CAPITOLO 107
Comprensione, negazione e
accettazione
Naoko rincasò dopo le 02:30. Scintilla e
Ombra zampettavano assonati dietro di lei. Chiuse delicatamente la porta e
girandosi per andare in camera, notò che la luce del salone si era accesa.
«Bentornata» l’accolse serio suo padre.
Sua madre, Sonomi, la squadrò da capo a
piedi senza proferire parola.
Naoko rimase a bocca aperta vedendoli
seduti sulle poltrone ad aspettarla. Non era qualcosa che facevano
abitualmente. «Papà… mamma… non pensavo
di trovarvi alzati.»
«Come è andata la festa?» domandò
Ernesto Mancini.
«Bene» mentì. Poi si ricordò del
consiglio di Hans Strom. Doveva raccontare tutta la verità. Avrebbe voluto
farlo con calma la mattina seguente, ma i suoi genitori erano già lì svegli,
era inutile rimandare.
Trasse un lungo sospiro e avanzò nel
salone, mentre i gatti nero e bianco si accasciavano in una cesta, messa
apposta per loro, vicino a un mobiletto nel corridoio all’ingresso.
Ferma in piedi di fronte ai genitori
seduti, disse: «C’è qualcosa di cui volevo parlarvi da tempo e ormai non posso
più aspettare.»
«Ti ascoltiamo» fece Ernesto pacato.
«Bene.» Naoko cercò di mettere insieme
le parole nella sua mente perché le sembrasse sensato quello che stava per
dire. «Quando vivevamo in Giappone, tu mamma e anche Obaba Suzu, mi
raccontavate tante storie e leggende del passato e di come a volte le vite che
ci lasciamo alle spalle hanno conseguenze in quella del presente.»Si fermò per
controllare la loro prima reazione. Suo padre la fissava attento e sua madre
annuì lievemente. «In quei racconti c’è sempre un fondo di verità e nel mio
caso ben più di un po’. Sono Naoko, vostra figlia, ma anche Noriko, mezzo
demone vissuta secoli fa e rinata per
espiare la colpa di aver scatenato una cruenta guerra tra mezzo demoni e demoni.
Purtroppo, nonostante tutta la mia buona volontà, un male antico si è liberato
questa notte e il mio compito è combatterlo. Forse… una battaglia da cui non
tornerò.»
Sonomi si alzò di scatto e la strinse
tra le braccia. «Bambina mia» singhiozzò.
Naoko giudicò quella reazione come il
segno che non le credessero, peggio la
prendessero per pazza, così si allontanò dal petto materno. «Mamma, è tutto
vero. Ho dei poteri. Non sono molto appariscenti, quindi non posso mostrarveli
apertamente, ma comunico con Ombra e Scintilla e con altri gatti.»
Ernesto si alzò a sua volta. «Tranquilla,
sappiamo che hai detto la verità. Tua nonna ci aveva messo in guardia.»
Lo guardò stupita. «Obaba? Quando?»
«Questa sera, qualche minuto dopo che
sei uscita per la festa» le rispose il padre e guardò la moglie. «Ha detto…
Sonomi, cosa ha detto di preciso?»
La donna si asciugò le lacrime dalle
guance. « Mi ha parlato in giapponese. “Un male potente è sorto. Naoko si
confiderà con voi. Credete alle sue parole e lasciate che abbracci il suo
destino.” Avrei voluto sapere di più. Ma conosci tua nonna. Rivela le sue
predizioni solo quando è strettamente necessario, senza dilungarsi.»
Naoko sorrise. «Obaba viene sempre in
mio aiuto.»
Il padre le si avvicinò e la strinse
forte a sé. «La mia piccola guerriera.»
La madre le accarezzò i lunghi e setosi
capelli scuri. «Giurami che di qualunque prova si tratta, farai attenzione.»
Avvolta dall’abbraccio paterno, Naoko
rispose: «Lo giuro.»
Sabrina era rientrata da poco più di
un’ora quando sua madre, di ritorno dal suo impiego di cameriera, la trovò
acciambellata sul divano.
«Come mai ancora in piedi?» domandò
Miranda Corti. Poi aggiunse. «Oh già, la festa di Leonardo. Non sembri una che
si è divertita. Ti senti bene? Hai un aspetto tremendo.»
«È stata una lunga serata e so che sei
stanca per il turno al ristorante, ma ho bisogno di parlarti.»
La madre raddrizzò le spalle, come se il
peso del lavoro le fosse scivolato di dosso. «Va bene. Parliamo.»
«Andiamo in cucina» propose Sabrina. «Preparo
del caffè.»
«È meglio una camomilla» le rispose.
