Il Gioco del Branco 1: Estate Sprecata per la Mente Addormentata
Sospirando, Betty appoggiò il mento sui palmi. Seduta nella sala
intrattenimento, con i gomiti sul tavolo, osservò attraverso le lenti degli
occhiali l’immagine allettante del giardino davanti a lei. Il vetro delle porte
di sicurezza la separava dall’esterno e il sole spargeva luce e calore nella
triste e deprimente stanza dell’istituto psichiatrico Reicdleyen.
«La vita fa schifo» disse in un
sussurro.
Era prigioniera in quel luogo per una
colpa non commessa. Il tentato omicidio di Elliott Summerson con una falce era
stato evitato grazie al suo
intervento e dei suoi amici, e non opera loro come erano stati accusati. Avevano
provato a raccontare la verità, ma il risultato era stato il ricovero forzato
in quella struttura.
Tre mesi. Tre lunghi e interminabili
mesi a dover parlare con dottori e fare sedute di gruppo, per essere stata
sincera e aver combattuto ogni sorta di stramberia e orrore che Elliott aveva
ricreato nel mondo reale con i suoi poteri psichici.
E non si era trattato di tre mesi
qualunque. Aveva perso l’intera estate rinchiusa un quel posto.
«Le vacanze migliori gettate nel water»
sospirò di nuovo. Non aveva neanche più la forza di arrabbiarsi.
«Non abbatterti, non possono trattenerci
qui dentro ancora a lungo» le disse Donovan con un sorriso, seduto alla sua
destra, un tavolo distante dal suo. «Recupereremo il tempo perduto.»
Lui era un’altra ragione per cui era
così depressa. Aveva un fidanzato spiritoso e carino, aveva fatto centinaia di
programmi per loro quell’estate, che sarebbe stata la loro prima insieme come
coppia. Invece erano riusciti a vedersi a stento: solo quando avevano una
seduta di gruppo, oppure a quella distanza nelle ore di ricreazione in quella
stessa stanza. Ovviamente con infermieri a fare la guardia in modo non ci
fossero contatti troppo ravvicinati
I medici e i loro genitori erano
convinti che la loro “situazione” peggiorava quando erano in gruppo, così era
stata anche allontanata dai suoi unici veri amici.
Michelle entrò nel suo campo visivo, la
loro stessa divisa da internati – maglietta a maniche corte e pantaloni della
tuta – troppo stretta per la sua stazza, le mise in evidenza la carne quando si
sedette alla sua sinistra, tenendo la stessa distanza di Donovan.
«Ho incrociato Zec» disse senza
guardarla in faccia. «Sta arrivando e ci sarà anche Billy.»
Betty si voltò di scatto nella sua
direzione. «È sveglio?»
«No, lo hanno preso a forza dal letto»
le rispose.
La ciliegina sulla torta della reclusione
al Reicdleyen era stata la caduta improvvisa e inspiegabile di Billy in stato
catatonico. Anche se odiava ammetterlo, Betty lo reputava l’unico responsabile
del guaio in cui si trovavano e anche il solo in grado di tirarli fuori con le
sue doti, se non si fosse chiuso in se stesso dall’esatto instante in cui
avevano messo piede lì.
Zec entrò nella sala, passò davanti a
loro tre, con il pollice destro indicò dietro di sé e prese posto nella
poltrona alle sue spalle.
Due infermieri in divisa bianca reggevano
Billy per le braccia e lo trascinarono nell’angolo opposto al loro, dietro un
lungo tavolo in legno bianco. Lo fecero sedere e si sistemarono a pochi passi
da lui.
Betty si girò. L’amico aveva lo sguardo
fisso al muro, anche se si capiva chiaramente che non vedeva ciò che aveva di
fronte. Era perso in chissà quali pensieri. Osservandolo in quello stesso
stato, più di una volta, aveva temuto si fosse in qualche modo ricongiunto alla
sua identità principale, costringendoli a rimanere bloccati nell’istituto per
sempre. La sua parte logica però le suggeriva che se cosi fosse stato, Billy
sarebbe dovuto scomparire o qualcosa del genere.
