«Mi sembra ridicolo» sentenziò Donovan, seduto
e stravaccato con le braccia allargate sulla base della prima fila della
gradinata della palestra.
«E anche un po’ assurdo» concordò Michelle,
in piedi accanto a lui. Guardò le altre ragazze e i pochi maschi muoversi
avanti e indietro per l’enorme spazio, spostando tavoli e sedie, e abbassando
la voce aggiunse: «Voglio dire, più assurdo delle cose assurde che ci sono
capitate fino a ora.»
Zec sbuffò. Guadando le loro facce
mentre gli era di fronte, sembrava proprio che i due amici non volessero
affatto credere alla conclusione di cui li aveva informati – e a cui era giunto
Billy – sugli undici anni di coma autoindotto di Elliott Summerson. E anche per
lui era stato difficile abituarsi all’inizio, ma poi aveva dovuto cedere
all’evidenza. «Invece ha perfettamente senso e combacia con quello che ci ha detto
l’infermiere» insistette.
«Ok, ammettiamo che la storia di cadere
in coma di spontanea volontà possa essere vera, come fa Billy a dare per
scontato che Elliott avesse programmato tutto il seguito?» chiese poco convinto
Donovan.
«Fenomeni psichici» rispose Betty.
Zec si girò di spalle. Seduta sul
pavimento, Betty stava ripassando con un pennarello rosso le lettere di uno
striscione steso davanti a lei. «Non mi credi nemmeno tu?»
«Certo che ti credo. Spiegavo a cosa si
riferiva Billy con la sua deduzione» disse la ragazza, senza smettere il suo
lavoro. «I fenomeni psichici sono studiati anche dalla scienza. Credo che la
disciplina si chiami parapsicologia e studia appunto l’interazione tra mente e
fenomeni paranormali. Quindi, sì, il ragionamento di Billy è altamente
possibile e presuppone che Elliott sapesse a priori di possedere capacità
psichiche, abbastanza forti da scatenare tutto questo una volta portata la sua
mente in uno stato simile alla morte.»
Michelle si piegò in avanti. «Come fai a
dirlo con tanta semplicità, mentre stai… cosa stai facendo di preciso?»
Betty terminò l’ultima lettera. Chiuse
il pennarello rosso e si rimise in piedi. «Contribuisco ai preparativi per il
ballo di fine anno. Faccio parte del comitato organizzativo.»
Donovan si tirò dritto sulla schiena.
«Non me lo avevi detto.»
Betty lo guardò di sbieco da dietro le
lenti degli occhiali. «Avrei dovuto?»
«Be’… visto che andremo al ballo insieme,
potevi mettermi al corrente.»
«Quindi, vuoi che siamo una di quelle
coppie? Del tipo che devo dirti ogni mia decisione prima di prenderla?»
«No, non intendevo…»
«Aspettate!» intervenne allarmata
Michelle. «Siete una coppia? Ufficiale? Da quanto?»
Donovan gongolò. «Da dopo il mio prode
atteggiamento da baywatcher durante la crisi in piscina.»
«Quindi da pochissimo e non è cambiato
niente per noi come gruppo» si affrettò a precisare Betty, guardando l’amica.
«Quindi non farti venire paranoie e rischiare di diventare ancora invisibile.»
«Possiamo ritornare all’argomento
principale?» li interruppe Zec. Era contento per i due amici, ma lo preoccupava
di più la sorte del suo ragazzo.
«Cosa vuoi che ti diciamo?» domandò
Donovan, scrollando le spalle. «Hai avuto da Betty la conferma di una
spiegazione scientifica e quindi Billy ha ragione. Oltretutto, avere capacità
mentali spiega anche da dove arriva il suo senso del soprannaturale, che lo
avvisa dalle minacce. A ogni modo non vedo come potremmo risolvere la
situazione questa volta.»
Michelle annuì. «Se si trattasse di
vampiri da impalettare, o demoni da scacciare con formule o roba simile,
potremmo intervenire subito. Ma questa cosa dei fenomeni psichici va molto
oltre la nostra portata.»
«Starcene qui a organizzare il ballo di
fine anno di sicuro non è di aiuto.» Zec era deluso e infastidito dalla
velocità con cui gli amici avevano liquidato la faccenda. «Non avete visto quanto
fosse sconvolto Billy dopo quella scoperta. Ho cercato di calmarlo e mi ha
detto di non preoccuparmi, ma era chiaro che non ci credeva nemmeno lui. Temo
possa fare qualche stupidaggine.»
