giovedì 6 agosto 2015

Adolescenza sulla Bocca dell'Inferno - Puntata 5


5. Anime Social


«Non ne sono ancora del tutto convinta» disse Michelle con la bocca piena di patatine al formaggio e infilando la mano sinistra nel sacchetto per pescarne altre.

Betty sospirò spazientita. «Va bene, ricominciamo da capo.» Si girò verso lo schienale della sedia, guardando la compagna negli occhi; diede le spalle allo schermo del computer nell’aula multimediale dove aveva riunito anche Zec e Donovan, entrambi seduti al suo fianco e ripeté la spiegazione. «C’è qualcosa di strano riguardo agli ultimi avvenimenti. Zec ha notato una serie di crimini irrisolti che sembrano usciti da una maratona di Buffy The Vampire Slayer e contemporaneamente è sbucato dal nulla questo ragazzo, Billy, che si definisce un ammazzavampiri, un prescelto e ci ha salvato nelle ultime due settimane. Vedi il collegamento?»
Michelle masticò pensierosa. «Credi che insceni questi crimini di proposito?»
«No, non intendeva questo» intervenne Zec e Betty gliene fu grata. «In qualche modo, però, Billy potrebbe sapere come mai queste stranezze da serie Tv accadono anche nel mondo reale.»
«Ha ammesso di percepire il male» aggiunse Betty. «Qualsiasi cosa significhi.»
«Non so.» Michelle accartocciò il sacchetto di patatine vuoto. «Se come dici tu ha qualche informazione, come mai negli ultimi due mesi, cioè da quando sono iniziati questi strani omicidi, è riuscito a salvare solo noi?»
«Forse è un Cacciatore in allenamento» ipotizzò Donovan, scrollando le spalle.
«O magari è legato al tipo di minaccia che ha dovuto affrontare per aiutarci» continuò Betty. «Forse non sapeva come sconfiggere gli altri nemici soprannaturali contro cui si è scontrato.»
«Non mi sembrava molto preparato quando ha affrontato Anika» disse Donovan.
«Chi è Anika?» domandò Michelle.
«Di nuovo? Te l’ho già detto, lei era…» Betty ricordò la spiegazione di Billy sui ricordi riguardanti la ragazza. «Lascia stare, non è importante. Il punto è che Billy è l’unico che può darci informazioni e sparisce quando sto per chiederle.»
«Probabilmente è un modo per tenerci al sicuro e coprire la sua identità, come un supereroe» disse Zec. «Anche se dice apertamente il suo nome.»
«E questo ci porta al motivo per cui siamo qui.» Betty si girò di nuovo verso lo schermo del computer e iniziò battere freneticamente le dita sulla tastiera. «È sempre qui quando ce ne è bisogno, quindi deve frequentare la nostra scuola e dovrebbe esserci una sua scheda personale nell’archivio degli studenti ammessi.»
Donovan si sporse in avanti e la osservò incredulo. «Non sapevo fossi un hacker.»
«Non è necessario» rispose Betty, allontanando le lenti degli occhiali dalla punta del naso. «È sufficiente fare per qualche mese da segretaria al vicepreside e ricordarsi la password per l’accesso alle cartelle riservate.»
Rimasero in attesa del caricamento della pagina sul video.
«E se si fosse ispirato a un personaggio specifico?» disse Michelle. «A parte a Buffy, intendo.»
Zec incrociò le braccia. «In effetti nella serie c’è un personaggio che si chiama proprio Billy l’ammazzavampiri.»
«Ma che dici? Ho visto tutti gli episodi almeno quattro volte e non c’è nessuno con quel nome» rispose Donovan.
«Ma c’è nella nona stagione a fumetti» precisò Zec.
Michelle si mise le mani sulle orecchie. «Non dire niente! Ho ordinato i volumi in fumetteria e devono ancora arrivarmi, non fare spoiler.»
«Ehi, siete proprio dei nerd» fece Donovan. «Non sapevo neanche fossero andati avanti dopo l’ottava.»
Betty sbuffò di nuovo. «Volete rimanere concentrati? L’idea che si ispiri a un personaggio della serie potrebbe essere giusta, ma la valuteremo dopo.» Armeggiò ancora sulla tastiera e sullo schermo comparve la scritta NESSUN DATO TROVATO. «Ma che cavolo…?»
«Che significa?» chiese Michelle.
«Billy non è iscritto alla nostra scuola» rispose Donovan.
«Peggio» disse Betty, mentre apriva e chiudeva finestre web spostando il mouse. «Secondo questi files non ci sono documenti sul passato scolastico di Billy, o sulle sue vaccinazioni obbligatorie. È come se non esistesse.»
Di colpo lo schermo tremolò, le immagini si ridussero a quadratini e poi divenne completamente nero.
«Cosa hai fatto?» domandò Zec allarmato.
«Niente» rispose Betty. «Si è autodistrutto da solo.»
Sullo schermo comparve una finestra per le chat.
“Ciao. Diventiamo amici. Ti ho appena inviato la richiesta. Malcom.”
«Chi è questo tizio?» chiese Donovan.
Tre cellulari emisero un doppio bip, Betty estrasse il suo dalla tasca dei pantaloni, mentre Michelle e Donovan facevano lo stesso. Sullo schermo lampeggiava l’icona di Facebook e sfiorandola con il dito lesse la richiesta di Malcom. «Come ha fatto a inserirsi nel Pc della scuola e mandarcele?» Alzò lo sguardo e fissò Zec. «E perché tu non l’hai ricevuta?»
Zec mostrò imbarazzato il suo cellulare. «Non ho uno smartphone. Il mio è un vecchio modello.»
«Che facciamo?» domandò Michelle.
«Non fate niente.»
Betty si girò verso la porta, imitata dai tre compagni, quasi sicura di sapere chi avesse parlato. Ancora una volta lui era comparso dal nulla: Billy era fermo all’ingresso dell’aula e li fissava. «Come hai fatto a entrare?»
«Non accettate quella richiesta» insisté Billy.
«Rispondi alla mia domanda» replicò Betty.
«Ho usato l’ingresso sul parcheggio e fatto le scale.»
Donovan si alzò in piedi. «Ah, ah. Divertente. Vogliamo sapere come puoi girare per la scuola visto che non sei iscritto.»
Billy rimase serio. «Non è importante. Al momento abbiamo problemi più seri.»
«Abbiamo?» ripeté Michelle.
Zec si alzò a sua volta e si avvicinò a Billy. «Perché sei qui e perché non dovremmo dare l’amicizia a questo Malcom?»
«Perché ho avvertito il male e in questo istante è concentrato qui dentro» rispose.
Betty spostò la sedia e si mise in piedi. «Devi dirci di più se vuoi che ti crediamo. Cos’è questa storia del male?»
«Non so come spiegarvelo…» Billy si fermò per cercare le parole. «È come il senso di ragno per l’Uomo Ragno, percepisco che qualcosa di malvagio sta per agire e che ci saranno conseguenze soprannaturali.»
Michelle agitò il telefono nella mano destra. «E che genere di conseguenza soprannaturale ha accettare un amico su Facebook?»
«Conoscente chi ve l’ha inviata?» domandò Billy.   
«No» rispose Betty. Si girò verso i compagni e scossero in segno negativo la testa. «Immagino sia qualcuno della scuola. Dov’è il problema?»
