lunedì 29 agosto 2016

Adolescenza sulla Bocca dell'Inferno - Puntata 31

31. Ottieni la Verità con una Bugia


«Non muovetevi» ripeté il poliziotto, tenendo lo sguardo fisso su loro e stringendo con entrambe le mani l’arma alzata contro lui e Zec.

Billy non capì cosa stava accadendo. Un attimo prima era uscito dal seminterrato dove Jordan Gutierrez aveva scatenato più Inferni – tra cui un poliziotto zombie – e ora uno vero minacciava lui e il suo ragazzo appena ritrovato, senza alcuna ragione, come se fossero due pericolosi criminali.
«Agente, ci deve essere uno sbaglio» disse Billy rimanendo vicino a Zec, senza muovere un muscolo.
«Abbiamo ricevuto diverse chiamate in centrale per rumori e urla agghiaccianti provenienti dalla scuola» rispose il poliziotto senza scostare la pistola dalla linea di tiro. «Non è la prima volta che qui dentro succedono fatti… particolari.»
Billy non sapeva cosa dire. Il tono dell’uomo pareva accusatorio, ma in realtà nessuno poteva sapere cosa fosse successo realmente nella stanza della caldaia e chi fosse il responsabile. Inoltre, tutti i ragazzi e gli adulti ancora presenti a scuola erano rimasti bloccati nelle aule e come lui e Zec erano liberi da pochi minuti.
«Cosa diavolo sta facendo!» La professoressa Noxon comparve alla spalle dell’uomo e avanzò furente verso di lui. Aveva i capelli vaporosi in disordine, con ciocche castane che svolazzavano intorno al viso mentre procedeva e il tailleur blu, di solito sempre impeccabile, tutto spiegazzato e coperto da macchie bianco sporco. «Abbassi quella pistola, subito! Non vede che sono due ragazzi spaventati come noi? Sono studenti rimasti bloccati qui, non i responsabili!»
Billy tirò un sospirò di sollievo e per la prima volta fu davvero felice di vedere l’insegnate del club di teatro.
Il poliziotto abbassò l’arma e assunse una posa meno minacciosa. La donna lo superò, si sistemò dietro Billy e Zec, coprendo con un braccio la spalla di ognuno dei due e gli lanciò un’occhiataccia.
«Stavo solo facendo il mio lavoro» rispose serio l’uomo. «Sono entrato e sono stati i primi due soggetti visti, intimare loro di stare fermi è la prassi.»
«Vada a cercare i veri colpevoli e stia attento a non puntare ancora quell’arma contro un mio collega o altri poveri studenti» ribadì la professoressa Noxon perentoria.
Il poliziotto lanciò un ultimo sguardo diffidente a lui e Zec e poi uscì dalla classe.
«“Servire e proteggere” un cavolo» sbuffò arrabbiata e sgomenta la professoressa. «State bene ragazzi? Chi ha divelto in quel modo la porta?»
«Non lo sappiamo» rispose Zec.
Billy pensò che in fondo era sincero, quando era successo lui era una statua di vetro. «Siamo rimasti bloccati nell’aula. Sono successe cose un po’ strane, poi la porta si è staccata ed è arrivato quel poliziotto» mentì, recitando però in modo molto credibile.
La professoressa Noxon annuì comprensiva. «Capisco, anche per noi del club di teatro è stata un’esperienza allucinante. Speriamo possano chiarire cosa sia successo.» Li spinse poi gentilmente verso l’uscita dell’aula. «Andiamo, abbiamo chiamato un paio dia ambulanze e tutti i presenti devono essere accompagnati all’ospedale per un controllo.»
«Perché? Ci sono dei feriti?» si preoccupò Billy.
«Sembrerebbe di no, ma la scuola ha una politica ferrea per situazioni di questo tipo, o comunque simili a questa e vuole avere conferme mediche.»
Billy e Zec si avviarono in corridoio in compagnia della donna e nessuno fece più parola sull’accaduto.
 

«È totalmente inutile. Oltre che snervante» si lamentò Betty.