«Elizabeth Swanson.»
Sentendosi chiamare con il nome
completo, Betty tornò a guardare davanti a sé. L’infermiera le sostava davanti,
in divisa bianca e golfino blu, con sopra appuntato il cartellino con scritto
‘Kate’ e la fissava con espressione neutra. L’aveva già vista spesso durante
l’estate, in genere era lei a occuparsi di portarle le medicine e a seguirla nei suoi spostamenti.
«Sì? Cosa c’è?»
«Hai una visita» le rispose, indicando
un tavolo dalla parte opposta della stanza, dove si potevano ricevere persone
dall’esterno. «Ti accompagno.»
Betty si alzò e provò a indovinare chi
fosse il visitatore. Sua madre e suo padre erano già andati il giorno prima e
sarebbero tornati solo nel fine settimana. Passò davanti a Donovan, e la guardò
con aria interrogativa, ma poté solo ricambiare lo sguardo con la stessa
sorpresa.
L’infermiera Kate la prese sotto braccio
e la scortò lungo lo spazio che la separava da quell’area. Non riusciva a
immaginare chi fosse il visitatore. Non aveva altri parenti in città e nessun
compagno di scuola si era azzardato a entrare nell’istituto psichiatrico.
Quando la distanza tra loro fu ridotta,
notò lo sconosciuto con indosso una maglia con il cappuccio, lo teneva calato
sulla testa nonostante il caldo, e guardava verso il basso, rendendole
impossibile riconoscerlo dal viso.
Kate scostò la sedia e la fece
accomodare. «Riducete al minimo i contatti fisici e io sarò qui nelle vicinanze
per ogni necessità.» Sorrise e si allontanò.
Il ragazzo di fronte a lei alzò
lentamente il capo e fece scivolare indietro il cappuccio, rivelando riccioli
scuri e carnagione color cioccolato.
«Kenny! Che diavolo ci fai qui?» Betty
tenne a stento a freno la rabbia, ma sentì la sua voce alzarsi più del dovuto.
«Tranquilla, voglio solo parlare» le
rispose.
Rimase a fissarla per alcuni minuti.
Insofferente, Betty disse: «Allora? Vuoi
iniziare?»
«Ok, ma calmati o penseranno il peggio
di me.»
«E non dovrebbero? Tu e tua sorella ci
avete lasciato nei pasticci all’ospedale e non avete fatto nulla neanche dopo
per chiarire la situazione.»
Kenny si appoggiò allo schienale. «Dai
Betty, sei troppo intelligente per pensare che saremmo rimasti lì a farci
incastrare.»
«Potevate comunque trovare un modo per…
»
«No» la interruppe. «Non siamo alleati e
lo sai. Lo abbiamo sempre ripetuto.»
Betty incrociò le braccia sul petto e
mise il broncio. Quell’odioso aveva ragione, sperare nel loro aiuto era proprio
da stupidi.
«Comunque ti trovo bene» riprese lui.
«Voglio dire, non è come essere in prigione, giusto? Non potete uscire, ma vi
trattano bene e non fate niente tutto il giorno. È un po’ come le vacanze.»
«Certo. Una favola» replicò. «Anzi perché
non vi trasferite qui anche tu e Kerry? Sarà uno sballo fare dell’inutile
terapia tutti insieme.»
«Ok, scusa.»
Il ragazzo rimase in silenzio.
Betty sbuffò. «Insomma, vuoi dirmi perché
sei venuto?»
«Si tratta della Falce. È Scomparsa.»
Sgranò gli occhi nel sentirglielo dire.
Tirò la sedia più vicino al tavolo e spinse le mani contro la superficie.
«Come? E quando?»
«È successo quasi tre mesi fa. Un paio
di giorni dopo avervi sorpresi in camera di Elliott Summerson, io e Kerry siamo
tornati per recuperarla, ma non c’era più. L’abbiamo cercata in tutto
l’ospedale Saint Mary, ma sembra scomparsa nel nulla.» Abbassò il tono della
voce: «Per caso voi ne sapete di più?»