Billy entrò nell’aula. «Potrebbe essere chiunque e non sai quali intenzioni ha.»
«Accettiamo l’amicizia su Facebook, non gli diamo mica le chiavi di casa» rispose Donovan. «Forse sei un po’ troppo apprensivo.»
«Rifiutatelo e vediamo cosa succede» replicò Billy. «Se non accade nulla, hai ragione, mi sono agitato per niente.»
«Ok.» Donovan fece scivolare il polpastrello sullo schermo del telefono e selezionò RIFIUTA. «Tocca a voi.»
Michelle alzò le spalle con noncuranza e fece altrettanto.
Betty rimase ferma a fissare lo schermo del cellulare. Billy non si era mai sbagliato, ma questa volta sembrava davvero esagerato. Alzò lo sguardo e lo fissò in volto. Era serio e convinto e a lei non venne in mente nessuna buona ragione per cui dovesse inventarsi tutto. Spostò il polpastrello dell’indice destro e cliccò RIFIIUTA. «Ho fatto e ora?»
Due bip provenienti dal Pc su cui stavano lavorando poco prima, furono la riposta.
Betty si avvicinò allo schermo ancora nero e lesse i due nuovi messaggi. «“Avete commesso un errore. Se non siete con me, siete miei nemici. Malcom.” Che scherzo è?»
«Questo tizio è uno svitato» commentò Donovan.
«Siete in pericolo» ribadì Billy. «E lo è chiunque lo ha accettato come amico.»
«A me sembra ce l’abbia con chi lo rifiuta» puntualizzò Michelle.
«Ragazzi, venite a vedere» li chiamò Betty. Rimasta davanti al monitor, osservò aprirsi una pagina di Youtube e il video caricato in diretta. Loro cinque nell’aula multimediale, in piedi e seduti davanti ai computer. Li stavano riprendendo proprio in quel momento. «È assurdo, ma ci stanno spiando.»
Il gruppo la raggiunse, fissarono lo schermo e poi come  lei, si voltarono per vedere se qualcun altro era entrato nella stanza.
«Ci siamo solo noi» disse Zec. «Come fanno a riprenderci?»
«Da lì.» Billy indicò una telecamera a circuito chiuso, sistemata a cavallo tra due pareti, installata come altre in diversi punti della scuola per la sicurezza degli studenti.
Betty riportò gli occhi sullo schermo. Sotto il video era comparso il nome dell’utente: Malcom. «Guardate» disse, in tempo perché potessero leggere il commento appena digitato: Prendeteli!
Tutti e cinque si allontanarono con un balzo dalla postazione.
«Usciamo di qui» ordinò Billy. «Subito.»
Betty fu la prima a seguirlo e i tre amici le furono dietro. Appena imboccarono il corridoio chiese: «Dove andiamo?»
«Se Malcom può vederci attraverso le telecamere, qui a scuola nessun posto è sicuro» disse Michelle.
«Aspettate, ma di chi dovremmo avere paura?» domandò Donovan. «Questo tizio ha dato un ordine al plurale, ma potrebbe essere da solo e questa storia tutta una sua messa in scena.»
Billy si fermò di colpo, facendoli sbattere uno addosso all’altro.
«Che cosa hai?» chiese Zec.
«Il mio senso del male pizzica. Guai in arrivo.»
Dalle scale salirono due ragazzi. Entrambi avevano uno sguardo minaccioso. Il maschio teneva in mano un estintore rosso e la femmina uno scalpello per lavorare la creta.
«Ehi, come va?» fece Donovan.
I due corsero incontro al gruppo urlando: «Chi non è con Malcom è mio nemico!»
La ragazza si avventò contro Michelle con lo scalpello, mentre il ragazzo provò a colpire in testa Donovan. I due schivarono l’attacco per un soffio. Donovan arretrò, mentre il suo assalitore riprovò a colpirlo e Michelle afferrò il polso della ragazza che tentò di nuovo di infilarle lo scalpello nella gola.
Betty saltò sulle spalle del ragazzo che minacciava Donovan, ma lui se la scrollò di dosso facilmente e lei cadde sul pavimento. «Ma cosa prende a questi due? Gli hanno fatto il lavaggio del cervello?»
Billy afferrò il ragazzo per il busto e lui si voltò a guardarlo. Rimase fermo a fissarlo. Donovan colse l’occasione. «Ce l’hai con me» disse, l’altro tornò a guardarlo e Donovan gli assestò un pugno e lo mandò a tappeto.
L’estintore rotolò ai piedi di Zec e lo raccolse. «Ehi, tu» urlò alla ragazza con lo scalpello. Lei si voltò e invece di partire all’attacco verso di lui, rimase immobile  a guardarlo. Zec aprì la valvola e le spruzzò sul volto la schiuma.
Presa alla sprovvista, la ragazza si indietreggiò finendo con le spalle contro il muro e Michelle la colpì in volto facendole perdere i sensi.
Betty si rimise in piedi. «Dobbiamo sbrigarci, quei due sono del club di arte, ci sono solo loro oltre a noi oggi pomeriggio a scuola. I loro compagni non tarderanno a spuntare.»
«E dove pensi di andare?» chiese Michelle.
«C’è un posto dove le telecamere non funzionano» rispose Betty.
«Ok, portaci lì» disse Billy.
Betty corse verso le scale che conducevano al pianterreno e guidando il gruppo, rifletté sul comportamento dei due aggressori. C’era stato qualcosa di strano, si erano avventati su Donovan e Michelle, e avevano colpito anche lei, ma non avevano mosso un dito contro Billy e Zec.
«Da questa parte» disse Betty, portandoli davanti alle porte chiuse dell’auditorium con appeso un cartello dove c’era scritto LAVORI IN CORSO. Scostò le porte e fece passare i compagni, s’intrufolò e chiuse l’entrata alle sue spalle. «Lo stanno ristrutturando, ma non chiudono a chiave. Il pomeriggio non ci lavora nessuno.»
«Cosa credete sia successo ai quei due matti?» domandò Donovan. «Sembravano posseduti.»
«Non proprio» disse Billy. «Non hanno più l’anima e sono manovrati da questo Malcom.»
Michelle aggrottò la fronte «E te ne sei accorto sempre grazie al tuo super potere?»
«Più o meno.»
«Ok, ma come li sconfiggiamo?» domandò Betty.
«Forse la risposta è nelle nostre teorie di poco fa» ipotizzò Zec. «La soluzione può essere in un episodio di Buffy. Pensiamoci.»
Betty cercò di collegare gli avvenimenti. In effetti avevano già avuto a che fare con un vero vampiro che era diventato polvere, un demone della vendetta, due dimostrazioni di potere simili alla Willow malvagia… «Ma certo! È Moloch!»
«Chi?» domandò Donovan.
«Malcom» rispose Betty. «In realtà è il demone Moloch.»
«Hai ragione. Usa lo stesso alias in un episodio nella prima stagione» concordò Billy.
Zec annuì. «E anche lui sfruttava chat e telecamere per muoversi e corrompeva le anime delle persone per farle agire a suo piacere.»
«Giusto, perché era stato liberato da un libro e finito nel web» ricordò Michelle.
«Ma nell’episodio lui si costruisce un corpo robot e lo imprigionano lì dentro» fece notare Donovan. «Il nostro sembra ancora a zonzo in internet.»
Il cellulare di Betty emise un cinguettio. Betty guardò il telefonò e notò che era apparso un tweet:

 

MALCOCH
@malcoch
 
@bettyvamp vi vedo anche senza telecamere, non potete nascondervi da me. Mai.

 

«Moloch ci ha trovati» disse nel panico. Poi capì come ci era riuscito. «I cellulari, spegneteli! Ci rintraccia tramite la connessione internet degli smartphone.» Lei, Donovan e Michelle li spensero in fretta. «Prende le anime nello stesso modo. Usando le adesioni di amicizia e i follower dei social network. Billy e Zec non vengono attaccati perché non hanno accesso diretto» ragionò ad alta voce.
Dal corridoio, udirono una voce gridare: «Sono in auditorium! Prendiamo i nemici di Malcom.»
«Dietro le quinte» ordinò Billy.
I ragazzi corsero verso il palco e si nascosero dietro il sipario.
«Cercate qualcosa come arma tra gli oggetti di scena» suggerì Donovan.
Mentre frugavano negli scatoloni ammassati contro la parete, sentirono la porta sbattere e dei passi avanzare nell’auditorium.
Betty tirò fuori delle cianfrusaglie inutili e passò a un altro scatolone. In cima trovò un cellulare con un post-it appiccicato sopra. «Zec» sibilò. Il ragazzo si voltò e lei gli porse l’oggetto. «C’è scritto che è per te.»
Afferrandolo, Zec staccò il foglietto giallo e appena il suo pollice sfiorò lo schermo, il cellulare si accese.
«Che fai? Dobbiamo tenerli chiusi» lo rimproverò Donovan andandogli di fianco.
«Non sono stato io» rispose. Sullo schermo apparve un link e un messaggio. “Clicca qui se vuoi distruggere Moloch.” Girò lo schermo verso gli altri e disse: «Leggete.»
«Chi è? E perché contatta te e ti regala un telefono?» domandò Michelle.
«Non lo so» disse Zec. «Che devo fare?»
Nell’auditorium rimbombò una voce. «Anche se avete spento i cellulari, vi troveremo! Per Malcom!»
Altre voci gridarono: «Per Malcom!»
Billy sbirciò da uno spiraglio del sipario. «Sono in sei.» Poi si girò verso Zec e disse:  «Ci serve una mano. Chiedigli chi è e perché dovremmo fidarci.»
Zec digitò il messaggio. La risposta arrivò subito e lui la lesse ad alta voce: «“Un’amica. Ed è meglio il demone che conosci.”»
Betty notò l’espressione sul viso dell’amicò mutare, ma non seppe interpretarla. «Significa qualcosa per te?»
«Sì.» Zec fece scrollare la conversazione verso l’alto e tornò sul link.
Il sipario si spalancò e i sei seguaci di Moloch comparvero all’improvviso.
Zec cliccò sulla pagina segnalata e si aprì un pannello di controllo di un sito che gestiva più profili su vari social network. Notò il tasto cancella e ci spinse sopra con forza il polpastrello.
I ragazzi pronti a lanciarsi all’attacco rimasero sospesi a metà, poi come marionette a cui sono tagliati i fili, caddero sul legno del palcoscenico, privi di sensi.
«Questa volta non credevo ce la saremmo cavata» ammise Donovan tirando un sospiro di sollievo.
«Siamo sicuri sia finita?» domandò Michelle.
Zec mostrò ancora lo schermo al gruppo. «Ho cancellato tutti i profili di Moloch.»
«E di conseguenza hai cancellato lui e restituito le anime prese» spiegò Billy.
Si voltò per andarsene, ma Betty lo strinse con tutta la sua forza. «Stavolta non te la caverai così. Non te ne vai se non ci racconti tutto quello che sai e ci spieghi chi sei e cosa fai a scuola.»
Billy la osservò per pochi istanti. «D’accordo. Ma non ora e non qui. Conoscete un posto dove vederci senza dare nell’occhio?»
«Sì, un locale, il Bronze Dust» rispose.
«Va bene» acconsentì lui. «Vediamoci lì domani sera e vi dirò tutto quello che volete sapere su di me.»

