Sorge Oscurità Maggiore 16: Oscura Seduta di Gruppo in Loop
Un ronzio incessante e fastidioso
tormentava l’udito di Billy. Aveva la sensazione che partisse dalla sua testa e
si diffondesse poi nelle orecchie.
Era iniziato appena la voce atona e
gracchiante dell’altoparlante aveva chiamato anche Michelle nell’ufficio del
Consulente Wyngarde, impedendogli di guardarla in volto e comunicarle di stare
in guardia.
Billy si morse il labbro inferiore per
non urlare mentre quel rumore gli rimbombava nel cervello e abbassò il capo, tenendolo
tra le mani e socchiudendo gli occhi. Non era un malessere naturale, sapeva che
non era nemmeno un vero malessere.
Era il suo senso del soprannaturale.
Lo stava avvisando, mettendolo in
allerta perché stava accadendo qualcosa fuori dal comune. E Billy sapeva era
opera di Hart Wyngarde, o meglio Oscurità Maggiore.
Lottò con quella manifestazione delle
sue doti psichiche e sollevò lievemente la testa. Scrutò l’aula e notò la
mancanza di Michelle. Era l’ultima, tutti e quattro i suoi amici erano lontani
da lui, in presenza di Hart, sotto il suo volere e pronti a essere usati come
punizione per la sua scelta di contrastarlo.
Billy fece stridere le gambe della sedia,
strisciandole sul pavimento, scostandola indietro e mettendosi in piedi.
«Professoressa… non mi sento bene.»
Barcollò fuori dal banco, con la mano
destra premuta sulla tempia e camminò incerto verso la cattedra. Strizzò gli
occhi in risposta a un’improvvisa impennata del ronzio che solo lui poteva
percepire.
«Non hai un bell’aspetto» constatò la
professoressa Petrie. «Ti faccio accompagnare da qualcuno.»
«No, grazie» rispose, anche se non era
stata una proposta. «Ce la faccio da solo.»
Billy abbandonò libri, astuccio e zaino
al suo posto, senza attendere una replica della donna e nemmeno guardandosi
indietro, uscì dall’aula, diretto alla sua vera meta: l’ufficio del Consulente.
Percorse il corridoio appoggiandosi con
il palmo sinistro aperto sul muro freddo. Il ronzio sembrò assumere il suono di
una voce, distorta, sdoppiata, gutturale. Pronunciò parole intervallate da un
brusio di sottofondo.
Dolore.
Impara.
Supera.
Billy si fermò un istante. Suppose fosse
una sorta di messaggio in codice. Invece di immagini e visioni su quello che
poteva aspettarsi di dover affrontare, questa volta il suo senso soprannaturale
lo avvisava con un suggerimento vocale.
In ogni caso non prometteva nulla di
buono.
Si rimise in marcia e più procedeva, più
il rumore nella testa e nelle orecchie si abbassava. Quando fu davanti alla
porta dell’ufficio del Consulente, il ronzio era svanito del tutto.
Billy riacquistò fermezza sulle gambe,
staccò la mano dal muro e deciso, spalancò l’uscio della stanza.
«Bene, ti stavo aspettando» lo accolse
Hart Wyngarde, seduto dietro alla scrivania. «A quanto pare il tuo istinto ti
ha fatto arrivare giusto in tempo.»
Billy non sprecò fiato per domandare il
senso di quella frase, gli bastò osservare i quattro ragazzi che gli davano le
spalle: Betty, Donovan, Zec e Michelle erano seduti ognuno su una sedia, in
fila orizzontale di fronte alla scrivania.
«Cosa hai fatto? Perché sono ancora
tutti qui?» domandò Billy, senza celare l’ansia.
Hart si alzò dalla poltrona, aggirò la
scrivania e gli andò di fianco. «Rilassati, abbiamo appena finito le sedute.»
Gli sorrise malizioso e schioccò le dita della mano sinistra.
I quattro ragazzi sobbalzarono sulle
sedie, come se si fossero risvegliati da una trance e si guardarono tra loro,
per poi girarsi verso loro due.
«Prima che poniate domande inutili e
noiose, siete stati qui con me tutto il tempo, tutti insieme, anche se vi è
parso di essere soli e di venire convocati in tempi differenti» spiegò Hart. «Comunque
state tranquilli, le nostre conversazioni si sono svolte in privato, nessuno
degli altri è a conoscenza di cosa ci siamo detti nelle singole chiacchierate.
Anche se non sembra, rispetto il principio di segretezza tra medico e
paziente.»
«Non capisco, perché ci hai tenuti qui?»
domandò Michelle.