Quando le ambulanze erano arrivate a scuola, lei, gli altri studenti e i professori erano radunati nel cortile. I paramedici avevano chiesto se ci fosse qualcuno che dovesse avere la precedenza sugli altri e Donovan aveva urlato il suo nome, raccontando della caduta in piscina e della perdita dei sensi. Così si ritrovava stesa in un letto dell’ospedale, pur essendo in perfetta salute. «Ed è tutta colpa tua.»
Donovan la guardò impassibile. «Lo so. E ne sono fiero.» Era in piedi vicino al letto, con le braccia conserte sul petto e nessun segno di rimorso.
Betty si puntellò sui gomiti. «Avanti, sai anche tu che è una stupidaggine. Sto bene. Quegli esami che mi hanno fatto si riveleranno uno spreco di tempo.»
«Quando avrai una laurea in medicina, prederemo in considerazione la tua diagnosi» replicò lui.
Betty trovava insopportabile quel suo modo di fare, ma solo al quaranta per cento. Nel restante sessanta lo trovava estremamente dolce. «Intendo dire, sappiamo entrambi che non mi è successo nulla di veramente grave.» Si sforzò di smussare l’insofferenza nella sua voce. «Ho avuto un attacco di panico. Ho affrontato una delle mie più grandi paure e non ho retto lo stress. Non è piacevole, ma neanche mortale.»
Donovan sospirò e lasciò scivolare le braccia lungo i fianchi. «Ok, forse sono stato un po’ troppo apprensivo.»
Betty sorrise e poi tra loro calò il silenzio. Nella furia di risalire dal seminterrato, rintracciare gli altri compagni e uscire dalla scuola, non aveva avuto il tempo di metabolizzare tutto quello che le era successo. C’era stata la parte da film horror, ma anche quella inaspettata. Nel momento del pericolo, quando era stata in preda al panico, si era appoggiata a Donovan e lui era rimasto a darle sostegno. Più di quanto si aspettasse.
Betty si  tirò ancora più su, appoggiandosi al cuscino, contro lo schienale reclinabile del letto. «Non ti ho neanche ringraziato» disse all’improvviso.
«Non è necessario» rispose il ragazzo.
«Invece lo è eccome.» Betty si scostò lievemente, facendogli posto sul materasso. «Siediti qui vicino a me» lo invitò. Si aspettò una delle solite battute di lui, ma Donovan l’accontentò senza dire una parola. Con il viso a una spanna dal suo, continuò. «Devo anche scusarmi. Non ti ho mai preso sul serio. Oggi, mi hai davvero colpito, non mi capita spesso di perdere il controllo in quel modo e tu mi hai protetto. Ti sei preso cura di me, lo fai anche adesso ed è qualcosa a cui non sono abituata. È… nuovo, per me.»
«E le novità ti spaventano, giusto?» domandò Donovan.
«A volte. Ma questa è diversa, è qualcosa che ho sempre desiderato, ma non ho mai voluto ammetterlo.» Betty si morse il labbro inferiore. «Cavoli, di solito sono brava con la sintesi e i discorsi, ma ora mi sembra di non riuscire ad arrivare al punto.»
«Fai provare me» propose Donovan, sorridendo. «Non ho una bella reputazione ai tuoi occhi, ma ora vedi qualcosa di diverso. Fermami se sto sbagliando.»
«Vai avanti.»
«Bene. Tu mi piaci. E mi sembra che io piaccio a te.» Donovan fece una breve pausa, durante la quale lei annuì. «Allora buttiamoci. Proviamo a essere una coppia. O stare insieme, se preferisci. Ognuno si impegnerà e vedremo come andrà.»
«Un po’ troppo sbrigativo, ma il concetto è giusto.» Betty si sporse in avanti Gli prese il volto tra le mani e lo baciò sulle labbra. Un bacio impacciato, con gli occhiali che le premevano contro le guance, ma fu il suo primo vero bacio.
Donovan si staccò, dolcemente le spostò le mani dalla sua guancia e sorrise. «Non male, ma dovremo fare pratica.»
Betty gli accarezzò il braccio con  la mano destra. «Potremmo incominciare la sera del ballo di fine anno, andandoci insieme.»
«Hai sempre della grandi idee.» Donovan si alzò. «Vado a vedere a che punto sono i tuoi accertamenti, così puoi alzarti da quel letto.»
«Ottimo» rispose Betty. «A volte, anche tu hai grandi idee.»
 

Billy sostava davanti alle scale che dal pronto soccorso portavano ai piani superiori. Era di nuovo molto vicino alla sua controparte adulta. Aveva l’impressione di venirne attirato come un magnete, anche se sapeva che fargli visita non avrebbe aggiunto nulla a quanto già sapeva, o a come porvi rimedio.

