Sorge
Oscurità Maggiore 26: L’Ultima Delusione di Ezechiel Giller
Zec era stato distratto per tutta la
durata delle lezioni della giornata.
Oltrepassò il cancello che circondava
l’edificio scolastico e si rese conto di non aver parlato con nessuno dei suoi
compagni di quello che era successo in cortile con Dana e Oscurità Maggiore. Si
sentiva un pessimo amico, soprattutto per Betty dopo la rivelazione di cosa le
era accaduto, eppure anche lui stava male. In un modo diverso da lei, ma c’era
un dolore radicato nel suo animo che si faceva strada con violenza, dandogli la
sensazione di essere pieno di spine pronte a ferirlo a ogni mossa.
E poi c’era un altro sentimento, non
riusciva a decifrarlo…
«Zec! Aspettaci!»
Sentendosi chiamare, si voltò indietro e
scorse Billy e Michelle correre verso di lui.
«Hai visto Donovan in giro?» domandò
Michelle. «Betty ha chiesto di uscire prima perché non si sentiva bene.»
Zec scosse la testa. «Mi dispiace per
lei. Non so nulla di Donovan, probabilmente appena sono finite le lezioni è
scappato via, forse per andare da Betty.»
«Non importa, in realtà volevamo parlare
con te» disse Billy. «Per quello che è successo questa mattina. Facciamo la
strada insieme.»
Zec li scrutò incerto. Sembravano
entrambi in imbarazzo, poteva immaginare il motivo, eppure erano sinceri, ma in
verità non gli andava di affrontare l’argomento. «Preferisco tornare a casa da
solo e non abbiamo niente da dirci.»
«Sì, invece. Cioè la scoperta di quello
che è successo a Betty è enorme, ma anche tu sei scosso» insitette Michelle.
«Se Hart ti ha convocato, c’è una ragione e penso che riguardi Dana, ma lei non
voleva fare del male a nessuno. Era solo arrabbiata con Hart… Oscurità, e voleva vendicarsi.»
Billy si fece avanti e gli prese le mani
nelle sue. «Il punto è che hai cantato una strofa in cui si sentiva il tuo
dolore.»
«Come lo sai? Non eri lì con noi»
ribatté Zec.
Michelle avanzò di un passo. «Glielo ho
raccontato io.»
«In realtà, l’ho percepito prima ancora
di raggiungervi» spiegò Billy. «Hart ha cercato di tenermi impegnato, ma non mi
ha impedito di avvertire i tuoi sentimenti. Dicci cosa ti fa star male.»
Zec rimase a fissarlo negli occhi. Si
sentì sopraffatto dai suoi stessi pensieri, da quello che voleva urlare per
strappare quella sensazione di oppressione. Era troppo e tanto pesante da
affrontare. «No.» Fece scivolare le mani fuori dalla presa del suo
ragazzo. «Non ora, almeno. Io… ho
bisogno di stare un po’ da solo a schiarirmi le idee.»
Si girò di scatto e camminò a passo
spedito lungo la strada per andare a casa, augurandosi che non avessero
intenzione di seguirlo.
Davanti alla porta di casa, la mano di
Zec tremò afferrando la maniglia. Si sentiva male anche all’idea di ritrovarsi
dentro a quel luogo in cui doveva essere sicuro e protetto.
Entrò e accostò piano l’uscio. Quando si
girò, Kathryn l’amica di famiglia che lo aiutava ad assistere sua madre, gli
andò in contro dalla cucina. Il suo volto era corrucciato. Non era un buon
segno.
«Ciao, bentornato» disse con un sorriso
forzato. «Ho ancora qualche minuto prima di andare. Posso prepararti un
sandwich o qualcos’altro?»
«No, grazie.» Zec si tolse lo zaino e la
giacca. «Come sta mamma? È in soggiorno davanti alla televisione? Oppure hai
trovato il modo di farle fare qualcosa di diverso?»
«Leslie è a letto» rispose Kathryn
rammaricata. «Oggi non è una buona giornata. Non sono riuscita a convincerla ad
alzarsi, non ha neppure voluto vestirsi. E anche a pranzo non ha mangiato quasi
nulla.»
Zec avvertì il panico risalire dalla
gambe fino alla pancia. Deglutì e provò a ritrovare la voce che sembrava
rifiutarsi di uscire. «Quindi è peggiorata. Devo chiamare il dottore, oppure…»
«No, stai tranquillo.» Kathryn gli si avvicinò e gli massaggiò la spalla con
la mano destra. «Per la sua forma di esaurimento è una reazione normale. Purtroppo
ci sono giornate come questa. Piuttosto, tu stai bene? Hai una brutta cera.»
Ritornando a respirare in modo regolare,
Zec rispose: «Sì, niente di grave. Però è stata una brutta giornata anche per
me.»
«Oh, mi dispiace. Forse è meglio che non
ti fai vedere da Leslie. Sai, preoccuparsi può farle peggiorare l’umore.»