Mentre riempiva un bollitore d’acqua e
lo metteva sul fuoco, Sabrina raccontò gli avvenimenti che l’avevano portata a
rimanere incinta di Yuri.
«E c’è dell’altro» continuò prendendo
due tazze dalla credenza e depositando le bustine di camomilla all’interno. «Il
bambino era un demone ed è stato ucciso questa notte per liberare un demone
ancora più forte. Devo affrontarlo, non solo per vendicare mio figlio, ma
perché è l’unica possibilità di salvare il mondo.»
Miranda si alzò da tavola. Spense il fuoco
sotto il bollitore e versò l’acqua nelle tazze. «Da quello che dici, mi pare di
capire che hai avuto modo di parlare con tuo padre. Sapevo che prima o poi
sarebbe successo. Anzi, a essere sincera, da quando settimane fa hai menzionato
il nome di Hans Strom ero sicura che i problemi non avrebbero tardato ad
arrivare.»
«Avresti dovuto dirmi chi era mio padre»
l’accusò, trattenendo la rabbia.
«Avresti dovuto dirmi che eri rimasta
incinta» ribatté sua madre.
Entrambe rimasero in silenzio e
sorseggiarono la camomilla.
Miranda allontanò la tazza dalle labbra.
«Mi serve dello zucchero.»
«Ci pensò io» disse Sabrina fermandola.
Allungò il braccio sinistro verso la credenza aperta e la zuccheriera galleggiò
nell’aria fino a posarsi sulla superficie del tavolo.
La madre la guardò con espressione
indecifrabile. «È questo il tuo potere? L’eredità di tuo padre?» Nel suo tono
non c’era odio o rancore, solo curiosità.
Sabrina annuì. «Sposto le cose con la
forza della mente.» Spinse poi con la mano la zuccheriera verso di lei. «Hans
mi ha detto che ti raccontò tutto quando eri incinta, ma lo cacciasti
spaventata. Hai paura anche di me?»
«Non dire sciocchezze.» Miranda prese il
cucchiaino dal barattolo e raccolse due manciate di polvere bianca,
riversandole nel liquido giallognolo. «Hans aveva idee pericolose… voleva cose
che all’epoca reputai troppo grandi per lui e per noi. Non era il suo potere a
farmi paura, ma la sua idea di preparare una guerra.»
«Ora dovrò comunque combatterla.»
«No »replicò l’altra. «Lasciamo la città.
Tu e io. Andiamo dove vuoi, il più lontano possibile da qui.»
«Non servirà a niente» rispose desolata.
«Se non fermiamo DiKann, l’intero mondo non sarà più un posto sicuro per
nessuno.»
«Per questo ti volevo lontana da Hans.
Ti ha messo lui in testa queste idee di dover lottare.»
Sabrina scosse il capo. «No, mamma.
Voglio farlo di mia volontà. Da quasi un anno la mia vita è stata stravolta e
ho visto e affrontato più di quanto credevo possibile. Tutte le volte che ero
convinta di non farcela, di essere spacciata, i miei amici erano lì con me e
insieme sistemavamo tutto. Non so come, ma ce la faremo anche questa volta,
però solo se siamo uniti.»
La madre le accarezzò la guancia. «Sei
proprio cresciuta. È chiaro che non posso dire o fare niente per fermarti.
Quando ti metti in testa qualcosa, non cambi idea. E questo lo hai ereditato da
me. Dopo che avrai salvato il mondo, troveremo un modo per convivere con la
presenza di Hans. Se lo vorrai.»
Sabrina sorrise. «Perché no? Potremmo
fare un tentativo.»
Si strinsero la mano, per la prima volta
Sabrina provò un senso di pace, bevendo la camomilla come una coppia di vecchie
amiche che si erano appena ritrovate.
Paola Angeli lo osservò sbalordita
mentre entrava in cucina, dove lei si stava preparando il caffè. «Già in piedi
alle sei del mattino? C’è qualche ricorrenza che mi sono dimenticata?»
Davide la guardò inarcando un
sopracciglio. «Cosa?»
«Generalmente, quando la sera fai molto
tardi, svegliarti è impossibile. A dire il vero ogni mattina svegliarti è un impresa.
Vederti già pronto e vestito così presto è un vero evento.»
«Ah sì…» prì il frigorifero e prese la
confezione in cartone del succo d’arancia. Tolse il tappo di plastica e bevve
avidamente a canna. Avrebbe preferito qualcosa di più forte, visto il discorso
da affrontare, ma doveva accontentarsi. «Dobbiamo parlare.»
«Lo sapevo che c’era sotto qualcosa»
sbottò sua madre, rovesciando parte del caffè fuori dalla tazza mentre lo
versava. «Cosa hai combinato questa volta? Hai fatto il bullo con qualche ragazzino?