 

                                               Continua…?




giovedì 23 luglio 2015

Adolescenza sulla Bocca dell'Inferno - Puntata 4


4. Indossa il Dolore Come un'Arma (2° parte)



La pausa pranzo era il momento preferito della giornata di Michelle.

Reggendo il vassoio in coda per farsi servire un‘abbondante dose di crocchette di patate, la ragazza guardò languidamente il piatto di spaghetti al sugo di pomodoro pronta a gustarsi tra poco.
L’addetta alla mensa le consegnò la seconda pietanza, Michelle posizionò il piatto tra le posate e la lattina di Pepsi stesa e avanzò alla ricerca di un tavolo vuoto nell’ampio salone.
Ne trovò uno libero nella fascia centrale, la evitava sempre perché era più esposta ai commenti e alle occhiate degli altri, ma quella mattina era troppo affamata per mettersi alla ricerca di un altro posto.
Posò il vassoio sulla superficie smaltata e trascinò indietro la sedia un po’ stretta per la sua mole. Si sedette infischiandosene se parte della sua corporatura robusta ricadeva sui lati del fisico, dando l’impressione che la maglietta e i pantaloni stessero per scoppiare.
«Buon appetito» si disse sorridente. Infilò la forchetta nel groviglio di spaghetti, arrotolò e se ne ficcò in bocca una manciata. Non appena le sue papille gustative entrarono in contatto con la pasta ricoperta di salsa al pomodoro, provò un senso di appagamento.
Michelle masticò e inghiottì il boccone e le tornò in mente la parola compensazione. Era così che il medico del gruppo di sostegno per disturbi alimentari aveva spiegato la sensazione provata ogni volta che il cibo le dava sollievo. Ma lei non era d’accordo. Sì, forse qualche volta eccedeva nelle porzioni dei pasti e negli spuntini fuori orario, ma non era una di quelle che si ingozzava e andava a vomitare. Il suo non era un vero problema con il cibo.
Attorcigliò altri spaghetti intorno alle punte della forchetta e mentre se li portava alla bocca, vide le due spine nel suo largo fianco sistemarsi in coda per prendere solo dell’insalata e verdure bollite. Alice e Caroline. Bruna e bionda. Entrambe magre come un manico di scopa e immensamente stronze.
«È per colpa di quelle come loro se non posso mangiare in pace.» Michelle strappò la linguetta alla lattina di Pepsi e trangugiò la bibita fresca e frizzante.
Sua madre l’aveva costretta a iscriversi in ospedale al gruppo di sostegno perché voleva fosse come quelle due stronzette: senza carne e senz’anima. E suo padre non aveva opposto resistenza, ma tanto non lo faceva mai. Preferiva trascorrere le giornate al lavoro o fuori casa piuttosto di stare un po’ con lei e domandarle cosa non andava.
Probabilmente lo psicologo del gruppo non ha tutti i torti” pensò Michelle. “Sostituisco l’affetto con il cibo, ma vorrei vederlo al mio posto, con due genitori che ti guardano schifati solo perché sei un po’ in sovrappeso.” Bevve un altro sorso. Era obbligata a frequentare quegli incontri, ma non a pensarla come loro. Non si sarebbe lasciata rovinare il pranzo da quei pensieri.
Quando staccò le labbra dal metallo, Alice e Caroline erano ferme a guardarsi intorno alla ricerca di un posto a sedere. E sfortunatamente notarono il suo tavolo. Le osservò camminare come modelle a una sfilata, dirette verso di lei.
«Guarda chi c’è… Michelin» le disse Caroline, sporgendosi in avanti con i boccoli biondi che le ricadevano sulle spalle e storpiando apposta il suo nome perché suonasse come quello dell’azienda di pneumatici che aveva per mascotte l’omino grasso.
«Non pensi che questo tavolo sia un po’ troppo grande anche per te» continuò Alice e scoppiò a ridere, buttando indietro la testa, senza scompigliare i capelli neri folti e corti.
Caroline rise a sua volta. «Muoviti, alza il culone e smamma.»
«No» rispose Michelle, posando la lattina e stringendo la forchetta con la mano destra.
Nel salone c’erano altri posti liberi, ma quelle due volevano il suo perché altrimenti avrebbero dovuto sedersi accanto a ragazzi che normalmente non frequentavano. Aveva sempre evitato di litigare per non avere problemi con sua madre, ma non questa volta, non se ne sarebbe andata.
Alice la fissò minacciosa. «Cosa hai detto?»
«Ti ho detto di no, spaventapasseri» replicò Michelle. «Se vuoi questo posto, dovrai tirarmi via a forza.»
Le due rimasero interdette. Era la prima ragazza, o ragazzo, a non eseguire un loro ordine. Continuarono a fissarla con disprezzo e Michelle sostenne lo sguardo con i suoi occhi nocciola. Era ora che le “api regine” si abituassero a venir osteggiate da chi consideravano una dei loro sottoposti.
«Lasciamo perdere» disse Caroline.
«Già, questo tavolo ha già preso il suo cattivo odore» fece Alice.
Le due le girarono intorno e Michelle cercò di reprimere un sorriso. Ci era riuscita, aveva tenuto testa alle sue persecutrici e vinto.