«Ecco dov’eri finito.» Zec lo raggiunse dal corridoio sulla destra. «Ho parlato con Michelle: sta bene, ma è stata bloccata da una certa Marcy del suo gruppo di sostegno per disturbi alimentari, ma prima è riuscita a vedere Donovan e Betty e stanno entrambi bene. Inoltre, la professoressa Noxon sta tenendo d’occhio quel poliziotto che ci ha bloccati. Vuole essere presente mentre fa domande a tutti quelli rimasti imprigionati.»
«E i gemelli?» domandò Billy senza staccare gli occhi dalla scalinata.
«Non ho loro notizie. Ma conoscendoli, una volta finito il pericolo, se ne saranno andati via di nascosto.»  Zec si fermò al suo fianco. «Piuttosto, cosa mi dici del ragazzo che ha scatenato tutto?»
«Jordan Gutierrez? È a posto. Gli ho promesso che terrò segreto il suo coinvolgimento, si sta facendo visitare come gli altri, ma non rappresenta più un problema» rispose distrattamente. Sentiva il forte impulso di ritornare da Elliott Summerson, ma combatteva per non farlo.
Zec gli mise una mano sulla spalla, facendogli girare il volto verso di lui. «Billy, cosa c’è che non va? Sembra che quegli scalini siano più interessanti di me.» Fece una lieve risata. «Vuoi… rivederti. Cioè rivederlo, non so come esprimermi.»
«Sì» disse sincero Billy. «Sto lottando per non andare di nuovo nella sua stanza.»
«Perché?»
«Tanto non cambierebbe nulla. Non otterremo delle risposte in più su come è finito… o sono finito, in quel letto e in coma.»
Zec gli afferrò la mano e lo trascinò sulle scale. «Non ti farà neanche male. Andiamo.»
Billy non si oppose. Forse Zec aveva ragione, si lasciò guidare per la rampa, fino ai due piani successivi. Uscirono dalla tromba delle scale e entrarono nel corridoio del piano. Sembrava deserto. Percorsero spediti il tratto e giunsero alla camera di Elliott.
Zec posò il palmo sul pomello e lo fece girare, la porta della camera si aprì e intravidero il suo corpo steso. Fecero entrambi un passo avanti per introdursi nella camera.
«Non potete stare qui.»
Si voltarono di scatto. La voce giovane di un infermiere poco più alto di loro, con i capelli castano chiaro a spazzola, un fascicolo sotto braccio e arrivato di soppiatto alle spalle, li fece bloccare.
«Solo i parenti potrebbero fare visite, ma…» l’infermiere si zittì e rimase a fissare il viso di Billy. «Però tu assomigli molto al signor Summerson, per caso…»
«È così» intervenne Zec. «È un familiare.»
L’infermiere inarcò un sopracciglio. «Davvero? Nella sua cartella c’è scritto che non ha parenti in vita.»
«Infatti… perché… ecco, è una questione complicata» continuò Zec. «Vede, lui, il mio amico, lui è il… fratello.»
Billy si voltò a guardarlo, cercando di mascherare la sua stessa sorpresa per la sfacciataggine con cui aveva sparato quella menzogna.
«Mi prendete in giro?» chiese serio l’infermiere, stringendo con le dita della mano sinistra la cartella sotto il  braccio destro.
«È vero, io… cioè lui… Elliott Summerson è il mio fratellastro» ripeté Billy.
Zec si avvicinò al suo interlocutore. «Ha notato come si somigliano? Il mio amico ha scoperto da poco questo legame» disse a bassa voce. «Sa, suo padre non è mai stato molto fedele ed è morto da poco. Frugando tra le sue cose, il mio amico ha scoperto di avere un fratello più grande, ma non vuole che lo sappia anche sua madre.»
L’infermiere allargò le labbra, quasi a formare un cerchio perfetto per la sorpresa della sconvolgente rivelazione. «Oh. Mi dispiace. Non volevo essere inopportuno.»
«Non c’è problema» rispose Billy.
«Comunque non posso farvi entrare. Dovete tornare con un permesso firmato che certifica la parentela.»
«Certo, ma a noi bastano poche informazioni» provò Zec.
Billy si concentrò nella sua espressione più triste e strappalacrime. «So che non è la prassi, ma vorrei solo sapere come mio fratello è finito in quello stato. Se dovessi coinvolgere mia madre, soffrirebbe troppo.»
L’infermiere li scrutò pensieroso. Poi afferrò la cartella clinica e l’aprì davanti a sé. «D’accordo, farò uno strappo alla regola, dato che è un caso un po’ particolare.» Scorse con lo sguardo le notizie e poi disse: «Tuo fratello è in coma da circa undici anni.»
«Undici? Da così tanto?» domandò Billy allibito.
L’infermiere annuì e proseguì a leggere silenzioso.
Zec lo osservò sulle spine. «Può dirci la causa del coma?»
«Be’ quello è un vero mistero.» L’infermiere alzò gli occhi dal foglio e li guardò in faccia. «È stato trovato in quello stato in casa. Non c’era niente nelle vicinanze che indicasse l’uso di farmaci o altro. E dalle analisi non è emersa nessuna allergia, infezione o causa esterna che giustificasse il coma.»
«Quindi è come se si fosse addormentato» ipotizzò Zec.
L’infermiere chiuse la cartella. «In un certo senso sì, è come se fosse così, ma scientificamente non è possibile. Hanno ipotizzato un disturbo simile alla Sindrome Kleine-Levin, alcuni la conoscono come “sindrome della bella addormentata”, ma il sonno permanente non è tipico di quella patologia. Continuiamo a svolgere i test di routine e a cercare un modo per portarlo a svegliarsi, ma senza successo. Al momento ci limitiamo a tenerlo in vita. Mi dispiace ragazzi, ma non posso dirvi altro.»
Billy lo fissò assente. «La ringrazio. Ci è stato di grande aiuto.» Si girò e torno sui suoi passi verso le scale.
«Grazie ancora. E scusi per il disturbo.» Zec si sforzò di sorridere all’infermiere, poi corse dietro al compagno.
Scesero entrambi la prima rampa di scale, Billy si sentiva in trance, scioccato da quella scoperta.  A metà della seconda tornata di scalini, Zec gli afferrò con forza il braccio, facendolo riscuotere.
«Aspetta. Che ti prende. Sei sconvolto?»
«Non lo hai capito?» dallo sguardo del compagno, Billy realizzò che la conclusione non era stata lampante anche per lui. «Non è stato vittima di un incidente. È un coma autoindotto.»
Zec strabuzzò gli occhi. «Aspetta… se lo è procurato da solo?»
«Esatto. La cosa peggiore è che non penso sia un caso quello successo dopo. Sapeva a cosa andava incontro, quello che avrebbe scatenato» disse Billy amareggiato. «E questo complica tutto. Non si può svegliare un uomo che ha scelto di entrare in coma.» 

 

                                              Continua…? 





lunedì 22 agosto 2016

Adolescenza sulla Bocca dell'Inferno - Puntata 30

30. Ognuno ha il suo Inferno


Una testa, con le orbite vuote e nere, la mandibola parzialmente coperta da brandelli di carne putrefatta e la bocca semiaperta per mostrare pochi e isolati denti marci, fu la prima immagine nitida.

