4. Indossa il Dolore Come un'Arma (2° parte)
La pausa pranzo era il momento preferito
della giornata di Michelle.
Reggendo il vassoio in coda per farsi
servire un‘abbondante dose di crocchette di patate, la ragazza guardò
languidamente il piatto di spaghetti al sugo di pomodoro pronta a gustarsi tra
poco.
L’addetta alla mensa le consegnò la
seconda pietanza, Michelle posizionò il piatto tra le posate e la lattina di
Pepsi stesa e avanzò alla ricerca di un tavolo vuoto nell’ampio salone.
Ne trovò uno libero nella fascia
centrale, la evitava sempre perché era più esposta ai commenti e alle occhiate
degli altri, ma quella mattina era troppo affamata per mettersi alla ricerca di
un altro posto.
Posò il vassoio sulla superficie
smaltata e trascinò indietro la sedia un po’ stretta per la sua mole. Si
sedette infischiandosene se parte della sua corporatura robusta ricadeva sui
lati del fisico, dando l’impressione che la maglietta e i pantaloni stessero
per scoppiare.
«Buon appetito» si disse sorridente.
Infilò la forchetta nel groviglio di spaghetti, arrotolò e se ne ficcò in bocca
una manciata. Non appena le sue papille gustative entrarono in contatto con la
pasta ricoperta di salsa al pomodoro, provò un senso di appagamento.
Michelle masticò e inghiottì il boccone
e le tornò in mente la parola compensazione.
Era così che il medico del gruppo di sostegno per disturbi alimentari aveva
spiegato la sensazione provata ogni volta che il cibo le dava sollievo. Ma lei
non era d’accordo. Sì, forse qualche volta eccedeva nelle porzioni dei pasti e
negli spuntini fuori orario, ma non era una di quelle che si ingozzava e andava
a vomitare. Il suo non era un vero problema con il cibo.
Attorcigliò altri spaghetti intorno alle
punte della forchetta e mentre se li portava alla bocca, vide le due spine nel
suo largo fianco sistemarsi in coda per prendere solo dell’insalata e verdure
bollite. Alice e Caroline. Bruna e bionda. Entrambe magre come un manico di
scopa e immensamente stronze.
«È per colpa di quelle come loro se non
posso mangiare in pace.» Michelle strappò la linguetta alla lattina di Pepsi e
trangugiò la bibita fresca e frizzante.
Sua madre l’aveva costretta a iscriversi
in ospedale al gruppo di sostegno perché voleva fosse come quelle due
stronzette: senza carne e senz’anima. E suo padre non aveva opposto resistenza,
ma tanto non lo faceva mai. Preferiva trascorrere le giornate al lavoro o fuori
casa piuttosto di stare un po’ con lei e domandarle cosa non andava.
“Probabilmente
lo psicologo del gruppo non ha tutti i torti” pensò Michelle. “Sostituisco l’affetto con il cibo, ma vorrei
vederlo al mio posto, con due genitori che ti guardano schifati solo perché sei
un po’ in sovrappeso.” Bevve un altro sorso. Era obbligata a frequentare
quegli incontri, ma non a pensarla come loro. Non si sarebbe lasciata rovinare
il pranzo da quei pensieri.
Quando staccò le labbra dal metallo,
Alice e Caroline erano ferme a guardarsi intorno alla ricerca di un posto a
sedere. E sfortunatamente notarono il suo tavolo. Le osservò camminare come
modelle a una sfilata, dirette verso di lei.
«Guarda chi c’è… Michelin» le disse Caroline, sporgendosi in avanti con i boccoli
biondi che le ricadevano sulle spalle e storpiando apposta il suo nome perché
suonasse come quello dell’azienda di pneumatici che aveva per mascotte l’omino
grasso.
«Non pensi che questo tavolo sia un po’
troppo grande anche per te» continuò Alice e scoppiò a ridere, buttando
indietro la testa, senza scompigliare i capelli neri folti e corti.
Caroline rise a sua volta. «Muoviti,
alza il culone e smamma.»
«No» rispose Michelle, posando la
lattina e stringendo la forchetta con la mano destra.
