CAPITOLO 86
Fine primo round
Leonardo si fermò a pochi passi dal
portone del palazzo. «E se non mi riconosce? Cosa farò? Dove andrò? Non posso
passare il resto della vita da Davide.»
Sara sospirò. «Rilassati e pensa positivo.
Magari chi c’è l’ha con te si è già stancato.»
Leonardo arricciò il naso esasperato.
Era chiaro che sua sorella non prendesse sul serio la faccenda perché non si
trovava al suo posto. «Non è così facile. Non lo è mai.»
«Non puoi saperlo. E in ogni caso ci
inventeremo qualcosa.» Sara lo prese per mano.
«Non ti lascerò solo.»
Leonardo si fece coraggio e proseguì
dietro di lei fin dentro al palazzo, davanti alla porta di casa.
«Fai parlare me»gli disse, infilando la
chiave nella serratura e spingendo la porta. «Ehi! C’è nessuno?» domandò prima
di chiudere la porta dietro di loro.
«Sono in cucina» rispose la madre.
Leonardo trattenne un gemito. Scoprì di
provare u nuovo tipo di terrore: quello di non poter più vivere con la tua
famiglia perché per loro non esistevi. Poi, incoraggiato da Sara, proseguì in
corridoio e insieme raggiunsero la donna.
Grazia Martini alzò la testa dalla
rivista che stava sfogliando e li guardò con aria neutrale.
«È tutto a posto?» domandò Sara.
«Sì, perché?» fece Grazia.
Leonardo continuò a fissarla,
aspettandosi da un momento all’altro di venir trattato come un estraneo.
Sara scrollò le spalle. «Niente. Sei
qui, tutta sola, è quasi ora di pranzo…»
«Papà è fuori per delle commissioni, ma
sarà qui a breve e andremo a mangiare al ristornate, come avevamo deciso.»
Sara annuì. Si voltò verso di lui e gli
indicò di seguirla. Si girarono entrambi, diretti verso la camera della
ragazza.
«Aspetta, non hai niente da dirmi?» li
fermò Grazia.
«Cosa dovrei…» iniziò Sara.
«Non tu. Lui.»
Leonardo andò nel panico. Cosa doveva
dire? Come doveva comportarsi? Deglutì a fatica. «Ehm… io…»
«So che hai diciotto anni e vuoi la tua
indipendenza, ma abbiamo stabilito delle regole» disse Grazia. Il suo volto sia
addolcì e Leonardo vide con sollievo che la preoccupazione dei suoi tratti
lasciò spazio alla comprensione. «Se rimani a dormire da un amico, devi
avvertirmi prima. D’accordo, Leonardo?»
Ricordava il suo nome. Si ricordava di
lui in generale. Per la gioia le schioccò un bacio sulla guancia. «Hai ragione.
Scusami, mamma.»
Grazia sorrise a sua volta. «Perdonato.»
Il C.E.N.T.R.O. era immerso nel completo
silenzio, per Marcus non era una novità.
Sgattaiolò fuori dalla sua stanza, si
avvicinò alla terza porta dopo la sua e bussò tre volte. L’uscio si aprì e
Samuele mise fuori la testa.
Marcus annuì e Samuele uscì dalla
camera. Chiuse la porta senza fare rumore e lo seguì lungo il corridoio. Imboccarono
la rampa di scale che portava al piano sottostante.
Marcus fece segno al compagno di
rimanere fermo, si schiacciarono con la schiena contro il muro per pochi
secondi, poi si sporse lievemente in avanti. Osservò con circospezione e
constatò che la strada era libera. Prese Samuele per la manica della felpa e se
lo tirò dietro, camminando a passo spedito fino alla porta al centro del nuovo
corridoio. La spalancò e spinse all’interno il ragazzo più giovane di lui. Per
l’ultima volta controllò all’esterno di non essere stato visto e la chiuse alle
sue spalle.
«Finalmente! Ce ne avete messo di tempo
per arrivare» lo accolse la voce pungente di Jonathan.
Marcus si girò di scatto, colto di
sorpresa. Il ragazzo biondo era seduto comodamente su una delle poltroncine
girevoli, ricoperte di tessuto rosso. Aveva una posizione rilassata e lo
guardava con aria di sfida, ma da tempo Marcus sapeva come non cadere nei suoi
tentativi di provocarlo.