Billy la vide e lanciò un gemito.
La cenere stava dando forma anche ad altro: un corpo con attaccati in evidenza muscoli e pelle che si alternavano tra loro, almeno dove non erano coperti da una divisa blu stinto, strappata e logora. Un foro al petto, a sinistra dove s’intravedeva un rivolo di sangue. Altre macchie di sangue secche formavano una striscia discontinua sul tessuto, proseguendo sui pantaloni e infine comparvero i piedi nudi, anch’essi un miscuglio imperfetto di pelle essiccata.
«È lui!» gridò Kenny, lasciando la sorella e portandosi entrambi le mani al viso, mentre fissava lo zombie con sguardo sgomento.
Kerry scattò in avanti e bloccò l’essere, afferrandogli i polsi. «No, è solo un’illusione.»
«Che diavolo significa tutto questo? Conoscete questa.. cosa?» domandò Billy confuso.
Kerry lo guardò seria. «Occupati di quel tizio nell’ombra. Non eri venuto per parlare? Fallo» gli rispose. «Qui ci penso io, ma sbrigati: se il burattinaio non si ferma con le buone, gli rompo le ossa.»
Billy tralasciò di insistere sul fatto che la loro reazione fosse stata ambigua nel vedersi comparire davanti lo zombie e si avvicinò al ragazzo che lo aveva tirato fuori dal nulla. Arrivatogli quasi accanto, riuscì a distinguere il suo volto. Aveva i capelli castani, la pelle olivastra e occhi marroni. «Ascolta, qualsiasi cosa tu stia facendo, devi smetterla.»
«Perché?» chiese lui con noncuranza.
Non sembrava arrabbiato, neanche aggressivo, pareva quasi stanco. Billy lo studiò con attenzione e ricordò di averlo già visto in mensa e a lezione di storia. «Sei Jordan, giusto? Jordan… Gutierrez. Per favore, se non vuoi fermarti, almeno spiegami perché lo stai facendo.»
L’espressione di Jordan cambiò. Ora parve confuso, come se non si aspettasse quella domanda.  
Billy si guardò alle spalle. Kerry non faticava molto a tenere a bada lo zombie, il quale non si sforzava a sua volta troppo per andare contro i due. Kenny era  ancora sconvolto, ma non in pericolo. Decise allora di continuare a parlare a Jordan. «Devi avere una ragione. Magari anche giusta. Qualcuno non ti ha dato attenzione? Oppure un bullo ti tormenta? Di qualsiasi cosa si tratti, a me puoi parlarne.»
Jordan si allontanò di un passo dal forno fiammeggiante e disse: «Voti.»
Billy aggrottò la fronte. «Voti?»
«Sì, stupidi, inutili voti. Come se definissero ciò che sei o potessero davvero dare un valore a quello che sai.» Jordan lo guardò infuriato. «Ti sembra giusto? I voti non possono quantificare la fatica che fai, o il tempo impiegato sui libri, sacrificando altro. Però sono l’unica cosa che conta e ti permette di uscirne.»
In maniera esponenziale alla crescita della sua rabbia, Billy udì alle sue spalle lo zombie animarsi, emettere versi e ringhi minacciosi. Era chiaro che tenerlo calmo era l’unica strategia vincente. «Ok, sono d’accordo. I voti non sono… giusti.» Rifletté qualche istante, il problema di Jordan era semplicemente di tipo scolastico, ma un brutto voto non poteva giustificare tutte le mostruosità che aveva creato. «Però non devi prendertela tanto» aggiunse. «Cosa te ne importa dei voti finali? Ormai sei all’ultimo anno. Tra pochi giorni ti diplomi e non dovrai più pensarci.»
«È proprio questo il punto» urlò Jordan.
Le fiamme divamparono dal forno al suo fianco. E Billy sentì lo zombie ringhiare in modo più violento.
«Questo morto vivente è più forte, adesso» confermò Kerry, affaticata. 
«Non potrò diplomarmi» riprese Jordan, stringendo le dita di entrambe le mani a pugno. «Per dei stupidi voti bassi in biologia, matematica ed economia non ho superato i corsi e dovrò ripetere l’anno. Un intero anno ancora qui dentro per colpa di tre materie e soprattutto di quello stronzo del professor Monaghan. Quello ce l’ha con me, mi odia, probabilmente perché sono ispano-americano e quindi è anche razzista. Ma nessuno interviene per fermarlo.»
«D’accordo, hai subito un’ingiustizia, ma ci sono altri modi per sistemare la faccenda.» Billy si forzò di trovare una soluzione abbastanza convincente per farlo ragionare. «Prova a parlarne con il preside.»
«È inutile» replicò Jordan arrabbiato. «Hanno già deciso. Mi bocciano e non ci sono alternative. Allora, se io sono costretto a tornare qui dentro, bloccato ogni giorno, lo saranno tutti. Nessuno potrà più uscire!»
In parte Billy condivideva il suo risentimento, ma doveva comunque trovare un modo per fermarlo e possibilmente non violento. «Posso capirlo, ma tutto il resto? Perché hai fatto in modo che dei ragazzi si trasformassero in mostri o in altro? Perché creare cose abominevoli come quello» domandò e si girò a indicare lo zombie in lotta con Kerry.
Jordan lo guardò come se fosse ovvio. «Di cosa ti meravigli? Professori che ti trattano con superiorità e fanno di tutto per penalizzarti. Ragazzi, tuoi compagni, che fanno i bulli e ti prendono in giro, oppure ti ignorano ed emarginano. Angosce per esami e interrogazioni che determineranno quanto tempo dovrai ancora trascorrere qui dentro. La scuola non ti sembra un vero Inferno?»