Caroline era quasi alle sue spalle e aggiunse: «Ingozzati con quelle crocchette, Miss Piggy
Prima che Michelle potesse accorgersene, la ragazza fece scivolare il piede davanti alla gamba posteriore destra della sedia, con un cenno del capo indicò all’amica di fare lo stesso con la sinistra e poi diedero un colpo secco, spostandole la sedia da sotto il sedere.
Michelle si ritrovò con la faccia nel piatto di avanzi di spaghetti e per non cadere rovinosamente per terra, si aggrappò al tavolo, scuotendolo con una forza tale che il piatto di crocchette sgusciò fuori dal vassoio e si riversò sul pavimento con un rumore sordo.
Sollevando il volto udì lo scoppio di risate dei pochi ragazzi rimasti nella mensa. Schizzi di sugo le colavano dai capelli corti e ramati, rendendo il suo colore naturale più scuro. Prese un tovagliolo e si pulì e sentendo le risate continuare, lo premette contro il viso per nascondersi.
Cercando di trattenere le urla di rabbia, Michelle constatò di avere avuto torto. Ancora una volta avevano vinto loro due. Si morse il labbro per cacciare il dolore interiore che provava. Facevano tutti a gara per rendere la sua vita un inferno. Caroline. Alice. Sua madre. Suo padre. Ognuno di loro scovava sempre modi nuovi per ferirla e per quanto non volesse darlo a vedere, sentì tutta la pena che le procuravano eruttare come la lava in un vulcano.
Quel dolore che senti, non lasciare che ti logori. Usalo come un’arma.
Michelle scostò il tovagliolo. Non sapeva da dove provenisse quella voce, ma riecheggiò nella sua testa coprendo le risa. Si alzò in piedi, provando sicurezza, forza e un’inspiegabile sensazione di potere avvolgerla.
Udì un lieve ronzio come da calo dell’elettricità e vide il suo volto riflesso nel vetro protettivo dei contenitori con i cibi. I suoi capelli non avevano più traccia di sugo ed erano neri, così come i suoi occhi. Vene strette e scure si propagavano sulle sue guance e sulla fronte. Era il volto della vendetta.
«Ehi, stronze» urlò voltandosi di scatto. Fissò lo sguardo allarmato e confuso di Caroline e Alice, non più così spavalde nel vedersela di fronte. «Volevate il tavolo? È tutto vostro.»
Michelle sollevò entrambe le braccia, il tavolo si staccò da terra e volò contro gli esili corpi delle due ragazze e mentre il suo vassoio con i resti del pranzo si sparpagliava in aria insieme ai loro, le due finirono schiacciate alla parete sotto il peso del mobile. 
Le risate cessarono di colpo. Ci fu qualche urlo e poi i ragazzi presenti corsero fuori dalla mensa.
Michelle camminò verso il tavolo, continuando a spingerlo per imprigionare le due ragazze, tenendo semplicemente il braccio disteso e il palmo aperto. «È il mio turno di farmi quattro risate.»
«Che razza di mostro sei?» domandò Caroline, più con disprezzo che con paura.
«Non farci del male» supplicò Alice, intimorita.
Michelle inclinò lievemente la testa a sinistra. «Vi siete sempre sentite intoccabili per via del vostro aspetto. Siete convinte che un bel corpo snello, senza un chilo di troppo, vi dia il diritto di dire o fare qualunque cosa.»    
«No, noi…» provò a rispondere Caroline.
«Ti prego non farci del male» ripeté Alice.
«Come voi ne avete sempre fatto a me?» Michelle le studiò compiaciuta. Sui loro volti perfetti colavano piccole gocce di sudore. La temevano e ne avevano motivo. «Mi sono sempre chiesta se sotto quei pochi strati di pelle avete un cuore. Ora posso scoprirlo.»
Michelle tirò indietro il braccio e il tavolo lo seguì, sbattendo contro uno vicino e anche se le aveva liberate di quell’ingombro, non lasciò che le due potessero andarsene. Con la stessa mano usata per scagliarlo lontano, le tenne immobili e sospese a una decina di centimetri dal pavimento.  
«Cosa vuoi fare?» domandò Caroline con voce tremante.
Michelle sorrise. «Vi sbuccerò come le banane secche e acerbe che siete. Un pezzo di carne alla volta.»
«No!» gridò Alice terrorizzata. «Ti prego! Ti prego, non farlo!»
«È tardi per pregare.» Michelle piegò semplicemente l’indice e il medio di entrambe le mani e sul collo delle due ragazze comparvero i primi tagli.
«Fermati» le intimò una voce sicura.
Michelle la riconobbe, era la stessa che le aveva dato forza poco prima, guardò verso l’ingresso del salone. Tre ragazzi e una ragazza erano appena entrati e la fissavano. Quello che aveva parlato aveva una maglietta con la scritta rosso sangue The Real Vampires Bite!; quello accanto a lui era simile a lei con occhi e capelli neri e strisce di vene scure sul volto; gli ultimi due sembravano dei tipi ordinari.
«Perché?» domandò Michelle.
«Perché per quanto tu abbia ragione, quello che stai facendo è sbagliato» disse il ragazzo con la maglietta sui vampiri.
«Chi sei?» chiese in tono duro.
«Sono Billy l’ammazzavampiri» rispose. «E se andrai avanti, dovrò intervenire.»