Risposto male a un professore? Fatto troppe assenze?»
«La scuola non c’entra niente.»
Sua madre lo scrutò allarmata. «È
coinvolta la polizia? Hai fatto qua…»
«Mamma! Vuoi stare zitta e ascoltarmi un
secondo?» la interruppe esasperato. «Si tratta di me. Non sono come gli altri.
Ho poteri speciali e devo combattere un demone per salvare questa città e forse
il mondo.»
La madre posò la tazza sul ripiano in
marmo accanto alla piastra dei fuochi. «Se è uno scherzo, non lo capisco. Dimmi
chiaramente di cosa si tratta e facciamola finita.»
«L’ho appena fatto.»
«Per favore, smettila di prendermi in
giro» ribatté lei seria. «In questi ultimi mesi mi sembravi cambiato. Ero
convinta che stessi mettendo la testa a posto e mi sembrava che l’influenza di
Leonardo Martini ti facesse bene. Ma se adesso ricominci a comportarti da
irresponsabile.»
Davide sbuffò. Piegò le dita della mano
sinistra a semicerchio e un campo di forza grigiastro avvolse la tazza della madre. «Ora mi credi?»
Lei spostò rapidamente lo sguardo dal
figlio alla tazza sotto la cupola e poi di nuovo al figlio. «Cos’è? Come ci sei
riuscito?»
«È un campo di forza psichico. Il mio
potere mi fa creare queste barriere» spiegò. «Posso raccontarti tutta la storia
di come mai ho questo dono e perché sono un mezzo demone.»
Paola si mise una mano tra i capelli
castano chiaro. Deglutì e poi scosse la testa. «No. È tardi. Devo andare.»
Lo sorpassò arrivando alla porta. Lui si
girò e disse: «Questa battaglia contro il demone… potrei non uscirne vivo.»
Sua madre si bloccò. Rimase immobile
qualche secondo. Andò verso di lui e lo baciò sulla guancia destra. «Non
capsico cosa vuoi ottenere con questa storia, ma ti prego, cerca di non
metterti nei guai.»
Davide la osservò confuso mentre usciva
dalla cucina. Si chiese che razza di risposta era. Poteva mettersi più nei guai
di così? Poi scrollò le spalle. Probabilmente a sua madre serviva più tempo per
assimilare quel colpo. Peccato che non fosse sicuro che ne avrebbero avuto.
Yuri ripeté mentalmente più volte il
discorso da fare ai genitori. Ogni volta cambiava l’ordine delle parole, ma
questo non semplificava quello che doveva dire.
Uscì dalla stanza e si diresse in
cucina, dove sua madre e suo padre stavano facendo colazione seduti al tavolo.
«Alla buon’ora» lo accolse suo padre,
terminando il caffè.
«Tesoro, sono quasi le otto» intervenne
sua madre. «Farai tardi a scuola. Ti preparo un panino con la marmellata da
portare via.»
«No, mamma. Devo parlarvi» rispose. «È
una cosa complicata e oggi non andrò a scuola.»
«Come?» domandò Giorgio Monti. «Ti
spiacerebbe ripetere?»
«Papà, lasciami finire. Io… da quasi un
anno… ho scoperto che non sono un ragazzo come gli altri. Sono un mezzo demone.
Sono rinato dopo aver dato inizio a una guerra con i demoni e adesso il loro capo
è sulla Terra e devo andare a combatterlo per salvare tutti.» Si rese conto di
stare sparando a raffica le informazioni, ma al momento di parlare, non era
riuscito ad articolare in modo ordinato le idee, come si era preparato.
Sua madre lo fissò con la bocca
spalancata. Suo padre strabuzzò gli occhi.
«Ah! Ho anche dei poteri» aggiunse.
«Ti sei drogato» esclamò di colpo suo
padre. «Quei poco di buono che frequenti ti anno fatto provare qualche pasticca
o roba simile alla loro festa e magari la spacciate anche nel mio locale! Ecco
perché ieri sera ve ne siete andati via in quel modo!»
«No! Non mi drogo e nemmeno i miei
amici» replicò lui sgomento. «Come puoi pensarlo?»
«Ti sembra sensato quello che hai appena
detto? Secondo te è normale raccontare una storia del genere?»
«Giorgio, calmati» s’intromise Carla
Monti. «Sono sicura che c’è una spiegazione.»
«Certo: nostro figlio si droga.»
Yuri serrò le mani a pugno. Le allungò
davanti al volto di suo padre e le accese con il fuoco. «Dimmi, papà, quale
droga può farmi fare questo?»
Suo padre spinse con violenza la sedia
indietro e si alzò di scatto. Non parlò, ma guardò il figlio con disgusto e
timore. Uno sguardo che ferì Yuri più di quanto avessero fatto le accuse
infondate. Spense le fiamme dai pugni, andò verso la porta e si avviò
all’uscita.