Billy si sentì uno stupido a non averci pensato prima. Una parte di lui, forse quella più connessa al sé adulto, trovava logico il ragionamento del ragazzo e naturale che l’influsso della Bocca dell’Inferno facesse il resto. Restava comunque sorpreso dalla varietà degli orrori. «Però ti sei proprio sbizzarrito.»
«Non sono direttamente responsabile per tutto quello che viene fuori» rispose Jordan. «Restare incastrato un altro anno al liceo è il mio Inferno e volevo che gli altri provassero lo stesso. Ognuno doveva sperimentare il proprio Inferno senza poterne uscire.»
Kerry urlò, costringendo Billy  a voltarsi indietro. Lo zombie sembrava diventato decisamente più potente negli ultimi minuti. L’aveva afferrata per il collo e lanciata sul pavimento, sbattendola sul cemento come un sacco di patate. La ragazza rimase a terra dolorante, accusando il colpo. Lo zombie le passò accanto e con lentezza si avvicinò a Kenny.
«No, stai indietro» urlò il ragazzo, rannicchiandosi contro il muro. «Stai indietro.»
Kerry tentò di rimettersi in piedi, senza successo. «Combattilo» disse con un sussurro.
Kenny nascose la faccia dietro il braccio sinistro. «Non posso. Non posso farlo» ripeté con la voce tremante.
Billy sapeva che intervenire sullo zombie era inutile, per di più senza avere niente che lo potesse ferire. Afferrò le  braccia di Jordan e gli ordinò: «Ferma questa assurdità!»
Jordan sostenne il suo sguardo. «Perché?»
«Perché la vita non finisce al liceo e se pensi che qui sia brutto e ingiusto, fuori è anche peggio.»
«E tu come lo sai?» chiese beffardo Jordan. «Sei un anno più piccolo di me.»
«Devi fidarti, ripetere un anno non è la fine del mondo, o un problema insormontabile.» Billy sentì di nuovo una connessione con Elliott Summerson, il suo alter ego adulto. Provò una convinzione diversa, estranea e allo stesso modo dettata da un’esperienza maturata in più  anni dei suoi. «Per certi versi è un’altra opportunità. Puoi rimediare a quello che non ti piace, rifare tutto da capo, imparando da quello che hai sperimentato in quest’anno e viverlo meglio. Farti nuovi amici o riallacciare i rapporti con i vecchi con cui ti sei allontanato; far capire ai professori e ai bulli che non ti possono mettere in difficoltà. Questo ti servirà per essere in parte pronto alla vita fuori di qui, perché queste seconde chance difficilmente le avrai nel mondo oltre queste mura.»
Jordan non rispose subito e lo fissò scettico. «Sembra quasi che tu abbia già provato cosa vuol dire non essere più un liceale.»
«In un certo senso è così.»
Jordan mosse le braccia per liberarsi e Billy lo lasciò andare. «È stato questo il tuo Inferno?»
«Forse. Non ne sono sicuro» gli rispose. Billy ricordò di colpo Kenny in pericolo e riportò lo sguardo su di lui. Fece in tempo a vedere lo zombie che gli afferrava i riccioli neri e lo rimetteva a forza in piedi. «Per favore, annulla tutto e prova a ricominciare. Per le insufficienze troveremo un modo per rimediare. Ho un’amica che è un genio, di sicuro ti darà una mano.»
Jordan spostò gli occhi da lui e osservò Kenny a sua volta. Lo zombie aveva tirato la faccia del ragazzo accanto alla sua e con la bocca spalancata e in parte sdentata, si apprestava a morderlo, come se fosse un churro fumante. «Mi prometti che questa volta sarà meglio?»
«Non posso, ma non lo saprai se non proverai. Però se vai avanti con il tuo “condividiamo l’Inferno” non lo scoprirai mai.»
Kerry si rialzò barcollando e cercò di raggiungere il fratello. «No! Ti prego, fermo. Non puoi pa…»
«Va bene. Proviamo» disse infine Jordan. «Faremo a modo tuo. Basta Inferno.»
Lo zombie si dissolse in cenere, un istante prima di affondare i pochi denti nella pelle color cioccolato di Kenny. Un onda di calore invisibile si propagò per tutta la stanza, riportandola alle sue dimensioni reali.
Billy guardò il forno fiammeggiante e aveva ripreso le normali dimensioni e l’aspetto della caldaia della scuola. Girandosi, si accorse inoltre che Kerry stringeva tra le braccia Kenny singhiozzante e a un passo da loro.
Michelle entrò dalla porta spalancata, i capelli abbandonavano la tinta scura per riprendere il rosso naturale e le vene svanivano dalla sua faccia mentre passava in rassegna i volti di tutti, con un misto di sollievo e confusione.
«È tutto finito» spiegò Billy a lei e anche agli altri due ragazzi. «Jordan non intende più fare del male a nessuno.» Sfiorò gentilmente la spalla del ragazzo e uscì nel corridoio, trovò che era stretto e piccolo, come era giusto che fosse. Incontrò Donovan e Betty – ora rinvenuta – appoggiati al muro delle scale appena riapparse e lo guardarono sollevati.
«Abbiamo vinto?» domandò Donovan.
Billy annuì, passandogli accanto. «Vado a controllare anche il resto della scuola, ma credo che il pericolo sia superato.»
Correndo, salì le scale che lo portavano fuori dal seminterrato, con in testa principalmente il pensiero di Zec. Doveva assicurarsi che anche lui fosse tornato normale.
 

