire. Betty aveva suggerito di aspettare l’inizio
dell’ora delle viste, gli inservienti avrebbero avuto più da fare nel
controllare visitatori e residenti dell’istituto ed era più facile sfuggire
alla loro sorveglianza.
Come sempre, Zec dovette ammettere che
l’amica aveva avuto una pensata geniale.
Seduto nella poltrona, vide i primi
ragazzi venir accompagnati ai tavoli per gli incontri con gli esterni, spostò
lo sguardo e la osservò scostarsi la coda di cavallo sopra la spalla destra, il
segnale che toccava a Michelle fare la sua mossa.
La ragazza annuì. Si alzò in piedi, si
mosse in avanti e barcollò in modo poco convincente a destra e a sinistra. Zec
dubitò fosse in grado di recitare la sua parte, poi la vide accasciarsi a terra
e stringersi in una posizione fetale e mugolare: «Sto male… sto male…» e
dovette ricredersi.
Una coppia di infermieri maschio e
femmina le si avvicinarono di corsa.
«Che cosa succede?» chiese lui.
«Cosa ti senti?» domandò lei,
accovacciandosi al suo fianco.
«Ma non vedete? È la solita commedia»
esclamò Betty, balzando in piedi dalla sedia. «Per questa ogni scusa è buona
per cercare di farsi dare altro cibo» aggiunse e si avvicinò minacciosa ai due
infermieri e a Michelle.
Il maschio le si parò davanti. «Ehi,
ferma lì! Ce ne occupiamo noi.»
«Aiutatemi, mi fa male la pancia… ho i
crampi allo stomaco» si lamentò Michelle.
«Visto? È solo una senza fondo che vuole
mangiare, mangiare e mangiare ancora.»
L’infermiera femmina alzò lo sguardo
verso il collega. «Dovremmo portarla in infermeria: è la procedura.»
L’infermiera Kate sopraggiunse
all’improvviso. «Cosa sta succedendo? Qual è il problema?»
Betty le si buttò addosso. «Non è
giusto, quella lì fa tante scene e ottiene quello che vuole! Anche io voglio
qualcosa in più degli altri!»
L’infermiere maschio l’afferrò per le
spalle e la scostò bruscamente da Kate. Vedendola ancora disorientata, Betty
fece un lieve cenno con la testa.
Zec lo colse all’istante e si spostò
dalla scena senza essere notato. Billy e Donovan si mossero furtivamente al suo
fianco, e mentre Betty e Michelle urlavano la loro sceneggiata, uscirono dal
salone indisturbati.
«Dobbiamo andare sempre dritto per
questo corridoio» disse Zec ai due compagni. Poi si fermò di colpo a pochi
passi dalla reception. «Merda! Ci siamo dimenticati un dettaglio importante.»
«Cosa?» domandò Donovan sulle spine.
«La porta della stanza dove tengono la
roba sarà chiusa a chiave e non abbiamo nulla per forzarla.»
Billy guardò davanti a sé. «Vuol dire
che improvviseremo.»
«Cosa vu… »
L’altro corse in avanti, raggiunse
l’abitacolo con l’infermiere e fermandosi di fronte a lui, gli sorrise e lo salutò con il palmo aperto. L’uomo
schizzò fuori e prima che potesse parlare, Billy gli sferrò un pugno sul volto,
mandandolo K.O.
Zec e Donovan lo raggiunsero.
«Era proprio necessario?» gli chiese,
sentendosi in colpa.
Billy gli posò la mano sulla spalla.
«Tranquillo, è solo svenuto e se la caverà con un semplice brutto livido.»
Donovan s’inginocchiò, e frugandogli
nelle tasche, trovò un mazzo di chiavi. «Speriamo ci sia anche quella che serve
a noi.» Si rialzò e osservò l’uomo sul pavimento. «Spostiamolo o ci beccheranno
subito.»
Riluttante, Zec aiutò il fidanzato a
prenderlo per le spalle, mentre l’altro ragazzo lo trascinava per i piedi. Lo
deposero sotto il bancone della
reception, lontano dalla vista esterna.
Proseguirono correndo per il corridoio,
sul lato destro trovarono una porta grigia con una rete sulla parte superiore.