«Perché dovete affrontare anche una
seduta di gruppo» le rispose Hart.
Donovan balzò in piedi. «E quelle fatte
fino ad ora? A cosa ti servono le nostre
informazioni?»
Il Consulente sorrise. «Saranno utili a
voi, ma lo scoprirete più avanti.» Mise le mani sulla schiena di Billy e lo
spinse in avanti. «Forza, non perdiamo altro tempo, la seduta di gruppo ha
inizio.»
Ritrovandosi in mezzo ai compagni
confusi, Billy domandò: «Come mai per me hai un trattamento diverso?»
«Tu hai scelto di rifiutare il ruolo che
ti è stato assegnato, così ho deciso di accontentarti: affronta il tuo viaggio
per comprendere le ragioni del sonno di Elliott.» Hart batté due volte le mani.
L’ambiente intorno a loro tremolò come una pozza d’acqua scossa dal vento.
«Però, come ti ho promesso, se fallirai pagheranno tutti le conseguenze.»
«No, farò quello che devo, ma lasciali
uscire.»
«Le condizioni non sono trattabili»
replicò l’uomo. «E adesso ascolta con attenzione perché non te lo ripeterò: tra
pochi secondi rivivrai con i tuoi amici i frammenti dei ricordi che hai appreso
tramite l’uso della Falce; continueranno a ripetizione, l’unico modo per
bloccarli è imparare la lezione che ti vogliono insegnare. Se non coglierai il
senso del perché sono collegati all’oscurità, rimarrete imprigionati in questa
spirale della memoria… bé per sempre.»
La porta davanti a Billy svanì, i muri
si sciolsero come fossero stati dipinti con vernice scadente e Hart Wyngarde
scomparve dal luogo.
Non c’erano più sedie e neanche la
scrivania. Erano all’aperto, nel cimitero mentre pioveva, a guardare Elliott
fermo davanti alla buca di una tomba.
Billy osservò la scena disorientato, non
percepiva odori, o l’umidità della pioggia intorno. Eppure era come se un rovo spinoso gli
stringesse ogni organo del corpo.
«Billy, cosa facciamo?» domandò Zec,
riscuotendolo. «Se fosse un’altra trappola?»
«Perché ci ha bloccati in questi
ricordi?» continuò Betty. «Sono solo tuoi, noi non capiamo nulla. E poi li
abbiamo già visti con te.»
Billy non sapeva cosa rispondere, non
riuscì a concentrarsi. In realtà, avrebbe voluto solo scappare da quel momento
nel passato.
L’ambiente esterno e piovoso, divenne di
colpo l’interno dell’ambulanza.
Questa volta udì un rumore: il rantolo
di un respiro soffocato.
D’istinto si tappò le orecchie con i
palmi e il dolore di spine gli riempì il petto. Quel suono lo devastava. Non
voleva sentirlo, non voleva soffrire.
«Ehi! Datti una mossa» urlò Donovan e
gli staccò a forza le mani dai lati del volto. «Devi tirarci fuori da questo
loop.»
«O forse no» replicò Michelle. «Magari
dobbiamo solo stare fermi e aspettare che finisca.»
L’ambiente mutò di nuovo. L’ambulanza
divenne la stanza da letto di Elliott, con l’uomo steso in preda alla febbre.
«Oppure ognuno di noi deve trovare
l’uscita da solo» replicò Zec. «Può essere che Hart ci stia mettendo alla
prova.»
«No» rispose Billy. «Non so cosa vuole
che trovi, o identifichi, ma di certo sperarci non è una buona idea.»
Zec lo fissò serio. «Eppure, lo hai
proposto tu pochi giorni fa.»
Billy era pronto a replicare, ma la voce
di Elliott del ricordo lo distrasse.
«Questa volta brucerò e basta.»
Quella frase... Billy la ricordava dal
precedente viaggio nella memoria, ma gli parve più significativa. Non
riguardava solo la febbre, nel profondo aveva la certezza si riferisse ad
altro.
Ancora una volta la stanza svanì e
ritornarono al cimitero, al funerale.
Betty era quasi al limite della buca.
«Attenta!» Donovan le si avvicinò e le
afferrò il polso per tirarla via.
«Non mi toccare.» Betty si rese
intangibile e attraversò le sue dita, scostandosi bruscamente. «Non c’è niente
di vero. Non siamo in questo posto. Non posso cadere.»
«Scusa se mi sono preoccupato» replicò
Donovan offeso. «E scusatemi se non ho superpoteri come voi e penso a salvarmi
la pelle. Forse per voi è una cosa inutile.»