Billy arrivò ansimante davanti alla classe di matematica. La parte dell’edificio che aveva attraversato si era rivelata tornata al suo stato abituale. Aveva incrociato dei ragazzi e pochi insegnanti mentre uscivano insicuri dalle classi in cui erano stati tenuti prigionieri e anche se avevano un aspetto umano, sui loro volti aveva letto le stesse espressioni di terrore, sconcerto e infine sollievo avuto dai suoi amici nel corso della loro lotta con l’Inferno personale.

Superò la porta divelta e stesa a terra e sentì il rumore di vetri andare in pezzi all’interno.
Nell’attimo in cui entrò nell’aula, l’anta dell’armadio volò contro il muro e Zec uscì con il suo aspetto da poltergeist oscuro. Appena lo vide, riacquistò il suo look normale. «Cos’è successo? Stavo parlando con Michelle e Betty e mi sono ritrovato chiuso nell’armadio.»
Billy sorrise. Gli andò incontro, lo abbracciò forte e poi lo baciò sulle labbra. Rimase a lungo a contatto con la sua bocca, assaporando la materialità della sua pelle e la conferma del suo essere vivo.
Quando si staccò, Zec chiese: «A cosa lo devo? Non che mi dispiaccia, ma ho come l’impressione di essermi perso qualcosa.»
«Mi sono reso conto che non ci siamo mai scambiati un bacio» rispose Billy. «Non volevo rischiare di avere questo rimpianto.»
Zec lo guardò incerto. «È tutto a posto?»
Billy gli strinse le mani nelle sue. «Ora che vedo che stai bene, sì.»
«Fermi dove siete!»
I due ragazzi si voltarono verso l’apertura della classe. Non si erano accorti di non essere soli.
Un poliziotto era fermo a fissarli. Era lo stesso intervenuto la sera della recita e puntava la sua pistola di ordinanza contro di loro.

 

                                                   Continua…?





lunedì 1 agosto 2016

Adolescenza sulla Bocca dell'Inferno - Puntata 29

29. Scuola: un po' Inferno, un po' Prigione (3°parte)


In principio fu come cadere a rallentatore.

