lunedì 3 luglio 2023

Adolescenza sulla Bocca dell'Inferno - Puntata 37

Il Gioco del Branco 1: Estate Sprecata per la Mente Addormentata

 

Sospirando, Betty appoggiò il mento sui palmi. Seduta nella sala intrattenimento, con i gomiti sul tavolo, osservò attraverso le lenti degli occhiali l’immagine allettante del giardino davanti a lei. Il vetro delle porte di sicurezza la separava dall’esterno e il sole spargeva luce e calore nella triste e deprimente stanza dell’istituto psichiatrico Reicdleyen.

«La vita fa schifo» disse in un sussurro.
Era prigioniera in quel luogo per una colpa non commessa. Il tentato omicidio di Elliott Summerson con una falce era stato evitato grazie al suo intervento e dei suoi amici, e non opera loro come erano stati accusati. Avevano provato a raccontare la verità, ma il risultato era stato il ricovero forzato in quella struttura.
Tre mesi. Tre lunghi e interminabili mesi a dover parlare con dottori e fare sedute di gruppo, per essere stata sincera e aver combattuto ogni sorta di stramberia e orrore che Elliott aveva ricreato nel mondo reale con i suoi poteri psichici.
E non si era trattato di tre mesi qualunque. Aveva perso l’intera estate rinchiusa un quel posto.
«Le vacanze migliori gettate nel water» sospirò di nuovo. Non aveva neanche più la forza di arrabbiarsi.
«Non abbatterti, non possono trattenerci qui dentro ancora a lungo» le disse Donovan con un sorriso, seduto alla sua destra, un tavolo distante dal suo. «Recupereremo il tempo perduto.»
Lui era un’altra ragione per cui era così depressa. Aveva un fidanzato spiritoso e carino, aveva fatto centinaia di programmi per loro quell’estate, che sarebbe stata la loro prima insieme come coppia. Invece erano riusciti a vedersi a stento: solo quando avevano una seduta di gruppo, oppure a quella distanza nelle ore di ricreazione in quella stessa stanza. Ovviamente con infermieri a fare la guardia in modo non ci fossero contatti troppo ravvicinati
I medici e i loro genitori erano convinti che la loro “situazione” peggiorava quando erano in gruppo, così era stata anche allontanata dai suoi unici veri amici. 
Michelle entrò nel suo campo visivo, la loro stessa divisa da internati – maglietta a maniche corte e pantaloni della tuta – troppo stretta per la sua stazza, le mise in evidenza la carne quando si sedette alla sua sinistra, tenendo la stessa distanza di Donovan.
«Ho incrociato Zec» disse senza guardarla in faccia. «Sta arrivando e ci sarà anche Billy.»
Betty si voltò di scatto nella sua direzione. «È sveglio?»
«No, lo hanno preso a forza dal letto» le rispose.
La ciliegina sulla torta della reclusione al Reicdleyen era stata la caduta improvvisa e inspiegabile di Billy in stato catatonico. Anche se odiava ammetterlo, Betty lo reputava l’unico responsabile del guaio in cui si trovavano e anche il solo in grado di tirarli fuori con le sue doti, se non si fosse chiuso in se stesso dall’esatto instante in cui avevano messo piede lì.
Zec entrò nella sala, passò davanti a loro tre, con il pollice destro indicò dietro di sé e prese posto nella poltrona alle sue spalle.
Due infermieri in divisa bianca reggevano Billy per le braccia e lo trascinarono nell’angolo opposto al loro, dietro un lungo tavolo in legno bianco. Lo fecero sedere e si sistemarono a pochi passi da lui.