«Come potremmo? Ti ricordi dove siamo da
mesi, grazie a voi?»
«Be’ magari voi non siete in grado, ma
Billy? Lui potrebbe aver fatto qualche trucchetto per riprendersi l’arma.»
Betty abbozzò un sorrisetto. «Hai fatto
tanta strada per niente. Billy è in stato catatonico dal primo giorno qui. A
fatica mangia e si veste, di certo non può evocare la Falce.»
Kenny batté il pugno sul tavolo.
«Maledizione. E tu non hai idea di dive possa essere?»
Betty tornò seria. «No. Ora puoi anche
andartene.» Tirò indietro la sedia per alzarsi.
«Aspetta» la fermò. «Scusami, non volevo
che ti succedesse tutto questo. Dico davvero. Però è importante sapere che fine
ha fatto la Falce, capisci anche tu che in mani sbagliate può essere
pericolosa.»
«Lo so e tu di certo avrai immaginato
che se avessimo potuto evocarla, l’avremmo già fatto e saremmo usciti
dall’istituto.»
Kenny annuì. «Sì, è ovvio.»
Non le parve più tanto ostile e provò a
sfruttare quel piccolo vantaggio. «Forse mi sbaglio: non è stato un viaggio
inutile.»
La guardò incuriosito. «Cosa vuoi dire?»
«Sai del nostro legame con quell’oggetto
e possiamo ancora aiutarti» continuò Betty. «Escogita un modo per farci
dimettere e tutti insieme troveremo una soluzione. Come hai detto, non possiamo
lasciare quell’arma dispersa.»
«Mi dispiace, ma questo non posso farlo»
replicò lui. «È meglio se voi restate qua.»
«Perché?»
«È più sicuro per tutti.» Kenny scostò
la sedia indietro e si tirò di nuovo il cappuccio sulla testa. Aprì la bocca,
ma la chiuse subito senza aggiungere altro. Si alzò e si voltò, procedendo
verso l’uscita della sala.
Betty si morse il labbro inferiore infuriata.
Avrebbe tanto voluto urlargli di fermarsi, di darle altre spiegazioni, ma
sapeva che una scenata del genere avrebbe solo peggiorato la sua posizione lì
dentro.
Kate arrivò diligente al suo fianco.
«Vieni, Elizabeth. Torniamo all’altro tavolo.»
Non era un invito e Betty lo sapeva.
Abbandonò la sedia e si lascio prendere ancora una volta sotto braccio, come la
malata che non era.
Camminando verso la sua precedente
postazione, vide i due infermieri aiutare Billy ad alzarsi. Sorreggendolo per le braccia, lo portarono
nella sua direzione e si incontrarono per un secondo.
«Ti lascio nelle mani del mio collega»
le disse Kate con il solito odioso sorriso.
Mentre uno dei due uomini si staccava da
Billy, per prendere il posto della donna al suo fianco, l’infermiera fece lo
stesso con il ragazzo.
«Cosa succede? Dove lo portate?»
domandò. Non riuscì a nascondere la sua preoccupazione, non dopo quello che le
aveva rivelato Kenny.
«È tutto a posto» rispose Kate con voce
pacata. «Anche Billy ha diritto alle sue visite.»
Betty restò ancora più sorpresa. Riprese
a camminare, ma girò il capo e guardò dietro di sé. Mentre procedeva
controvoglia nella zona dei soli internati, riuscì a scorgere la figura della
persona venuta per il suo amico.
Era una donna sui trent’anni, pelle
color nocciola con i capelli castani tagliati corti appena sotto le orecchie.
Non era una degli insegnanti del liceo e non l’aveva mai vista prima d’ora. Era
seduta e calma. Non si scompose nemmeno quando Kate e l’altro infermiere fecero
accomodare Billy davanti a lei.
Betty non poté fare a meno di chiedersi:
chi conosceva Billy oltre a loro, dato che non era reale? E di cosa voleva
parlargli?
Continua…?
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