«Forse non è il caso di provocarla» suggerì il ragazzo ordinario.
«Ci penso io» disse quello che le somigliava.
Avanzò tranquillo verso di lei e scrutandolo, Michelle ricordò di averlo già visto per i corridoi a scuola. «Sei Zec, il ragazzo gay.»
«Già e tu invece sei…»
«Michelle.»
«Ciao Michelle, so cosa stai provando e il mio aspetto te lo conferma» disse Zec sorridendo. «Loro sono… bè amici è una parola un po’ grossa, ma mi hanno aiutato quindi chiamiamoli così. Sono Donovan e Betty. Siamo qui per aiutarti.»
«Lasciatemi in pace. Ho un conto in sospeso da sistemare» replicò Michelle.
«Lo so bene. Poco fa stavo per fare qualcosa di simile» continuò Zec. «In questo momento sto lottando con l’impulso di tornare indietro e terminare quello che avevo iniziato. So che vuoi punirle, ma a quale prezzo?»
Michelle lo guardò confusa. «Di che diavolo parli?»
«Dopo esserti vendicata, cosa ti rimarrà?» le domandò. «Io me lo sono chiesto e ho capito che dover convivere con le conseguenze delle mie azioni, non vale la soddisfazione fugace che proverò.»
Lo guardò con rabbia. «Cosa vuoi saperne tu? Cosa credete di saperne tutti voi?»
Tre tavoli si sollevarono da terra e galleggiarono a mezz’aria per pochi istanti prima di partire in direzione dei ragazzi. 
«Zec, bloccali!» urlò Billy.
Il ragazzo alzò le braccia e chiudendo le mani a pugno, fece scendere sul pavimento i tavoli prima che ferissero qualcuno.
Billy si fece avanti. «So tutto del dolore che provi, non è diverso da quello di Zec, io l’ho liberato perché fosse la sua arma per difendersi. Derivava dai soprusi subiti, dal sentirsi oppresso e chiaramente dovevi sentirti così anche tu, altrimenti non avrebbe avuto effetto.»
«Se sei tu il responsabile, perché ora vuoi fermarmi?»
«Percepisco anche la cattiveria e il male» spiegò Billy. «Quelle due ragazze ne hanno da vendere e le hanno usate contro di te, vuoi essere come loro? Sei a un bivio, puoi usare il dolore come un’arma per difenderti, o come il mezzo per portare altro dolore.» 
«Fa differenza?» chiese con disprezzo Michelle. «Se non sfogo il mio dolore su di loro a cosa mi serve poter essere come la versione oscura di Willow?»
«È una questione di potere» rispose Billy. «Credevi lo avessero solo loro, ma hai la prova che sei potente anche tu. Ora viene la parte difficile: devi scegliere come usarlo.»
Michelle tornò a guardare i volti terrorizzati di Caroline e Alice. Vederle inermi le dava un senso di appagamento quasi quanto il cibo. Ma odiava cosa rappresentavano e non voleva essere paragonata a loro, per nessuna ragione. «Ok» disse semplicemente. Schioccò le dita e ordinò alle due: «Andatevene! Fuori dai piedi!»
Libere di muoversi, Alice e Caroline corsero attraverso l’uscita della sala mensa, scansando a malapena gli altri ragazzi.
«Ottima scelta» disse Billy.
«E adesso come torniamo normali?» domandò Michelle, osservando Zec.
«Se sono streghe come Willow, non ci vorrà una strega più esperta per aiutarli?» chiese Betty.
«Non sono streghe» disse Billy. «Non c’è magia in loro.»
Donovan aggrottò la fronte. «E come spieghi quello che hanno fatto.»
«Come ho già detto, hanno sfruttato l’energia scaturita dal loro dolore, dandole una nuova forma,  creando un effetto in stile poltergeist» spiegò Billy. «In parole povere hanno usato la telecinesi.»
«È tutto molto interessante» intervenne Zec. «Ma non hai ancora risposto.»
«Lo hai detto tu prima, quando eravamo in aula multimediale» disse Billy. «Dovete solo scaricare questa energia.»
«Cosa dovremmo fare di preciso?» chiese Michelle.
«Magari far saltare in aria di nuovo i tavoli» propose Donovan.
Betty lo guardò scuotendo la testa. «Oppure rimettendo in ordine, così nessuno si accorgerà di questo casino e farà domande.»
«Sì, la sua idea è migliore» concordò Billy.
Zec si avvicinò a Michelle. «Pronta?»
Lei annuì. Alzò le braccia insieme a lui e concentrandosi sui tavoli sparsi alla rinfusa, li spostarono senza toccarli, posizionandoli uno al fianco dell’altro, come erano prima che dessero sfoggio delle loro capacità e ridando alla sala mensa il suo aspetto abituale.
Donovan e Betty restarono a osservarli ammirati e nel riflesso del vetro del bancone delle pietanze, Michelle notò come lentamente sia lei che Zec ritornarono al loro aspetto normale.
Alcune sedie erano ancora capovolte per terra quando Zec disse: «Credo di essere del tutto scarico a questo punto.»
«Anche io» si rese conto Michelle, non provando più la sensazione di potenza di pochi istanti prima.
«Faremo nella vecchia maniera» disse Betty rimettendo in piedi una sedia poco distante da lei. «Intanto Billy può rispondere a qualche domanda mentre ci aiuta.»
«Non credo» disse Donovan indicando alle sue spalle
Michelle si girò e constatò che Billy era sparito senza se ne accorgessero. 

