giovedì 6 febbraio 2020

Darklight Children - Capitolo 107



CAPITOLO 107
Comprensione, negazione e accettazione



Naoko rincasò dopo le 02:30. Scintilla e Ombra zampettavano assonati dietro di lei. Chiuse delicatamente la porta e girandosi per andare in camera, notò che la luce del salone si era accesa.
«Bentornata» l’accolse serio suo padre.
Sua madre, Sonomi, la squadrò da capo a piedi senza proferire parola.
Naoko rimase a bocca aperta vedendoli seduti sulle poltrone ad aspettarla. Non era qualcosa che facevano abitualmente.  «Papà… mamma… non pensavo di trovarvi alzati.»
«Come è andata la festa?» domandò Ernesto Mancini.
«Bene» mentì. Poi si ricordò del consiglio di Hans Strom. Doveva raccontare tutta la verità. Avrebbe voluto farlo con calma la mattina seguente, ma i suoi genitori erano già lì svegli, era inutile rimandare.
Trasse un lungo sospiro e avanzò nel salone, mentre i gatti nero e bianco si accasciavano in una cesta, messa apposta per loro, vicino a un mobiletto nel corridoio all’ingresso.
Ferma in piedi di fronte ai genitori seduti, disse: «C’è qualcosa di cui volevo parlarvi da tempo e ormai non posso più aspettare.»
«Ti ascoltiamo» fece Ernesto pacato.
«Bene.» Naoko cercò di mettere insieme le parole nella sua mente perché le sembrasse sensato quello che stava per dire. «Quando vivevamo in Giappone, tu mamma e anche Obaba Suzu, mi raccontavate tante storie e leggende del passato e di come a volte le vite che ci lasciamo alle spalle hanno conseguenze in quella del presente.»Si fermò per controllare la loro prima reazione. Suo padre la fissava attento e sua madre annuì lievemente. «In quei racconti c’è sempre un fondo di verità e nel mio caso ben più di un po’. Sono Naoko, vostra figlia, ma anche Noriko, mezzo demone vissuta secoli fa  e rinata per espiare la colpa di aver scatenato una cruenta guerra tra mezzo demoni e demoni. Purtroppo, nonostante tutta la mia buona volontà, un male antico si è liberato questa notte e il mio compito è combatterlo. Forse… una battaglia da cui non tornerò.»
Sonomi si alzò di scatto e la strinse tra le braccia. «Bambina mia» singhiozzò.
Naoko giudicò quella reazione come il segno che non le credessero,  peggio la prendessero per pazza, così si allontanò dal petto materno. «Mamma, è tutto vero. Ho dei poteri. Non sono molto appariscenti, quindi non posso mostrarveli apertamente, ma comunico con Ombra e Scintilla e con altri gatti.»
Ernesto si alzò a sua volta. «Tranquilla, sappiamo che hai detto la verità. Tua nonna ci aveva messo in guardia.»
Lo guardò stupita. «Obaba? Quando?»
«Questa sera, qualche minuto dopo che sei uscita per la festa» le rispose il padre e guardò la moglie. «Ha detto… Sonomi, cosa ha detto di preciso?»
La donna si asciugò le lacrime dalle guance. « Mi ha parlato in giapponese. “Un male potente è sorto. Naoko si confiderà con voi. Credete alle sue parole e lasciate che abbracci il suo destino.” Avrei voluto sapere di più. Ma conosci tua nonna. Rivela le sue predizioni solo quando è strettamente necessario, senza dilungarsi.»
Naoko sorrise. «Obaba viene sempre in mio aiuto.»
Il padre le si avvicinò e la strinse forte a sé. «La mia piccola guerriera.»
La madre le accarezzò i lunghi e setosi capelli scuri. «Giurami che di qualunque prova si tratta, farai attenzione.»
Avvolta dall’abbraccio paterno, Naoko rispose: «Lo giuro.»