Dopo essersi abbandonato all’acqua, Billy lasciò che il peso del corpo lo trascinasse a fondo e anche se aveva gli occhi chiusi per le schifezze che la piscina conteneva, era certo fosse lo stesso per i compagni. Di colpo però la gravità si fece sentire e cominciò a precipitare rapido verso il basso.
Nell’istante in cui aprì gli occhi, avvertì l’urto doloroso del suo sedere contro il pavimento. Scrutò lo stretto corridoio illuminato dalla luce fioca delle lampade elettriche e notò l’assenza di acqua e Mostri della Laguna, ma la metà della Falce ancora stretta tra le dita. Erano infine arrivati a destinazione.
Si tirò su e si sedette, con la maglia appiccicata alla pelle per effetto del bagnato e i capelli scuri che lasciavano cadere gocce lungo la schiena e sui jeans fradici, controllò di avere i compagni al fianco. «State tutti bene?» Si girò su entrambi i lati e li vide rialzarsi lentamente.
«Mi sembra di sì…» rispose Michelle di fronte a lui, a carponi, inspirando avidamente aria e con camicetta e pantaloni grondanti acqua sul pavimento.
Alla sinistra di Billy, Donovan restò seduto, appoggiando la schiena al muro che aveva alle spalle, tirò con la mano sinistra i capelli umidi all’indietro e abbassò il volto per avvicinare l’orecchio sinistro alla bocca di Betty. «Respira» disse.
La stringeva ancora in grembo, con gli occhi chiusi, gli occhiali scomposti sotto il naso e ciocche di capelli castani schiacciati sulla faccia; le braccia abbandonate sul corpo, la metà della Falce ferma sul palmo quasi aperto e i vestiti bagnati.
Donovan sollevò il volto da lei e chiese: «Perché non si riprende?»
«È svenuta a causa dello shock» fece Kenny, rimettendosi in piedi mentre un rivolo di acqua scendeva sulla pelle scura, con i vestiti fradici e i capelli appiattiti sulla nuca. «Ha affrontato una fobia, è normale una reazione del genere.»
Kerry si alzò a sua volta e si strizzò le treccine di capelli scuri con la mano destra, facendole gocciolare lontano dai vestiti bagnati. «Dove siamo finiti?»
Billy osservò con più attenzione il luogo. «Sembra il seminterrato.»
«Non c’è molto qui, a parte la stanza della caldaia» disse Michelle, in piedi e asciugandosi i palmi sui pantaloni.
Una folata di vento caldo invase la zona in cui si trovavano. La temperatura e l’intensità furono talmente alte da asciugare parte dei loro vestiti, dei corpi e i capelli.
Kerry guardò la porta della stanza della caldaia, non molto lontana. «Prenderei questo caldo come il segnale che il o la responsabile si trova lì. Andiamo.»
«Noi  non veniamo» disse Donovan. «Betty è ancora svenuta e non è certo in grado di combattere o affrontare altre situazioni stressanti. Rimango a prendermi cura di lei.»
Billy abbassò lo sguardo verso lui e l’amica stretta tra le sue braccia. Ricordò di aver detto di non voler lasciare indietro nessuno, già rimpiangeva di averlo fatto con Zec, ma era d’accordo con Donovan: Betty non era nello stato di combattere.
«D’accordo.» S’inginocchiò e unì la sua metà della Falce a quella di Betty. La tolse poi dalla mano della ragazza e la porse integra a Donovan. «Ne hai più bisogno tu, anche se spero non debba usarla.»
Donovan l’afferrò con un sorriso sghembo. «Me lo auguro.»
«Ehi! Aspetta un attimo. Quell’arma serve più a noi.» Kenny afferrò Billy per una spalla, costringendolo a girarsi. «Non sappiamo con chi abbiamo a che fare e cos’altro può mandarci contro. Non possiamo andare senza niente con cui combattere.»
«O con cui uccidere» aggiunse Kerry.
«Non uccideremo nessuno» disse Billy deciso. Puntò l’indice destro contro il petto di Kenny e glielo batté due volte contro, tanto da spingerlo ad arretrare. «Ci sono state fin troppe morti che non ho potuto evitare, questa volta agiremo diversamente. Capiremo qual è il problema e cercheremo una soluzione pacifica. Non azzardatevi ad alzare un dito su qualcuno che potrebbe essere una vittima di questa situazione quanto noi. Mi sono spiegato?»
«Vuoi dire qualcuno che tu hai reso una vittima come noi» intervenne Kerry. «Non dimenticare: tutto questo succede a causa tua.»
«Se non volevate veramente salvare qualcuno, cosa diavolo siete venuti a fare con noi?» domandò Michelle irritata.
«Siamo Prescelti. Distruggiamo il male, o almeno una parte» ribadì Kenny, lanciando un’occhiataccia a Billy.
Billy era stanco di sentirsi accusare e altrettanto stufo della superiorità con cui lo trattavano. Si mise di fronte ai gemelli e disse: «Siete solo dei mezzi Ammazzavampiri e lo siete diventati per via di un qualche desiderio o volontà repressa, resa reale grazie al me stesso adulto in coma. Se pensate che la vostra missione sia combattere i mostri che si generano da questa Bocca dell’Inferno, vi do una novità: siete dei mostri anche voi. Ora venite con noi e seguite ogni mio comando. O vi giuro che come vi ho dato i poteri, trovo un modo per toglierveli.»
Kerry e Kenny lo fissarono in assoluto silenzio, impreparati a quella sfuriata.
Billy si girò di nuovo verso Donovan. «Per qualsiasi problema urla e arriviamo, ok?»
Donovan annuì e fissandolo ammirato, disse. «Adesso capisco cosa hanno visto in te Betty e  Zec. Quel discorso… cavoli quanto eri sexy. Stendi i cattivi, tigre.»
Billy gli sorrise. Se Donovan tornava a scherzare, la situazione non poteva essere tanto negativa. Potevano vincere alle sue regole. Non avrebbe permesso a nessuno di fare male ai suoi amici, o ad altri innocenti.
Si avviò nella zona in penombra, verso la stanza della caldaia, raggiunto da Michelle e seguito dai riluttanti gemelli. Percorsero una trentina di passi prima di trovarsi davanti la porta e appena la spalancò, si accorsero che anche quella stanza aveva subito una distorsione dello spazio. Il perimetro si estendeva per metri, molti più di quanto l’intero seminterrato potesse contenerne. Non solo: la superficie del pavimento era interamente ricoperta da serpenti con squame e pelle verde e nera, strisciavano in un groviglio raccapricciante, sibilando uno sopra l’altro.
«Pensate siano velenosi?» domandò Kenny.
«È molto probabile» rispose Billy. «Dobbiamo trovare un modo per attraversare lo spazio che ci divide dalla caldaia. Sento che il nostro carceriere è laggiù. Qualche idea?»