In alto era riportata la dicitura DEPOSITO
EFFETTI PERSONALI. Donovan
provò a infilare la prima chiave nella
toppa, ovviamente senza successo. Gli ci vollero altri tre tentativi, ma con la
quinta andò a segno.
«Bingo!» esultò. Aprì la porta entrò e
accese l’interruttore della luce.
Zec e Billy lo seguirono e lui la
richiuse girando la chiave nella serratura. All’interno trovarono una coppia di
mobili in metallo con quattro scaffali ciascuno. Sugli scaffali erano
raggruppati circa venticinque scatoloni, all’interno, ognuno conteneva
sacchetti di plastica sigillati con dentro vari oggetti e con applicato sulla
superficie un adesivo con un numero identificativo.
«Dobbiamo controllarle tutte» disse
Billy.
«Scherzi? Non faremo mai in tempo»
replicò Donovan.
Zec si avvicinò a una scatola e
controllò un paio di sacchetti. Il numero indicativo era di tre cifre, la prima
separata da un trattino dalle altre due. Quelli che aveva in mano riportavano
il numero 1-01 e 1-02. Rifletté rapido e
ipotizzò a cosa potessero riferirsi.
«Sono raggruppati in base alla divisione
dei pazienti: il primo numero è quello della stanza, gli altri quelli di chi la
occupa» spiegò. «Cerchiamo la scatola che contiene i sacchetti con i numeri
3-12 e 3-13.»
I due compagni annuirono, si divisero
gli scaffali e pochi minuti dopo, Donovan gridò: «Ce li ho!»
Zec lo raggiunse con Billy. L’amico gli
porse il sacchetto 3-12 e attraverso la plastica trasparente intravide il
cellulare. Lo estrasse e lo strinse nella mano sinistra.
Nello stesso istante, all’esterno
qualcuno urlò a gran voce: «Aiuto! C’è un infermiere a terra!»
«Devi sbrigarti» lo esortò Billy.
Zec richiamò dall’elenco multimediale
del telefono la lista di brani musicali e trovò quello ideale. Quello che
parlava della loro estate. Cruel Summer
la cover degli Ace of Base. Fece partire la canzone e si concentrò per cantare
la sua emotiva e personale versione:
«Estate tremenda e afosa nel manicomio, anche seduto in disparte
Provo
a trovare una spiegazione, ma tutto mi soffoca qui
Le
voci di estranei mi sovrastano (alcuni dicono sono nella testa)
Ma
c’è una cosa che non capisco
Nel
tuo caldo infernale non mi hai teso una mano
Sei
stata crudele in questa estate
Abbandonarmi
lì e qui al mio destino
Sei
stata crudele in questa estate
Sei
scappata e non hai mollato solo me»
Bussarono con fermezza alla porta chiusa
a chiave. «Aprite! Sappiamo che siete dentro!»
Erano due uomini, li videro attraverso
la rete metallica, ma Zec proseguì imperterrito.
«Questo posto pullula di infermieri, io e i miei amici siamo alle
strette
Non
potremo gestirli tutti, ti chiedo aiuto: servi tu per andarcene
Per
tornare a casa…
Sei
stata crudele in questa estate
Abbandonarmi
lì e qui al mio destino
Sei
stata crudele in questa estate
Sei
scappata e non hai mollato solo me
Sei
stata crudele in questa estate
Abbandonarmi
lì e qui al mio destino
Sei
stata crudele in questa estate
Sei
scappata e non hai mollato solo me»
«Aspetta, forse ho un’altra chiave» disse
uno all’altro. Si frugò in tasca. Poi la serratura scattò. Il pomello venne
girato e la porta si spalancò. I due comparvero sulla soglia e li guardarono
arcigni.
Donovan e Billy si accostarono a Zec e
cantarono con lui
« Sei stata crudele in questa estate
Sei
stata crudele in questa estate
Sei
stata crudele in questa estate
Sei
stata crudele in questa estate»
Gli infermieri fecero un passo avanti.
La musica sovrastò le loro tre voci.
E una foschia porpora si diffuse in
tutta la stanza.
Continua…?
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