Sabrina era rientrata da poco più di un’ora quando sua madre, di ritorno dal suo impiego di cameriera, la trovò acciambellata sul divano.
«Come mai ancora in piedi?» domandò Miranda Corti. Poi aggiunse. «Oh già, la festa di Leonardo. Non sembri una che si è divertita. Ti senti bene? Hai un aspetto tremendo.»
«È stata una lunga serata e so che sei stanca per il turno al ristorante, ma ho bisogno di parlarti.»
La madre raddrizzò le spalle, come se il peso del lavoro le fosse scivolato di dosso. «Va bene. Parliamo.»
«Andiamo in cucina» propose Sabrina. «Preparo del caffè.»
«È meglio una camomilla» le rispose.
Mentre riempiva un bollitore d’acqua e lo metteva sul fuoco, Sabrina raccontò gli avvenimenti che l’avevano portata a rimanere incinta di Yuri.
«E c’è dell’altro» continuò prendendo due tazze dalla credenza e depositando le bustine di camomilla all’interno. «Il bambino era un demone ed è stato ucciso questa notte per liberare un demone ancora più forte. Devo affrontarlo, non solo per vendicare mio figlio, ma perché è l’unica possibilità di salvare il mondo.» 
Miranda si alzò da tavola. Spense il fuoco sotto il bollitore e versò l’acqua nelle tazze. «Da quello che dici, mi pare di capire che hai avuto modo di parlare con tuo padre. Sapevo che prima o poi sarebbe successo. Anzi, a essere sincera, da quando settimane fa hai menzionato il nome di Hans Strom ero sicura che i problemi non avrebbero tardato ad arrivare.»
«Avresti dovuto dirmi chi era mio padre» l’accusò, trattenendo la rabbia.
«Avresti dovuto dirmi che eri rimasta incinta» ribatté sua madre.
Entrambe rimasero in silenzio e sorseggiarono la camomilla.
Miranda allontanò la tazza dalle labbra. «Mi serve dello zucchero.» 
«Ci pensò io» disse Sabrina fermandola. Allungò il braccio sinistro verso la credenza aperta e la zuccheriera galleggiò nell’aria fino a posarsi sulla superficie del tavolo.
La madre la guardò con espressione indecifrabile. «È questo il tuo potere? L’eredità di tuo padre?» Nel suo tono non c’era odio o rancore, solo curiosità.
Sabrina annuì. «Sposto le cose con la forza della mente.» Spinse poi con la mano la zuccheriera verso di lei. «Hans mi ha detto che ti raccontò tutto quando eri incinta, ma lo cacciasti spaventata. Hai paura anche di me?»
«Non dire sciocchezze.» Miranda prese il cucchiaino dal barattolo e raccolse due manciate di polvere bianca, riversandole nel liquido giallognolo. «Hans aveva idee pericolose… voleva cose che all’epoca reputai troppo grandi per lui e per noi. Non era il suo potere a farmi paura, ma la sua idea di preparare una guerra.» 
«Ora dovrò comunque combatterla.»
«No »replicò l’altra. «Lasciamo la città. Tu e io. Andiamo dove vuoi, il più lontano possibile da qui.»
«Non servirà a niente» rispose desolata. «Se non fermiamo DiKann, l’intero mondo non sarà più un posto sicuro per nessuno.»
«Per questo ti volevo lontana da Hans. Ti ha messo lui in testa queste idee di dover lottare.»
Sabrina scosse il capo. «No, mamma. Voglio farlo di mia volontà. Da quasi un anno la mia vita è stata stravolta e ho visto e affrontato più di quanto credevo possibile. Tutte le volte che ero convinta di non farcela, di essere spacciata, i miei amici erano lì con me e insieme sistemavamo tutto. Non so come, ma ce la faremo anche questa volta, però solo se siamo uniti.»
La madre le accarezzò la guancia. «Sei proprio cresciuta. È chiaro che non posso dire o fare niente per fermarti. Quando ti metti in testa qualcosa, non cambi idea. E questo lo hai ereditato da me. Dopo che avrai salvato il mondo, troveremo un modo per convivere con la presenza di Hans. Se lo vorrai.»
Sabrina sorrise. «Perché no? Potremmo fare un tentativo.»
Si strinsero la mano, per la prima volta Sabrina provò un senso di pace, bevendo la camomilla come una coppia di vecchie amiche che si erano appena ritrovate.