Betty si girò. L’amico aveva lo sguardo fisso al muro, anche se si capiva chiaramente che non vedeva ciò che aveva di fronte. Era perso in chissà quali pensieri. Osservandolo in quello stesso stato, più di una volta, aveva temuto si fosse in qualche modo ricongiunto alla sua identità principale, costringendoli a rimanere bloccati nell’istituto per sempre. La sua parte logica però le suggeriva che se cosi fosse stato, Billy sarebbe dovuto scomparire o qualcosa del genere.
«Elizabeth Swanson.»
Sentendosi chiamare con il nome completo, Betty tornò a guardare davanti a sé. L’infermiera le sostava davanti, in divisa bianca e golfino blu, con sopra appuntato il cartellino con scritto ‘Kate’ e la fissava con espressione neutra. L’aveva già vista spesso durante l’estate, in genere era lei a occuparsi di portarle le  medicine e a seguirla nei suoi spostamenti.
«Sì? Cosa c’è?»
«Hai una visita» le rispose, indicando un tavolo dalla parte opposta della stanza, dove si potevano ricevere persone dall’esterno. «Ti accompagno.»
Betty si alzò e provò a indovinare chi fosse il visitatore. Sua madre e suo padre erano già andati il giorno prima e sarebbero tornati solo nel fine settimana. Passò davanti a Donovan, e la guardò con aria interrogativa, ma poté solo ricambiare lo sguardo con la stessa sorpresa.
L’infermiera Kate la prese sotto braccio e la scortò lungo lo spazio che la separava da quell’area. Non riusciva a immaginare chi fosse il visitatore. Non aveva altri parenti in città e nessun compagno di scuola si era azzardato a entrare nell’istituto psichiatrico.
Quando la distanza tra loro fu ridotta, notò lo sconosciuto con indosso una maglia con il cappuccio, lo teneva calato sulla testa nonostante il caldo, e guardava verso il basso, rendendole impossibile riconoscerlo dal viso.
Kate scostò la sedia e la fece accomodare. «Riducete al minimo i contatti fisici e io sarò qui nelle vicinanze per ogni necessità.» Sorrise e si allontanò.
Il ragazzo di fronte a lei alzò lentamente il capo e fece scivolare indietro il cappuccio, rivelando riccioli scuri e carnagione color cioccolato.
«Kenny! Che diavolo ci fai qui?» Betty tenne a stento a freno la rabbia, ma sentì la sua voce alzarsi più del dovuto.
«Tranquilla, voglio solo parlare» le rispose.
Rimase a fissarla per alcuni minuti.
Insofferente, Betty disse: «Allora? Vuoi iniziare?»
«Ok, ma calmati o penseranno il peggio di me.»
«E non dovrebbero? Tu e tua sorella ci avete lasciato nei pasticci all’ospedale e non avete fatto nulla neanche dopo per chiarire la situazione.»
Kenny si appoggiò allo schienale. «Dai Betty, sei troppo intelligente per pensare che saremmo rimasti lì a farci incastrare.»
«Potevate comunque trovare un modo per… »
«No» la interruppe. «Non siamo alleati e lo sai. Lo abbiamo sempre ripetuto.»
Betty incrociò le braccia sul petto e mise il broncio. Quell’odioso aveva ragione, sperare nel loro aiuto era proprio da stupidi.
«Comunque ti trovo bene» riprese lui. «Voglio dire, non è come essere in prigione, giusto? Non potete uscire, ma vi trattano bene e non fate niente tutto il giorno. È un po’ come le vacanze.»
«Certo. Una favola» replicò. «Anzi perché non vi trasferite qui anche tu e Kerry? Sarà uno sballo fare dell’inutile terapia tutti insieme.»
«Ok, scusa.»
Il ragazzo rimase in silenzio.
Betty sbuffò. «Insomma, vuoi dirmi perché sei venuto?»
«Si tratta della Falce. È Scomparsa.»
Sgranò gli occhi nel sentirglielo dire. Tirò la sedia più vicino al tavolo e spinse le mani contro la superficie. «Come? E quando?»
«È successo quasi tre mesi fa. Un paio di giorni dopo avervi sorpresi in camera di Elliott Summerson, io e Kerry siamo tornati per recuperarla, ma non c’era più. L’abbiamo cercata in tutto l’ospedale Saint Mary, ma sembra scomparsa nel nulla.» Abbassò il tono della voce: «Per caso voi ne sapete di più?»