«Yuri!» lo chiamò sua madre,
raggiungendolo. «Io… aspetta. Rispiegami tutto con calma, non so se riusciremo
a superare tutto questo, ma sei mio figlio, non te ne andare.»
«Devo. I miei amici hanno bisogno di me
e non mi giudicano, mi accettano per quello che sono.»
La madre s’incupì. «Promettimi che
quando avrai finito, tornerai a casa. Per favore.»
Yuri si sforzò di sorridere. «Farò il
possibile.»
Smettila
gli disse mentalmente Sara, fissandolo seduto al suo fianco a osservare la
tazza vuota.
Di
fare cosa? domandò lui.
Continui
a pensare a un modo per dirglielo, ripeti le stesse cose da almeno un quarto
d’ora, mi rimbombano in testa e mi dà i nervi.
Allora
comincia a parlare replicò Leonardo.
Fallo
tu.
Leonardo sollevò la testa e scrutò i
genitori ai due capi del tavolo. Sua madre si stava per alzare e mettere le
stoviglie della colazione nel lavabo, il padre controllava l’ora per vedere se
c’era tempo di leggere il giornale. «C’è qualcosa che devo dirvi» esordì di
colpo.
I due adulti lo fissarono incuriositi.
Lui deglutì. «Può sembrare un discorso
strano, ma è giusto che voi lo sappiate. Forse non avremo altre occasioni per
dirlo e devo togliermi questo peso.»
Grazia e Filippo Martini si scambiarono
un’occhiata complice.
«Non devi preoccuparti Leo, lo avevamo
già intuito» disse Grazia.
«Davvero?» domandò lui.
«Davvero?» ripeté Sara.
«Certo» continuò Filippo. «Non devi
vergognarti. Siamo genitori moderni e ci siamo resi conto… che ecco tu hai
simpatie per un ragazzo… sì, insomma, che sei gay.»
«No» rispose Leonardo. «Cioè sì, ma non
è di questo che parlavo.»
«Quello che voleva dire è che siamo totalmente diversi dai ragazzi come noi»
intervenne Sara. «Entrambi. Abbiamo dei poteri da mezzo demoni e dal giorno del
mio rapimento fino a ieri sera, abbiamo avuto a che fare con situazioni
soprannaturali. Ora la battaglia finale è vicina e volevamo che sapeste la
verità.»
«Battaglia finale? Che significa?»
domandò allarmato Filippo.
«E cosa vuol dire che avete dei poteri?»
chiese Grazia, rimettendosi a sedere.
Mostriamoglielo
disse telepaticamente Sara.
Solo
il teletrasporto rispose Leonardo. Per il resto ci penseremo dopo.
Si presero per mano e mentre un lampo di
luce e un vento fugace li avvolgevano, svanirono dalle sedie, per riapparire
sull’uscio della stanza.
«Vi ricordate il professor Barbieri?»
ricominciò Leonardo. «Era a capo di una setta che venerava un demone. Dopo che
ha cercato di sacrificarci abbiamo scoperto che in molti volevano liberare quel
demone e ieri notte ci sono riusciti.»
«Ora, insieme ad altri come noi,
dobbiamo impedire che il demone trasformi il nostro mondo in un Inferno»
concluse Sara.
I genitori rimasero a fissarli in
silenzio.
«Dite qualcosa, per favore?» li supplicò
sua sorella.
«Avevamo fatto tante supposizioni: sul
professore, il sonnambulismo, la morte di vostro zio…» commentò Filippo. «E
anche se pensavamo alle cose più assurde, questa è davvero difficile da
digerire.»
«Ci riusciremo» replicò Grazia. «Però questa storia
dell’inferno… dovete proprio farlo?»
«Possiamo aiutarvi?» chiese il padre. «Faccio
fatica a capire tutta la storia dei mezzo demoni, ma sembrate davvero
preoccupati.»
«Potremmo venire con voi. E… non so…
raccontare tutto alla polizia. Magari conoscono un modo per non coinvolgervi
direttamente» disse la madre.
Leonardo le sorrise. «No, non potete
fare niente. E nemmeno la polizia. Ma grazie lo stesso. Ci è sembrato giusto
che lo sapeste, nel caso in cui dovesse suc…»
«No» lo interruppe Grazia. «Se dovete
affrontare questo demone, anche se l’idea non mi piace, lo accettiamo. Ma
niente previsioni negative. Proteggetevi a vicenda.»
«State attenti e appena avete finito,
tornate subito qui da noi» fece Filippo.
Leonardo annuì all’unisono con Sara. Si
riafferrarono le mani e scomparvero nuovamente.
Continua…
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