Paola Angeli lo osservò sbalordita mentre entrava in cucina, dove lei si stava preparando il caffè. «Già in piedi alle sei del mattino? C’è qualche ricorrenza che mi sono dimenticata?»
Davide la guardò inarcando un sopracciglio. «Cosa?»
«Generalmente, quando la sera fai molto tardi, svegliarti è impossibile. A dire il vero ogni mattina svegliarti è un impresa. Vederti già pronto e vestito così presto è un vero evento.»
«Ah sì…» prì il frigorifero e prese la confezione in cartone del succo d’arancia. Tolse il tappo di plastica e bevve avidamente a canna. Avrebbe preferito qualcosa di più forte, visto il discorso da affrontare, ma doveva accontentarsi. «Dobbiamo parlare.»
«Lo sapevo che c’era sotto qualcosa» sbottò sua madre, rovesciando parte del caffè fuori dalla tazza mentre lo versava. «Cosa hai combinato questa volta? Hai fatto il bullo con qualche ragazzino? Risposto male a un professore? Fatto troppe assenze?»
«La scuola non c’entra niente.»
Sua madre lo scrutò allarmata. «È coinvolta la polizia? Hai fatto qua…»
«Mamma! Vuoi stare zitta e ascoltarmi un secondo?» la interruppe esasperato. «Si tratta di me. Non sono come gli altri. Ho poteri speciali e devo combattere un demone per salvare questa città e forse il mondo.»
La madre posò la tazza sul ripiano in marmo accanto alla piastra dei fuochi. «Se è uno scherzo, non lo capisco. Dimmi chiaramente di cosa si tratta e facciamola finita.»
«L’ho appena fatto.»
«Per favore, smettila di prendermi in giro» ribatté lei seria. «In questi ultimi mesi mi sembravi cambiato. Ero convinta che stessi mettendo la testa a posto e mi sembrava che l’influenza di Leonardo Martini ti facesse bene. Ma se adesso ricominci a comportarti da irresponsabile.»  
Davide sbuffò. Piegò le dita della mano sinistra a semicerchio e un campo di forza grigiastro  avvolse la tazza della madre. «Ora mi credi?»
Lei spostò rapidamente lo sguardo dal figlio alla tazza sotto la cupola e poi di nuovo al figlio. «Cos’è? Come ci sei riuscito?»
«È un campo di forza psichico. Il mio potere mi fa creare queste barriere» spiegò. «Posso raccontarti tutta la storia di come mai ho questo dono e perché sono un mezzo demone.»
Paola si mise una mano tra i capelli castano chiaro. Deglutì e poi scosse la testa. «No. È tardi. Devo andare.»
Lo sorpassò arrivando alla porta. Lui si girò e disse: «Questa battaglia contro il demone… potrei non uscirne vivo.»
Sua madre si bloccò. Rimase immobile qualche secondo. Andò verso di lui e lo baciò sulla guancia destra. «Non capsico cosa vuoi ottenere con questa storia, ma ti prego, cerca di non metterti nei guai.»
Davide la osservò confuso mentre usciva dalla cucina. Si chiese che razza di risposta era. Poteva mettersi più nei guai di così? Poi scrollò le spalle. Probabilmente a sua madre serviva più tempo per assimilare quel colpo. Peccato che non fosse sicuro che ne avrebbero avuto.

Yuri ripeté mentalmente più volte il discorso da fare ai genitori. Ogni volta cambiava l’ordine delle parole, ma questo non semplificava quello che doveva dire.
Uscì dalla stanza e si diresse in cucina, dove sua madre e suo padre stavano facendo colazione seduti al tavolo.
 «Alla buon’ora» lo accolse suo padre, terminando il caffè.
«Tesoro, sono quasi le otto» intervenne sua madre. «Farai tardi a scuola. Ti preparo un panino con la marmellata da portare via.»
«No, mamma. Devo parlarvi» rispose. «È una cosa complicata e oggi non andrò a scuola.»
«Come?» domandò Giorgio Monti. «Ti spiacerebbe ripetere?»
«Papà, lasciami finire. Io… da quasi un anno… ho scoperto che non sono un ragazzo come gli altri. Sono un mezzo demone. Sono rinato dopo aver dato inizio a una guerra con i demoni e adesso il loro capo è sulla Terra e devo andare a combatterlo per salvare tutti.» Si rese conto di stare sparando a raffica le informazioni, ma al momento di parlare, non era riuscito ad articolare in modo ordinato le idee, come si era preparato.
Sua madre lo fissò con la bocca spalancata. Suo padre strabuzzò gli occhi.
«Ah! Ho anche dei poteri» aggiunse.
«Ti sei drogato» esclamò di colpo suo padre. «Quei poco di buono che frequenti ti anno fatto provare qualche pasticca o roba simile alla loro festa e magari la spacciate anche nel mio locale! Ecco perché ieri sera ve ne siete andati via in quel modo!»
«No! Non mi drogo e nemmeno i miei amici» replicò lui sgomento. «Come puoi pensarlo?»
«Ti sembra sensato quello che hai appena detto? Secondo te è normale raccontare una storia del genere?»
«Giorgio, calmati» s’intromise Carla Monti. «Sono sicura che c’è una spiegazione.»
«Certo: nostro figlio si droga.»
Yuri serrò le mani a pugno. Le allungò davanti al volto di suo padre e le accese con il fuoco. «Dimmi, papà, quale droga può farmi fare questo?»
Suo padre spinse con violenza la sedia indietro e si alzò di scatto. Non parlò, ma guardò il figlio con disgusto e timore. Uno sguardo che ferì Yuri più di quanto avessero fatto le accuse infondate. Spense le fiamme dai pugni, andò verso la porta e si avviò all’uscita.
«Yuri!» lo chiamò sua madre, raggiungendolo. «Io… aspetta. Rispiegami tutto con calma, non so se riusciremo a superare tutto questo, ma sei mio figlio, non te ne andare.»
«Devo. I miei amici hanno bisogno di me e non mi giudicano, mi accettano per quello che sono.»
La madre s’incupì. «Promettimi che quando avrai finito, tornerai a casa. Per favore.»
Yuri si sforzò di sorridere. «Farò il possibile.»