«Come potremmo? Ti ricordi dove siamo da mesi, grazie a voi?»
«Be’ magari voi non siete in grado, ma Billy? Lui potrebbe aver fatto qualche trucchetto per riprendersi l’arma.»
Betty abbozzò un sorrisetto. «Hai fatto tanta strada per niente. Billy è in stato catatonico dal primo giorno qui. A fatica mangia e si veste, di certo non può evocare la Falce.»
Kenny batté il pugno sul tavolo. «Maledizione. E tu non hai idea di dive possa essere?»
Betty tornò seria. «No. Ora puoi anche andartene.» Tirò indietro la sedia per alzarsi.
«Aspetta» la fermò. «Scusami, non volevo che ti succedesse tutto questo. Dico davvero. Però è importante sapere che fine ha fatto la Falce, capisci anche tu che in mani sbagliate può essere pericolosa.»
«Lo so e tu di certo avrai immaginato che se avessimo potuto evocarla, l’avremmo già fatto e saremmo usciti dall’istituto.»
Kenny annuì. «Sì, è ovvio.»
Non le parve più tanto ostile e provò a sfruttare quel piccolo vantaggio. «Forse mi sbaglio: non è stato un viaggio inutile.»
La guardò incuriosito. «Cosa vuoi dire?»
«Sai del nostro legame con quell’oggetto e possiamo ancora aiutarti» continuò Betty. «Escogita un modo per farci dimettere e tutti insieme troveremo una soluzione. Come hai detto, non possiamo lasciare quell’arma dispersa.»
«Mi dispiace, ma questo non posso farlo» replicò lui. «È meglio se voi restate qua.»
«Perché?»
«È più sicuro per tutti.» Kenny scostò la sedia indietro e si tirò di nuovo il cappuccio sulla testa. Aprì la bocca, ma la chiuse subito senza aggiungere altro. Si alzò e si voltò, procedendo verso l’uscita della sala.
Betty si morse il labbro inferiore infuriata. Avrebbe tanto voluto urlargli di fermarsi, di darle altre spiegazioni, ma sapeva che una scenata del genere avrebbe solo peggiorato la sua posizione lì dentro.
Kate arrivò diligente al suo fianco. «Vieni, Elizabeth. Torniamo all’altro tavolo.»
Non era un invito e Betty lo sapeva. Abbandonò la sedia e si lascio prendere ancora una volta sotto braccio, come la malata che non era.
Camminando verso la sua precedente postazione, vide i due infermieri aiutare Billy ad alzarsi.  Sorreggendolo per le braccia, lo portarono nella sua direzione e si incontrarono per un secondo.
«Ti lascio nelle mani del mio collega» le disse Kate con il solito odioso sorriso.
Mentre uno dei due uomini si staccava da Billy, per prendere il posto della donna al suo fianco, l’infermiera fece lo stesso con il ragazzo.
«Cosa succede? Dove lo portate?» domandò. Non riuscì a nascondere la sua preoccupazione, non dopo quello che le aveva rivelato Kenny.
«È tutto a posto» rispose Kate con voce pacata. «Anche Billy ha diritto alle sue visite.»
Betty restò ancora più sorpresa. Riprese a camminare, ma girò il capo e guardò dietro di sé. Mentre procedeva controvoglia nella zona dei soli internati, riuscì a scorgere la figura della persona venuta per il suo amico.
Era una donna sui trent’anni, pelle color nocciola con i capelli castani tagliati corti appena sotto le orecchie. Non era una degli insegnanti del liceo e non l’aveva mai vista prima d’ora. Era seduta e calma. Non si scompose nemmeno quando Kate e l’altro infermiere fecero accomodare Billy davanti a lei.
Betty non poté fare a meno di chiedersi: chi conosceva Billy oltre a loro, dato che non era reale? E di cosa voleva parlargli?

 

                                                        Continua…? 

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