«Detesto i serpenti» dissero all’unisono Kerry e Michelle.
Poi si guardarono in volto, sorprese della reciproca schiettezza.
«Grazie per la precisazione, però è l’unica via che abbiamo» constatò Kenny, anche se sembrava all’oscuro della paura della sorella. «Michelle, tu usi la telecinesi o una cosa simile, non puoi sollevarci in volo?»
Michelle scosse la testa. «Non credo di riuscire a reggere tutti e comunque la paura potrebbe farmi perdere la presa.»
«Allora trascinali fuori» propose Kerry. «Lasciamo aperta la porta, li afferri con il tuo potere e li butti qui in corridoio. Strada libera, problema risolto.»
«No, non può farlo» affermò Billy. «Donovan è qui con Betty indifesa e senza vie di uscita dal seminterrato. Anche con la Falce, non può gestirli tutti, sono troppi.»
Kenny sbuffò. «E allora cosa proponi?»
Billy guardò Michelle con aria colpevole. «Mi dispiace, ma sei la nostra unica possibilità. Puoi trattenerli spingendoli contro le pareti e aprirci un passaggio. Un po’ come hai fatto con i vampiri durante la sera della recita.»
Michelle sporse il viso in avanti e guardò i serpenti attraverso l’uscio. Poi si voltò verso l’amico e deglutì. «Se non c’è altro modo…»
«Non è affatto un a buona idea» si oppose Kerry. «Ha appena detto di non essere sicura di mantenere il controllo e se nel panico li lasciasse andare? Ci sarebbero addosso in un secondo!»
Billy posò una mano sulla spalla sinistra di Michelle. «So che non accadrà. Ce la farai, mi fido ciecamente di te.»
Michelle fece un debole sorriso e mosse un passo in avanti. Cercò di richiamare il potere e la trasformazione, ma tutti quei sibili la distraevano. Tentò chiudendo gli occhi, ma sul suo viso si dipinse una smorfia di terrore. Si girò verso Billy e ammise: «Non ci riesco. Mi terrorizzano troppo.»
«So come aiutarti» Kerry si fece avanti e la spinse con forza nella stanza.
Prima che Billy potesse intervenire, Michelle lanciò un urlo. Vide i serpenti srotolarsi per raggiungerla e i capelli della ragazza passarono dal rosso al nero, alzò le braccia e i serpenti furono schiacciati con violenza contro le pareti ai loro lati.
Michelle si voltò verso Kerry, il viso rabbioso e le vene scure su fronte e guance e occhi totalmente scuri come la pece. «Non provarci mai più, o ti stacco la faccia» le ruggì contro.
Billy entrò a sua volta nella stanza. «Tranquilla, non accadrà di nuovo. Ora sbrighiamoci.» Le passò accanto e si fermò in attesa degli altri due ragazzi.
Kerry rimase immobile a fissare l’altra ragazza. L’espressione del suo volto era indecifrabile, poteva essere timore, come rabbia. Kenny le prese la mano e se la tirò dietro. «Avanti, procediamo» disse, mettendosi alle spalle dei due alleati forzati.
Proseguirono in quel modo. Billy guardava davanti a sé, osservando i rettili che facevano guizzare la lingua biforcuta tra le fauci e li scrutavano con piccoli occhi da predatori, mentre la forza invisibile li spostava dal pavimento e li teneva pressati sui muri. Lanciò una sguardo a Michelle, notando il sudore sulle tempie e intuendo potesse essere dovuto alla fatica, quanto allo stress. Con la coda dell’occhio controllò anche i gemelli dietro di loro. Kerry teneva il viso e lo sguardo basso e stringeva la mano del fratello. Kenny camminava guardingo spostando velocemente gli occhi dagli animali alla strada davanti a loro.
Continuarono in quel modo per una decina di minuti, fin quando Billy intravide una figura nell’ombra vicino alla caldaia, con l’anta aperta, emanava delle fiamme rosse e gialle.
«Non ce la faccio ad andare avanti» disse all’improvviso Michelle.
Billy guardò per terra: i serpenti erano stati tutti eliminati dal loro cammino e ammassati alle pareti. Sentiva i loro sibili e lo strusciare dei corpi squamosi come un rumore di fondo. «Manca poco, ce la puoi fare.»
Michelle scosse la testa. «Non hai capito. Se mi allontano da questo punto, perderò la presa e i serpenti saranno liberi. Dovete proseguire e io rimarrò qui a mantenerli lontani.»
«Ma… »
«Non c’è tempo per discutere» lo interruppe Kenny. «Prima facciamo quello che dobbiamo fare, prima tutto questo svanirà.» Passò a fianco di loro due e li superò con Kerry che lo seguì senza fiatare.
Michelle contrasse la mascella. «Non pensare a me, tieni d’occhio quei due. Non mi fido di loro.» Provò a sorridere, ma non le riuscì. «Vai, Billy.»
Lui annuì, ma non era affatto tranquillo. Aveva abbandonato tutti i suoi amici e, per la prima volta da quando ricordava fosse iniziata questa storia, era solo contro il male.
«Farò più in fretta che posso» disse Billy all’amica  e rincorse i due ragazzi davanti  a lui. Si girò indietro una volta sola, notando come la figura di Michelle si facesse sempre più piccola mentre si allontanava.  Raggiunse i compagni e li afferrò entrambi per una spalla. «Non fate niente, finché non ve lo dico io.»
«Va bene, va bene» sbottò Kerry, ritrovando la sua strafottenza. «Basta che la finiamo. Questa giornata sta diventando troppo lunga.»
Billy camminò accanto a loro, finché non furono a pochi centimetri dalla figura ancora con il volto in parte coperto dalle ombre.  Era in piedi, alla destra alla caldaia aperta. Non sembrava il modello moderno che avrebbe dovuto essere installato a scuola. Gli sembrava più un vecchio forno, ma pensò potesse essere anche quello frutto della distorsione.
Billy si schiarì la gola. «Non siamo qui per farti del male. Vogliamo solo parlare.»
«Parlare?» ripeté la voce della persona di fronte a loro. Era un maschio e aveva un tono tra l’offeso e lo stanco. «Non abbiamo nulla da dirci.»
Il ragazzo infilò le mani nel fuoco, buttava fuori lingue rosse e gialle e sul palmo gli si depositò della cenere scura. La soffiò nell’aria e invece che disgregarsi, questa si raggruppò, dando forma a qualcosa.
«Oh no…» sussurrò Kenny e Billy si accorse che adesso era lui a stringere con forza la mano della sorella nella sua.  
Una sagoma raccapricciante si materializzò a poco, a poco davanti a loro tre, dando conferma a Billy che era stata davvero una scelta stupida non portare neanche un’arma.

 

 
                                              Continua…?