Billy scostò gli occhi dalla scena e li
riportò sui quattro compagni. Prima di concretarsi sui ricordi, doveva
occuparsi di loro. Erano strani, diversi dal giorno prima e da quella stessa
mattina in cui li aveva incontrati all’ingresso. Di qualsiasi cosa avessero
parlato con Hart Wyngarde, li aveva turbati.
«Ho sbagliato a cercare di allontanarvi»
disse. «Avevate ragione, in qualunque modo cerchi di mettervi al sicuro, Hart
vi trascinerà in una situazione pericolosa, quindi non vi escluderò. Non so
cosa vi abbia detto nelle vostre sedute, ma per adesso non pensateci. Farò di
tutto per tiraci fuori, ma ho bisogno di voi. Potete fidarvi di me?»
«Non abbiamo molta scelta» commentò
Donovan.
«E sei l’unico con la possibilità di
spezzare il circolo» constatò Betty.
Zec gli si avvicinò. «Va bene, mettiamo
da parte tutto il resto. Siamo con te.»
«Ma come possiamo aiutarti?» domandò
Michelle.
Billy si accorse di aver di nuovo
cambiato scenario. Ancora una volta erano nell’ambulanza. «Per il momento
restatemi accanto. Questo è tra i peggiori dei tre frammenti del passato.»
Gli altri quattro compagni si radunarono
attorno a lui e Zec chiese: «Perché? Ti è tornato in mente qualche particolare?»
«È per come mi fa sentire» rispose
Billy, combattendo l’impulso di coprirsi di nuovo le orecchie. «Mi ferisce nel
profondo, in un modo che so di aver già provato e di non voler mai più
provare.»
«E succede anche con il primo e
l’ultimo?» domandò Michelle.
«Sì… però è diverso. Come se fosse un
crescendo» le rispose. «Anzi con l’ultimo è differente. È come un male di cui
senti il dolore con ritardo.»
Betty incrociò le braccia sul petto.
«Allora è su quello che devi concentrati. In un suo modo perverso, Hart segue
una logica: ti sta dando il tempo necessario per capirne il senso. Sa che puoi
arrivare alla soluzione perché lui la conosce e voi in fondo siete parte della
stessa persona.»
«State pronti» li mise in guardia
Donovan. «Stiamo per cambiare.»
L’ambulanza svanì e ritornarono nella
camera da letto.
Billy seguì l’istinto, nella stanza
c’era la chiave per spezzare il cerchio infinito. Camminò fino al letto e
osservò gli occhi di Elliott: erano arrossati, gonfi, come dopo un pianto.
Fissavano il soffitto, poi ebbero un guizzo e puntarono altrove.
«La libreria» disse Billy,
intercettandoli. Si girò e si fermò all’altezza del quarto scaffale dal basso.
Lo sguardo di Elliott era diretto in un punto preciso. Afferrò la costina di un
volume cartonato e gli mancò il fiato. «La
Saga di Fenice Nera. È il mio… suo… insomma il fumetto preferito, quello in
cui ci siamo sempre immedesimati… ora ha senso!»
«Cosa?» domandò Zec.
Billy si girò e tornò a osservare
Elliott. «La corruzione di Jean/Fenice. Il potere che consuma.»
L’uomo nel letto ripeté: «Questa volta
brucerò e basta.»
E Billy rispose: «La resa.»
L’ambiente intorno a tutti loro si
cancellò.
Tornarono nell’ufficio del Consulente.
Solo loro cinque, in piedi tra le sedie e la scrivania. La porta aperta.
«È finita?» chiese Michelle.
Betty si sistemò gli occhiali sul naso.
«Direi che è così, ma non ho capito come…»
Billy continuò a fissarsi le mani, anche
se il libro a fumetti non c’era più. «Elliott si è sempre identificato con la
Forza Fenice. Sentiva di possedere la capacità di risorgere dalle ceneri come
l’uccello mitologico a cui è ispirata e di poter alterare la realtà come una
sorta di potere mentale a livello cosmico. E infine, come accade in quella sequenza
di storie, venire corrotto da tale potere.»
Donovan lo guardò arricciando il naso.
«E questo ci ha riportati a scuola?»
Billy scosse la testa. «Siamo tornati,
perché mi sono ricordato cosa ha provato in quell’esatto momento. In
quell’istante, sentendo il peso di eventi che non poteva controllare, ha deciso
che si sarebbe arreso, scatenando il sogno della Bocca dell’Inferno.»
Zec gli si mise di fronte. «Quindi
quella frase…»
«Significa che anche lui è colpevole. Ha
smesso di lottare.» Spiegò Billy. «Si è arreso all’oscurità e l’oscurità ha
vinto. È imbattibile.»
Continua…?
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