Smettila gli disse mentalmente Sara, fissandolo seduto al suo fianco a osservare la tazza vuota.
Di fare cosa? domandò lui.
Continui a pensare a un modo per dirglielo, ripeti le stesse cose da almeno un quarto d’ora, mi rimbombano in testa e mi dà i nervi.
Allora comincia a parlare replicò Leonardo.
Fallo tu.
Leonardo sollevò la testa e scrutò i genitori ai due capi del tavolo. Sua madre si stava per alzare e mettere le stoviglie della colazione nel lavabo, il padre controllava l’ora per vedere se c’era tempo di leggere il giornale. «C’è qualcosa che devo dirvi» esordì di colpo.
I due adulti lo fissarono incuriositi.
Lui deglutì. «Può sembrare un discorso strano, ma è giusto che voi lo sappiate. Forse non avremo altre occasioni per dirlo e devo togliermi questo peso.»
Grazia e Filippo Martini si scambiarono un’occhiata complice.
«Non devi preoccuparti Leo, lo avevamo già intuito» disse Grazia.
«Davvero?» domandò lui.
«Davvero?» ripeté Sara.
«Certo» continuò Filippo. «Non devi vergognarti. Siamo genitori moderni e ci siamo resi conto… che ecco tu hai simpatie per un ragazzo… sì, insomma, che sei gay.»
«No» rispose Leonardo. «Cioè sì, ma non è di questo che parlavo.»
«Quello che voleva dire è che siamo totalmente diversi dai ragazzi come noi» intervenne Sara. «Entrambi. Abbiamo dei poteri da mezzo demoni e dal giorno del mio rapimento fino a ieri sera, abbiamo avuto a che fare con situazioni soprannaturali. Ora la battaglia finale è vicina e volevamo che sapeste la verità.»
«Battaglia finale? Che significa?» domandò allarmato Filippo.
«E cosa vuol dire che avete dei poteri?»  chiese Grazia, rimettendosi a sedere.
Mostriamoglielo disse telepaticamente Sara.
Solo il teletrasporto rispose Leonardo. Per il resto ci penseremo dopo.
Si presero per mano e mentre un lampo di luce e un vento fugace li avvolgevano, svanirono dalle sedie, per riapparire sull’uscio della stanza.
«Vi ricordate il professor Barbieri?» ricominciò Leonardo. «Era a capo di una setta che venerava un demone. Dopo che ha cercato di sacrificarci abbiamo scoperto che in molti volevano liberare quel demone e ieri notte ci sono riusciti.»
«Ora, insieme ad altri come noi, dobbiamo impedire che il demone trasformi il nostro mondo in un Inferno» concluse Sara.
I genitori rimasero a fissarli in silenzio.
«Dite qualcosa, per favore?» li supplicò sua sorella.
«Avevamo fatto tante supposizioni: sul professore, il sonnambulismo, la morte di vostro zio…» commentò Filippo. «E anche se pensavamo alle cose più assurde, questa è davvero difficile da digerire.»
«Ci riusciremo»  replicò Grazia. «Però questa storia dell’inferno… dovete proprio farlo?»
«Possiamo aiutarvi?» chiese il padre. «Faccio fatica a capire tutta la storia dei mezzo demoni, ma sembrate davvero preoccupati.»
«Potremmo venire con voi. E… non so… raccontare tutto alla polizia. Magari conoscono un modo per non coinvolgervi direttamente» disse la madre.
Leonardo le sorrise. «No, non potete fare niente. E nemmeno la polizia. Ma grazie lo stesso. Ci è sembrato giusto che lo sapeste, nel caso in cui dovesse suc…»
«No» lo interruppe Grazia. «Se dovete affrontare questo demone, anche se l’idea non mi piace, lo accettiamo. Ma niente previsioni negative. Proteggetevi a vicenda.»
«State attenti e appena avete finito, tornate subito qui da noi» fece Filippo.
Leonardo annuì all’unisono con Sara. Si riafferrarono le mani e scomparvero nuovamente.
                                
                                            Continua…

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