Betty gli andò accanto e gli strinse
amichevolmente il braccio destro. «Non penso Billy abbia una soluzione a cui
noi non siamo arrivati. Ora come ora, non può fare proprio nulla. Siamo
abituati a reagire all’istante al
pericolo, o fare ricerche mirate. Forse questa volta dobbiamo prenderci più
tempo per rifletterci e dopo quello che abbiamo passato, svagarci un po’ al
ballo è la scelta migliore. Gli hai chiesto di farti da accompagnatore?»
Zec scosse la testa. «Non era il momento
migliore e non sono sicuro gli interessi il ballo. Come vedete non è qui con
noi.»
«In realtà neanche noi siamo qui per i
preparativi, ma solo perché volevi parlarci e Betty ha detto di ritrovarci in
palestra» precisò Donovan. «Comunque ho visto come ti guarda e di sicuro gli
interessa stare avvinghiato a te durante un lento» disse, strizzando l’occhio.
Zec ripensò al loro bacio. Alla foga con
cui Billy si era stretto a lui, quando era uscito dall’armadio nell’aula di
matematica. Forse Donovan non aveva tutti i torti. «Ok, proverò a chiamarlo e
ci prenderemo una pausa dalla Bocca dell’Inferno.»
Michelle li squadrò imbronciata.
«Perfetto. Tutti accoppiati e io faccio da ruota di scorta.»
Donovan mise un braccio attorno alle
spalle dell’amica. «Non essere stupida. Non sei una ruota di scorta. E ti
prenoto per almeno due balli.»
Betty lo guardò soddisfatta. «È la prima
cosa intelligente che dici da quando siamo in palestra.» Prese Zec sotto
braccio e lo condusse vicino agli altri due amici. «Venerdì sera andremo al
ballo tutti insieme. E ci divertiremo. Siamo la Scoobie Gang, ci meritiamo di
festeggiare dopo tutte le minacce soprannaturali che abbiamo sventato.»
Zec sorrise. Avrebbe voluto tanto farsi
coinvolgere dal loro buonumore. Pensare per una sera di poter essere un gruppo
di adolescenti normali che si divertivano al ballo scolastico. Nel profondo,
però, sentiva che non avrebbero avuto la possibilità di godersi quella serata.
Di sicuro qualcosa sarebbe andato storto.
Poche ore dopo il tramonto, Billy si arrampicò sul cancello del
cimitero e lo scavalcò.
Non aveva fatto parola a nessuno degli
amici sulle sue intenzioni. Si era limitato a inventare l’impegno di una ronda
di controllo, in modo da essere solo. Non voleva nessuno con sé per quello che
stava per fare.
Scivolò lungo le sbarre di ferro e
saltò, atterrando sulla terra sabbiosa. S’incamminò sul sentiero che
costeggiava la distesa di lapidi. Sapeva di non trovare quelle dei suoi
genitori, ma questa volta avrebbe cercato quelle della famiglia Summerson,
sperando di trovare anche altro.
Gli ci vollero diversi minuti, prima di
scovare l’appezzamento erboso su cui sorgevano le due lapidi in marmo bianco.
Billy si accovacciò accanto ai due monumenti, non c’erano fiori; Elliott era
davvero rimasto solo e con lui in coma non c’erano altri aprenti che potevano
rendere omaggio ai due defunti. Per un attimo si sentì stupido a parlare di
Elliott come se fosse un estraneo.
Per quanto gli suonasse alieno
ammetterlo, lui era Elliott. Forse solo una parte di lui e forse per certi
versi con alcune differenze, ma non erano due entità distinte. Se l’uomo in
coma era solo, lo era anche lui.
Billy si rialzò in piedi e si guardò
intorno. La vera ragione per cui era andato fin lì, non si era mostrata. Non
essendoci nessun altro all’infuori di lui, disse: «Avanti! Fatevi vedere!
Protettori dell’Oscurità Maggiore, venite fuori!»
Rimase in attesa, aspettandosi di veder
comparire da un momento all’altro il mausoleo in cui i misteriosi Esseri Ombra
erano comparsi intorno al fuoco, fornendogli la rivelazione che lo aveva
condotto sulla strada della verità.
Non successe niente.
«Non compariranno.»
Voltandosi di scatto, Billy seppe già a
chi apparteneva quella voce femminile roca, prima ancora di vederla. La Prima
Cacciatrice lo fissò, in piedi a una manciata di passi di distanza, nel suo
inconfondibile aspetto tribale.