 

                                                  Continua…?



giovedì 9 luglio 2015

Adolescenza sulla Bocca dell'Inferno - Puntata 3


3. Indossa il Dolore Come un'Arma (1° parte)


Zec diede un morso al sandwich, osservò lo schermo davanti al quale era seduto, fece scivolare l’indice sul bottone centrale del mouse e la pagina internet scorse verso il basso.

Ormai era un’abitudine trascorrere la pausa pranzo in aula multimediale. Ed era anche piacevole dato che non la frequentava nessuno in quell’ora e poteva starsene in pace. In più era un rifugio perfetto dai bulli che lo tormentavano e che non avevano ancora scovato il suo nascondiglio.
Masticando, continuò a leggere con attenzione la rassegna di articoli del quotidiano locale sulle scomparse misteriose e gli omicidi senza spiegazione. Erano iniziati tutti due mesi prima, nello stesso periodo in cui sua sorella Dana era scappata di casa senza lasciare traccia e l’ultimo articolo era della settimana precedente e si riferiva al ritrovamento di un infermiere morto dissanguato. 
La polizia non aveva spiegazioni, anche per quanto riguardava Dana sembrava brancolare nel buio e così Zec si era messo a investigare come poteva: consultando giornalmente i quotidiani per trovare qualche indizio su cosa potesse esserle successo e recandosi quotidianamente all’ospedale per essere certo di avere ogni possibile novità subito.
Zec prese la foto piegata a metà dalla tasca posteriore dei pantaloni e la fissò. Dana sorrideva ed era un evento raro, il suo viso era ben illuminato dal sole e in quello scatto era facile identificarla se qualcuno l’avesse vista. Poi si mise una mano tra i capelli castani mossi e ricacciò il magone giù in gola. Tutti quei misteriosi delitti aumentavano l’angoscia che non avesse più speranze di ritrovare sua sorella, ma cercò di scacciare quel pensiero.
Posò la foto piegata e prese la lattina di Coca Cola alla sua destra, bevve e alzando gli occhi dallo schermo, vide due ragazzi entrare nell’aula. Lei la riconobbe subito: era Betty, sua compagna di laboratorio di chimica. L’altro era un ragazzo di cui aveva sentito parlare, anche se non ricordava per quale motivo, e gli sembrava si chiamasse Don o Vance.
Betty gli fece un cenno di saluto con la mano sinistra e poi trascinò il compagno a una delle ultime postazioni sul fondo della stanza.
Zec non fu particolarmente felice di dover condividere con loro il suo posto speciale, ma era un’aula aperta a tutti e doveva aspettarsi che prima o poi qualcun altro si sarebbe rintanato lì.
«Perché tanta fretta?» sentì dire sotto voce al ragazzo.
«Donovan, ti avevo chiesto di incontrarci ieri» rispose stizzita Betty. «La questione è urgente!»
Anche se non era sua abitudine, Zec non poté fare a meno di restare ad ascoltare.
«Quello che è successo non è un caso. Billy mi ha aiutato una settimana fa e proprio ieri ricompare per salvarti» continuò Betty.
«Mi preoccupa di più la faccenda del demone.»
D’istinto, Zec si girò di scatto a guardare Donovan. I loro occhi si incontrarono e poi incrociò anche quelli di Betty.
La ragazza strattonò il compagno per la manica e lo obbligò ad appiattirsi ancora di più dietro lo schermo rettangolare, nascondendosi alla sua vista.
Zec si voltò di nuovo verso il suo monitor e scosse la testa. Di certo aveva sentito male e comunque non erano affari suoi. Però, tornando a leggere gli articoli, si rese conto che la parola demone calzava a pennello con le sue letture. Nei pochi dettagli trapelati dalle parole dei giornalisti, si parlava di dissanguamenti, inspiegabili ferite e brutali sventramenti. Le vittime erano principalmente ragazzi e ragazze e avevano spesso sul corpo strani segni o simboli rituali.     
Sembrano quasi ispirati a film horror” pensò Zec. “Anzi, a me fanno venire in mente Buffy The Vampire Slayer.”
«Buffy» disse ad alta voce Donovan in quello stesso momento.
«L’ho pensato anche io» rispose Betty.
Zec si girò, ma questa volta si alzò in piedi. «Scusate, cosa avete detto?» Posò il mezzo sandwich vicino alla tastiera e avanzò verso di loro. «Non volevo origliare, ma sto facendo una ricerca e pe…»
Anche Donovan si mise in piedi. «Senti amico, non ti offendere, ma è meglio se non ti impicci.»
«Donovan! Puoi essere anche meno stronzo.» Betty provò a sorridergli. «Quello che voleva dire è che stiamo parlando di problemi personali. Scusa Zec, ma non ci va di condividere la nostra conversazione.»
«Sì, ok, non voglio ficcanasare, ma…» Zec si fermò a riflettere se era il caso di dire ad alta voce quello che pensava e poi si buttò. «Stavo leggendo degli omicidi irrisolti degli ultimi mesi e mi è venuto in mente che hanno somiglianze con la serie Tv Buffy e voi ne stavate parlando, giusto?»
Betty e Donovan si guardarono perplessi e poi lo fissarono con la stessa espressione.
«Cosa hai trovato di preciso?» domandò Betty.
«Venite, vi faccio vedere.» Zec ritornò verso il suo posto, quando due figure apparvero sull’uscio. 
«Ecco dove si nasconde» disse un ragazzo alto e bruno con un ciuffo di capelli spalmati di gel e ritti sulla fronte. Al suo fianco un ragazzo con i capelli corti rasati e gli occhiali sogghignò.
«Stefan e Simon» sussurrò Zec sorpreso. Era finita. I suoi aguzzini lo avevano scovato. «Perché siete qui?»
«Non possiamo?» domandò Stefan aggressivo.
Simon precedette l’amico nella stanza e sistemandosi gli occhiali, si fermò davanti a Zec. «La scuola è grande, ma non così tanto. Era inevitabile trovarti, prima o poi.»
«Che volete da me?»
Stefan entrò a sua volta e si posizionò alle spalle di Zec. «Non lo immagini? Passare del tempo insieme, non hai detto tu che ti piacciono i ragazzi?»
Zec si rese conto che la sua ammissione di essere gay non era stata una grande trovata. Non smaniava dalla voglia di fare outing, ma quando pochi giorni prima i due ragazzi avevano iniziato a  dargli del frocio aveva confermato la sua omossesualità, più per zittirli che per il bisogno di renderlo pubblico. Si era già accettato da tempo e non era un problema. Per lui almeno.
«Ehi aspetta, forse non è vero che è gay. Guarda qua» intervenne Simon. Prese la foto di Dana e la mostrò al compare. «Forse gli piacciono le ragazze, ma il sentimento non è reciproco.»
Zec cercò di strappargliela di mano. «Ridammela.»
Stefan lo afferrò per le spalle. «Cosa credi di fare?» Lo fece giare a forza e lo strattonò per il collo dalla maglietta. «Sei zero. Non vali niente e se a Simon piace la foto se la tiene. Anzi, adesso andiamo a cercare la tua amichetta e ce la facciamo. Fermaci se credi di riuscirci.»