Zec lo sapeva bene. E anche se gli
pesava il non poter andare ad abbracciare e dare un bacio a sua madre e
confidarsi con lei, annuì.
Katrhyn afferrò la borsa e la giacca appese
al gancio appendiabiti all’ingresso. «Vado, comunque puoi chiamarmi per
qualunque bisogno. E ti ho preparato della pasta al forno per cena. Devi solo
scaldarla nel forno microonde. Magari, prova a far mangiare anche Leslie.»
«D’accordo. E grazie per tutto.»
La donna si abbassò e lo baciò sulla
guancia. «Non dirlo neanche. Ci vediamo domani.»
Zec le aprì la porta, la osservò
allontanarsi dalla sua visuale e richiuse l’uscio.
Solo. Di nuovo.
Sali a passo felpato le scale per il
piano superiore e camminò davanti alla porta accostata della camera di sua
madre. Dall’interno udì i lamenti e il ripetersi di un nome.
«Dana.»
Zec attraversò il corridoio e si rifugiò
dentro la sua stanza. Spingendo la porta con la schiena, sentì formarsi un
groppo in gola. Odiava quella situazione, odiava non poter far nulla e odiava
dover preoccuparsi di tutto come se fosse figlio unico. Una coppia di lacrime
gli solcarono le guance.
«Piangere non risolve nulla.»
Zec alzò il capo al suono di quella voce
atona. Hart Wyngarde stazionava immobile nella camera, dando le spalle alla
finestra, fissandolo con le braccia conserte.
«Non mi servono i tuoi giudizi» ribatté
infastidito. Non gli importava di far arrabbiare Oscurità Maggiore. «Non sono
in vena di stare ai tuoi giochetti. Vattene.»
Hart avanzò, fermandosi nel centro della
stanza. «Non mentire. Avverto quello che ti ribolle dentro. Vuoi sfogarti,
forza! Sono qui per questo.»
Zec compì due passi in avanti. «Vuoi
sapere anche tu come mi sento? Ok: sto male. Sono stanco. Arrabbiato. La mia
vita fa schifo, non riesco più a sopportare quello che sta succedendo. Vedere
mia madre in questo stato e.. e… »
«Coraggio, non trattenerti» lo esortò
Hart. «Sputa fuori la verità.»
«Mia sorella. Potrebbe essere qui,
aiutarmi, magari dare alla mamma quella spinta di cui ha bisogno per stare un
po’ meglio. E invece si preoccupa di tutto tranne che di noi. Dana trova la
forza e il tempo di proteggere Michelle e sfidare te, però non la sfiora il
pensiero di controllare come sto. Di me non le importa nulla.»
«Rancore.» Hart gli sorrise. «È questo
il sentimento che non riuscivi a spiegarti. Non devi vergognartene, è
comprensibile provarlo nel tuo stato.»
«Ma come mi aiuta?» domandò Zec. «Il mio
stato, come lo hai chiamato, non cambia e può solo peggiorare. Qualunque scelta
faccio, le prospettive sono orribili. Tu che trionfi e porti il caos; Billy che
riesce a chiudere la Bocca dell’Inferno, ma sparisce per sempre; Dana che perde
i suoi poteri, a cui tiene tanto, ma può scappare di nuovo, svanire anche lei,
felice con la sua ragazza. A me restano solo delusione e dolore.»
«Ne abbiamo discusso nella tua seduta, sai
che c’è un modo per ribaltare tutto a tuo favore.» Hart procedette verso di
lui. Gli posò la mano destra sulla spalla e gli sfiorò la guancia con l’indice
e il medio della sinistra. «Unisciti a me. Diventiamo i sovrani di questa Bocca
dell’Inferno, guidiamo le alterazioni della realtà secondo il nostro piacere.
Non guarirai tua madre, ma non proverai più queste sensazioni.»
Zec era tentato, più di quanto avesse
mai creduto. «Ti ho già detto che avrei valutato la tua proposta.»
Hart scostò le mani e indietreggiò. «Ho
atteso, ma questa è l’ultima occasione. Non tornerò ancora a fartela. Decidi
adesso.»
Zec lo fissò negli occhi. Non stava
mentendo. Era davvero l’ultima chance che gli dava. E l’idea di perderla lo
spaventava. Solo in quell’istante accettò di non aver mai accantonato sul serio
l’idea di unirsi a lui. Era stanco di lottare, di dover vivere la vita come una
sfida continua che lo metteva a dura prova e perdere sempre tutto.
Una piccola parte di lui però lo
tratteneva: era pronto a cedere all’oscurità?
«Ho capito.» Hart si voltò e procedette
verso la finestra.
Se ne stava andando.
Stava togliendo la sua offerta dal
piatto.
«Aspetta.»
Zec camminò sicuro e lo afferrò per le
spalle, obbligandolo a girarsi verso di lui.
«Ho preso la mia decisione.»
Gli buttò le braccia intorno al collo e
lo baciò con foga sulle labbra.
Continua…?
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