«Come lo sai?» le domandò. «Sei forse tu
a impedirlo?»
La Prima Cacciatrice non rispose. Si
limitò a continuare a osservarlo.
Billy pensò che Donovan aveva ragione:
avrebbero dovuto capire al più presto chi la facesse saltare fuori dal nulla,
soprattutto perché forniva solo informazioni di sua scelta. L’istinto e la
rabbia lo spingevano a urlarle contro e obbligarla a dirgli quello che voleva
sapere, ma era sicuro avrebbe ottenuto l’effetto opposto.
«Va bene, se anche c’entri in qualche
modo, non vuoi dirlo. Però non credo tu sia qui per caso, giusto?» Billy rimase
a guardarla: silenziosa e immobile.
Decise di fare un altro tentativo. «Da
quando ci siamo visti l’ultima volta, ho avuto modo di imparare molto più su di
me. Al punto in cui sono, però ho bisogno di aiuto. So del coma di Elliott, so
che tutto quello che è successo è opera sua, ma se ha scelto di essere in
quello stato, io cosa posso fare? Come lo sveglio?»
«Hai già la risposta.»
«Perché in parte sono lui? Ti assicuro
non mi è di nessuno aiuto.»
Lei gli porse la mano.
Billy si avvicinò, ma prima di poterla
afferrare, lei gli impresse il palmo sulla fronte.
Immagini fugaci gli scorsero davanti
agli occhi. Due persone avanti negli anni. Ospedali, medici e volti in lacrime.
Una chiesa. Delle bare. Sentimenti di angoscia, dolore, malinconia.
Si riscosse quando la Prima Cacciatrice spostò
la mano.
«Erano i genitori di Elliott» disse con
sicurezza. «Si è preso cura di loro finché non sono morti. E poi ha perso la
voglia di vivere.»
Si aggrappò a quei ricordi prima che
svanissero del tutto. La sua controparte non aveva voluto lasciarglieli di
proposito. Ricordò in maniera più approfondita una malattia legata alla mente,
come il suo potere, una dote che era stato obbligato a sopprimere e invece
avrebbe potuto sfruttare per curare…
«Rammenta. Sei ciò che lui non è più. Ha
bisogno di te.»
«Non ti capisco. Lui voleva morire, ne
sono certo, ma non ha avuto il coraggio e si è creato questa alternativa… una
sorta di via di fuga dalla realtà attraverso me. Non aveva potuto salvare chi
amava con il suo potere, però lo usò per concedersi la sua versione di un
riposo eterno. Ma tutto il resto? Voleva far provare anche agli altri cosa
significa vivere in un inferno? È questa la tua risposta?»
La Prima Cacciatrice scosse il capo. «Lo
sai, te l’ho già detto.»
Billy sgranò gli occhi confuso.
«Davvero? Quando?»
La ragazza si mosse, avvicinandosi a
lui. Posò la mano destra sulla sua guancia e rispose: «Al nostro primo
incontro. C’erano anche i tuoi amici.» Scostò la mano e arretrò, tornando al
suo posto di partenza.
Billy si sforzò di ricordare
velocemente. Il primo incontro era avvenuto in sogno. A casa di Michelle.
Mentre guardavano gli episodi di Buffy.
Era stato tutto confuso, fin quando non si erano ritrovati e lei aveva
pronunciato un’ultima frase.
«Una sola soluzione. Abbracciare la
morte» ripeté serio.
«Tutto gravita intorno alla morte.
Elliott l’ha cercata. Tu sei il modo per allontanarla dagli innocenti. Il ruolo
che ti ha affidato ti conduce comunque all’atto finale di ogni Ammazzavampiri.»
Lui trasalì. «No… non posso farlo… non
riuscirò mai a ucciderlo.»
«Il compito difficile, non vuol dire
impossibile» gli disse la Prima Cacciatrice. Si voltò di spalle e s’incamminò,
oltrepassò varie lapidi, finché la sua figura non svanì nell’orizzonte lontano.
Billy distolse lo sguardo e si sentì
colpevole. Aveva sempre avuto la risposta, ma non aveva mai voluto veramente
interpretarla.
Si rimise a sua volta in marcia, diretto al cancello. Alla
fine aveva ottenuto ciò per cui era venuto, anche se non pensava potesse
costargli così tanto.
«Non importa» disse Billy nel silenzio
tombale, afferrando con entrambe le mani le sbarre del cancello che chiudeva il
cimitero. «Farò ciò che devo.»
Continua…?
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