«Idiota» lo apostrofò Zec.
Simon, arrivatogli alle spalle, lo spintonò in avanti. «Che hai detto? Ripetilo frocetto.»
Zec finì contro Stefan e a sua volta lo spinse indietro verso il mittente. Simon rispose respingendolo ancora  e così si ritrovò inerme, come una pallina da ping pong, sballottata tra due racchette.
«Dai ragazzi, fatela finita» disse Donovan.
Simon si girò a guadarlo, come se notasse lui e Betty solo in quel momento. «Fatti i cazzi tuoi.» Distratto, non respinse in tempo Zec, gli finì addosso ed entrambi caddero contro la postazione del computer. «E levati!»
Zec venne spinto contro la sedia, facendola sbattere contro il banco. Il nuovo urto rovesciò la lattina aperta di Coca Cola e il liquido scuro scivolò in un rivolo verso terra, inzuppando la foto di Dana che Simon aveva perso di mano.
«No.» Zec si chinò a raccoglierla e si rese conto che l’immagine già logora per i viaggi in tasca, ora era zuppa e appiccicosa.
Stefan scoppiò a  ridere. «Scommetto che inizia a piangere.»
Simon rise in rimando rimettendosi al fianco dell’amico.
Zec si alzò e si voltò lentamente. «Siete solo degli stronzi e bastardi» li apostrofò. Guardandoli con rabbia e odio.
«Stai esagerando» lo minacciò Stefan, tirando un pugno sul palmo sinistro. «Hai proprio bisogno di una nuova lezione.»
«Già, vediamo se la tua amichetta ti guarderà quando la tua faccia sarà blu dai lividi.»
«Non sapete niente di me. Non capite niente» gridò Zec inferocito.
Tutto il dolore che provava per la scomparsa di Dana gli esplose nelle vene, nel cuore, nell’anima. Nessuno a scuola si preoccupava di lei o di cosa provasse lui. Nessuno aveva cercato di fargli coraggio. Si disinteressavano alla sua situazione, lo ignoravano, salvo farsi avanti per sbeffeggiarlo o sibilare offese. Aveva sopportato sempre in silenzio, ma ora sentiva di essere arrivato al limite, ogni giorno era uno strazio alzarsi dal letto e trovare la forza per andare avanti.
«Ve la farò pagare» gridò Zec. «Per tutto quanto!»
Stefan mosse un passo vero di lui. «Poi non dire che non te la sei cercata.»
«Ma ti senti? Parli come il cliché di un bullo.»
Tutti spostarono lo sguardo sull’entrata. Un ragazzo dai capelli scuri e una maglietta con sopra la scritta rosso sangue The Real Vampires Bite! s’introdusse nell’aula.
«E tu chi cazzo sei?» chiese Simon.
«Billy» disse Betty con espressione sorpresa.
Billy la guardò per un istante, poi spostò la sua attenzione sui tre ragazzi. Girò quindi intorno ai banchi e raggiunse Zec. «Non credere a quello che ti dicono. Sei più forte di loro. Pensano che ferirti li rende superiori, ma si sbagliano. Quel dolore che senti, in parte è colpa della loro indifferenza e della loro cattiveria, non lasciare che ti logori, ma usalo.» Gli posò le mani sulle spalle. «Indossalo come un’arma.»
Zec percepì come una molla invisibile sbloccarsi dentro il suo corpo. Aveva aperto uno scomparto che non credeva esistesse e poteva tirar fuori tutto il dolore per  trasformarlo nella sua forza.
«Hai ragione» disse, mentre l’aria crepitò intorno a lui. «Ora posso pareggiare i conti.»
Betty e Donovan lo guardarono allibiti e anche Simon e Stefan rimasero a bocca aperta.
Gli occhi di Zec si tinsero completamente di nero come la pece, piccole venature scure comparvero sulla pelle, diramandosi nelle guance e nella fronte e i capelli castani divennero scuri fino alle punte.
Anche se non poteva vedersi, Zec percepì quel cambiamento. Sicuro di sé come non lo era mai stato, allungò il braccio destro in avanti e piegando le dita come per graffiare l’aria, spinse i due bulli contro il muro. Non contento allungò anche il braccio sinistro e sollevandoli dal pavimento con violenza, li sbatté contro il soffitto, in modo che i loro volti fossero rivolti verso il basso.
«Facci scendere» urlò Simon.
«Mettici giù» gridò Stefan.
Zec esibì un sorriso compiaciuto. «Mi era parso di capire che volevate divertirvi un po’ con me. E io mi sto divertendo.» Scostò il braccio verso sinistra e i due volarono contro le finestre, infrangendo i vetri e rimanendo sospesi a mezz’aria. «Sapete cosa sarebbe un vero spasso? Un bel volo dal secondo piano.»
Betty si avvicinò a Billy intento a osservare la scena con loro. «Devi fermarlo. Sta esagerando.»
«Dici?» Billy sembrò incerto. «Quei tizi se lo meritano. Ho percepito il loro male.»
«Ma ci andrà di mezzo Zec» disse Donovan.
«Che vuoi dire?» chiese Billy.
«Non lo vedi? Ora sembra posseduto, come… Dark Willow
«Donovan ha ragione. Non so come hai liberato quel potere in Zec, ma se continua così ne verrà consumato. E non è giusto. Lo conosco, non è cattivo.»
Billy parve convinto. Raggiunse Zec e gli mise gentilmente una mano sulla spalla. «Può bastare.»
«Lo decido io» rispose Zec, voltandosi. «Forse qualche osso rotto gli farà passare la voglia di prendersela con me, o con altri, solo perché si considerano predatori e noi le loro deboli prede.»
«Forse. Ma i tuoi amici lì dietro mi hanno fatto notare quanto sarebbe sbagliato e non ti renderebbe diverso da quei due» rispose Billy. «Dimostra che sei migliore.»
Zec  guardò Betty e Donovan. Per una frazione di secondo si rivide riflesso nei loro occhi e scorse un mostro e un prepotente. E non gli piacque. Alzò le braccia e riportò nell’aula Simon e Stefan facendoli fluttuare, infine li atterrò con poca grazia sul pavimento.
Betty si sporse in avanti imitata da Donovan. Entrambi osservarono i due stesi a terra con gli occhi chiusi. Lei disse: «Sono…»
«Svenuti» rispose Zec. Poi si rivolse a Billy. «Non voglio perdere questo potere. Hai intenzione di togliermelo?»
«Non te l’ho dato io» rispose Billy. «È frutto del tuo dolore, ti appartiene e potrai sempre usarlo, ma devi saperti controllare.»
«E se non ci riuscissi?»
«Ti farai del male, ne farai ad altri e io poi dovrò farne ancora a te.» Billy divenne serio. «In modo definitivo.»
Anche se una parte di lui continuava a suggerirgli di metterlo alla prova, Zec non le diede ascolto. «Puoi aiutarmi a… diciamo scaricarmi?»
Billy sorrise. «Bel termine, ma forse è meglio che rimani ancora un po’ così.»
«Perché?» domandò Donovan preoccupato.
«Probabilmente dovrà aiutarci» disse Billy. «In questo stesso momento sta succedendo qualcosa di simile in mensa.»

   

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