Nel salone c’erano altri posti liberi,
ma quelle due volevano il suo perché altrimenti avrebbero dovuto sedersi
accanto a ragazzi che normalmente non frequentavano. Aveva sempre evitato di
litigare per non avere problemi con sua madre, ma non questa volta, non se ne
sarebbe andata.
Alice la fissò minacciosa. «Cosa hai
detto?»
«Ti ho detto di no, spaventapasseri»
replicò Michelle. «Se vuoi questo posto, dovrai tirarmi via a forza.»
Le due rimasero interdette. Era la prima
ragazza, o ragazzo, a non eseguire un loro ordine. Continuarono a fissarla con
disprezzo e Michelle sostenne lo sguardo con i suoi occhi nocciola. Era ora che
le “api regine” si abituassero a venir osteggiate da chi consideravano una dei
loro sottoposti.
«Lasciamo perdere» disse Caroline.
«Già, questo tavolo ha già preso il suo
cattivo odore» fece Alice.
Le due le girarono intorno e Michelle
cercò di reprimere un sorriso. Ci era riuscita, aveva tenuto testa alle sue
persecutrici e vinto.
Caroline era quasi alle sue spalle e
aggiunse: «Ingozzati con quelle crocchette, Miss
Piggy.»
Prima che Michelle potesse accorgersene,
la ragazza fece scivolare il piede davanti alla gamba posteriore destra della
sedia, con un cenno del capo indicò all’amica di fare lo stesso con la sinistra
e poi diedero un colpo secco, spostandole la sedia da sotto il sedere.
Michelle si ritrovò con la faccia nel
piatto di avanzi di spaghetti e per non cadere rovinosamente per terra, si
aggrappò al tavolo, scuotendolo con una forza tale che il piatto di crocchette
sgusciò fuori dal vassoio e si riversò sul pavimento con un rumore sordo.
Sollevando il volto udì lo scoppio di
risate dei pochi ragazzi rimasti nella mensa. Schizzi di sugo le colavano dai
capelli corti e ramati, rendendo il suo colore naturale più scuro. Prese un
tovagliolo e si pulì e sentendo le risate continuare, lo premette contro il
viso per nascondersi.
Cercando di trattenere le urla di
rabbia, Michelle constatò di avere avuto torto. Ancora una volta avevano vinto
loro due. Si morse il labbro per cacciare il dolore interiore che provava.
Facevano tutti a gara per rendere la sua vita un inferno. Caroline. Alice. Sua
madre. Suo padre. Ognuno di loro scovava sempre modi nuovi per ferirla e per
quanto non volesse darlo a vedere, sentì tutta la pena che le procuravano
eruttare come la lava in un vulcano.
Quel
dolore che senti, non lasciare che ti logori. Usalo come un’arma.
Michelle scostò il tovagliolo. Non
sapeva da dove provenisse quella voce, ma riecheggiò nella sua testa coprendo
le risa. Si alzò in piedi, provando sicurezza, forza e un’inspiegabile
sensazione di potere avvolgerla.
Udì un lieve ronzio come da calo
dell’elettricità e vide il suo volto riflesso nel vetro protettivo dei
contenitori con i cibi. I suoi capelli non avevano più traccia di sugo ed erano
neri, così come i suoi occhi. Vene strette e scure si propagavano sulle sue
guance e sulla fronte. Era il volto della vendetta.
«Ehi, stronze» urlò voltandosi di
scatto. Fissò lo sguardo allarmato e confuso di Caroline e Alice, non più così
spavalde nel vedersela di fronte. «Volevate il tavolo? È tutto vostro.»
Michelle sollevò entrambe le braccia, il
tavolo si staccò da terra e volò contro gli esili corpi delle due ragazze e
mentre il suo vassoio con i resti del pranzo si sparpagliava in aria insieme ai
loro, le due finirono schiacciate alla parete sotto il peso del mobile.
Le risate cessarono di colpo. Ci fu
qualche urlo e poi i ragazzi presenti corsero fuori dalla mensa.
Michelle camminò verso il tavolo,
continuando a spingerlo per imprigionare le due ragazze, tenendo semplicemente
il braccio disteso e il palmo aperto. «È il mio turno di farmi quattro risate.»
«Che razza di mostro sei?» domandò Caroline,
più con disprezzo che con paura.
«Non farci del male» supplicò Alice,
intimorita.
Michelle inclinò lievemente la testa a
sinistra. «Vi siete sempre sentite intoccabili per via del vostro aspetto.
Siete convinte che un bel corpo snello, senza un chilo di troppo, vi dia il
diritto di dire o fare qualunque cosa.»
«No, noi…» provò a rispondere Caroline.
«Ti prego non farci del male» ripeté
Alice.
«Come voi ne avete sempre fatto a me?»
Michelle le studiò compiaciuta. Sui loro volti perfetti colavano piccole gocce
di sudore. La temevano e ne avevano motivo. «Mi sono sempre chiesta se sotto
quei pochi strati di pelle avete un cuore. Ora posso scoprirlo.»
Michelle tirò indietro il braccio e il
tavolo lo seguì, sbattendo contro uno vicino e anche se le aveva liberate di
quell’ingombro, non lasciò che le due potessero andarsene. Con la stessa mano
usata per scagliarlo lontano, le tenne immobili e sospese a una decina di
centimetri dal pavimento.
«Cosa vuoi fare?» domandò Caroline con
voce tremante.
Michelle sorrise. «Vi sbuccerò come le
banane secche e acerbe che siete. Un pezzo di carne alla volta.»
«No!» gridò Alice terrorizzata. «Ti
prego! Ti prego, non farlo!»
«È tardi per pregare.» Michelle piegò
semplicemente l’indice e il medio di entrambe le mani e sul collo delle due
ragazze comparvero i primi tagli.
«Fermati» le intimò una voce sicura.
Michelle la riconobbe, era la stessa che
le aveva dato forza poco prima, guardò verso l’ingresso del salone. Tre ragazzi
e una ragazza erano appena entrati e la fissavano. Quello che aveva parlato
aveva una maglietta con la scritta rosso sangue The Real Vampires Bite!; quello accanto a lui era simile a lei con
occhi e capelli neri e strisce di vene scure sul volto; gli ultimi due
sembravano dei tipi ordinari.
«Perché?» domandò Michelle.
«Perché per quanto tu abbia ragione,
quello che stai facendo è sbagliato» disse il ragazzo con la maglietta sui
vampiri.
«Chi sei?» chiese in tono duro.
«Sono Billy l’ammazzavampiri» rispose.
«E se andrai avanti, dovrò intervenire.»
«Forse non è il caso di provocarla»
suggerì il ragazzo ordinario.
«Ci penso io» disse quello che le
somigliava.
Avanzò tranquillo verso di lei e
scrutandolo, Michelle ricordò di averlo già visto per i corridoi a scuola. «Sei
Zec, il ragazzo gay.»
«Già e tu invece sei…»
«Michelle.»
«Ciao Michelle, so cosa stai provando e
il mio aspetto te lo conferma» disse Zec sorridendo. «Loro sono… bè amici è una
parola un po’ grossa, ma mi hanno aiutato quindi chiamiamoli così. Sono Donovan
e Betty. Siamo qui per aiutarti.»
«Lasciatemi in pace. Ho un conto in
sospeso da sistemare» replicò Michelle.
«Lo so bene. Poco fa stavo per fare
qualcosa di simile» continuò Zec. «In questo momento sto lottando con l’impulso
di tornare indietro e terminare quello che avevo iniziato. So che vuoi punirle,
ma a quale prezzo?»
Michelle lo guardò confusa. «Di che
diavolo parli?»
«Dopo esserti vendicata, cosa ti
rimarrà?» le domandò. «Io me lo sono chiesto e ho capito che dover convivere
con le conseguenze delle mie azioni, non vale la soddisfazione fugace che
proverò.»
Lo guardò con rabbia. «Cosa vuoi saperne
tu? Cosa credete di saperne tutti voi?»
Tre tavoli si sollevarono da terra e
galleggiarono a mezz’aria per pochi istanti prima di partire in direzione dei
ragazzi.
«Zec, bloccali!» urlò Billy.
Il ragazzo alzò le braccia e chiudendo
le mani a pugno, fece scendere sul pavimento i tavoli prima che ferissero
qualcuno.
Billy si fece avanti. «So tutto del
dolore che provi, non è diverso da quello di Zec, io l’ho liberato perché fosse
la sua arma per difendersi. Derivava dai soprusi subiti, dal sentirsi oppresso
e chiaramente dovevi sentirti così anche tu, altrimenti non avrebbe avuto
effetto.»
«Se sei tu il responsabile, perché ora
vuoi fermarmi?»
«Percepisco anche la cattiveria e il
male» spiegò Billy. «Quelle due ragazze ne hanno da vendere e le hanno usate
contro di te, vuoi essere come loro? Sei a un bivio, puoi usare il dolore come
un’arma per difenderti, o come il mezzo per portare altro dolore.»
«Fa differenza?» chiese con disprezzo
Michelle. «Se non sfogo il mio dolore su di loro a cosa mi serve poter essere
come la versione oscura di Willow?»
«È una questione di potere» rispose
Billy. «Credevi lo avessero solo loro, ma hai la prova che sei potente anche
tu. Ora viene la parte difficile: devi scegliere come usarlo.»
Michelle tornò a guardare i volti
terrorizzati di Caroline e Alice. Vederle inermi le dava un senso di
appagamento quasi quanto il cibo. Ma odiava cosa rappresentavano e non voleva
essere paragonata a loro, per nessuna ragione. «Ok» disse semplicemente.
Schioccò le dita e ordinò alle due: «Andatevene! Fuori dai piedi!»
Libere di muoversi, Alice e Caroline
corsero attraverso l’uscita della sala mensa, scansando a malapena gli altri
ragazzi.
«Ottima scelta» disse Billy.
«E adesso come torniamo normali?»
domandò Michelle, osservando Zec.
«Se sono streghe come Willow, non ci
vorrà una strega più esperta per aiutarli?» chiese Betty.
«Non sono streghe» disse Billy. «Non c’è
magia in loro.»
Donovan aggrottò la fronte. «E come
spieghi quello che hanno fatto.»
«Come ho già detto, hanno sfruttato
l’energia scaturita dal loro dolore, dandole una nuova forma, creando un effetto in stile poltergeist»
spiegò Billy. «In parole povere hanno usato la telecinesi.»
«È tutto molto interessante» intervenne
Zec. «Ma non hai ancora risposto.»
«Lo hai detto tu prima, quando eravamo
in aula multimediale» disse Billy. «Dovete solo scaricare questa energia.»
«Cosa dovremmo fare di preciso?» chiese
Michelle.
«Magari far saltare in aria di nuovo i
tavoli» propose Donovan.
Betty lo guardò scuotendo la testa.
«Oppure rimettendo in ordine, così nessuno si accorgerà di questo casino e farà
domande.»
«Sì, la sua idea è migliore» concordò
Billy.
Zec si avvicinò a Michelle. «Pronta?»
Lei annuì. Alzò le braccia insieme a lui
e concentrandosi sui tavoli sparsi alla rinfusa, li spostarono senza toccarli,
posizionandoli uno al fianco dell’altro, come erano prima che dessero sfoggio
delle loro capacità e ridando alla sala mensa il suo aspetto abituale.
Donovan e Betty restarono a osservarli
ammirati e nel riflesso del vetro del bancone delle pietanze, Michelle notò
come lentamente sia lei che Zec ritornarono al loro aspetto normale.
Alcune sedie erano ancora capovolte per
terra quando Zec disse: «Credo di essere del tutto scarico a questo punto.»
«Anche io» si rese conto Michelle, non
provando più la sensazione di potenza di pochi istanti prima.
«Faremo nella vecchia maniera» disse
Betty rimettendo in piedi una sedia poco distante da lei. «Intanto Billy può
rispondere a qualche domanda mentre ci aiuta.»
«Non credo» disse Donovan indicando alle
sue spalle
Michelle si girò e constatò che Billy
era sparito senza se ne accorgessero.
Continua…?
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