Al suo fianco, su un’altra poltroncina,
Erica era stretta al braccio destro di Jonathan, i lunghi capelli rossi per
metà appoggiati sulla spalla di lui. Marcus la guardò, cercando di nascondere
la sua disapprovazione: quella ragazza non si preoccupava di essere
inopportuna, si strusciava addosso al compagno come una gatta in calore.
«Siamo in perfetto orario» rispose poi
con tono fermo e sicuro. «Tu piuttosto, come mai sei già qui? Credevo ci
volessi impiegare di più.»
«Non ne valeva la pena» disse Jonathan
sorridendo. «Ho colto i due Alpha di sorpresa e mi sono divertito nel vederli
nel panico. Ma poi la cosa si è fatta noiosa.»
Marcus sogghignò, mostrando i denti
bianchi che risaltavano sulla sua pelle scura. «Hanno scoperto la tua illusione.
Non sei durato molto.» Non resistette all’occasione di sottolineare la sua
sconfitta.
«Sicuramente più di voi.»
«A ogni modo, se ci sei riuscito è anche
merito mio. Uno dei miei pipistrelli ti ha fornito l’informazione giusta. E poi
prenditela con Erica» ribatté. «È lei che ha attaccato l’umano.»
«Non sappiamo se è veramente umano. E
comunque l’ho fatto per proteggere Samuele» replicò la ragazza, facendo le
fusa.
«È vero» s’intromise Samuele, sedendosi
a poca di stanza da loro, intorno al lungo tavolo di finto legno. «Temo che mi
abbia riconosciuto.»
«Non preoccuparti» lo tranquillizzò
Jonathan. «Non è colpa tua. Non è colpa di nessuno. E abbiamo avuto la conferma
che cercavamo.»
«Davvero?» domandò Marcus sorpreso, non
seguiva il suo ragionamento, o lui non li aveva messi al corrente dei suoi
reali piani.
Jonathan gli indicò di prendere posto. «Certo.
Ho avuto la prova che gli Alpha non sono più potenti di noi. Anzi a dirla tutta
non sono preparati ad affrontarci.»
Marcus si accomodò su una poltroncina
dalla parte del lato di Erica, in modo da poter vedere Jonathan diritto negli
occhi «E ti è bastato un solo breve tentativo per accertarlo?»
«Sì. Loro agiscono d’istinto, noi siamo
stati addestrati. Potranno essere i nostri progenitori, ma siamo noi quelli con
l’esperienza.»
La porta si aprì dall’esterno. Una donna
con i capelli castani raccolti in una coda di
cavallo e un tailleur scuro comparve sulla soglia. «L’esperienza per che
cosa, di preciso?»
«Professoressa Cluster» esclamò Samuele,
balzando in piedi e imitato all’istante da loro tre.
Marcus si morse il labbro. Non farsi
scoprire da lei era il primo obiettivo e lo avevano fallito in pieno.
«Ti ho fatto una domanda, Jonathan»
disse Clara Cluster con sguardo torvo.
Jonathan riassunse il suo sguardo
accattivante e la sua aria affascinante. «Niente di pericoloso. Eravamo solo
curiosi di vedere con i nostri occhi i famosi Alpha.»
Il volto della donna rimase impassibile.
«E loro hanno visto voi?»
«Sì» rispose Marcus, prima che potesse
farlo uno degli altri. Mentirle era una pazzia e non voleva finire nei guai per
l’orgoglio di Jonathan ed Erica.
Clara Cluster entrò nella sala
conferenze con passo deciso. Si fermò al lato più vicino del tavolo e incrociò
le braccia sul petto. «Vi ho scelti per la squadra speciale personalmente.
Qualsiasi azione compite, giusta o sbagliata, ne sono responsabile. Sono io che
vi ho dato dei privilegi, come poter uscire dal C.E.N.T.R.O. , confidando che
non faceste sciocchezze di questo genere.»
«Ma noi…» tentò di ribattere Jonathan.
«Non ho finito» lo interruppe Clara. «Come
dicevo, avete dei privilegi e come ve li ho dati, posso revocarli.» Si girò poi
verso di lui. «Quanti Alpha vi hanno visto?»
Marcus mantenne l’aria seria. «Due delle
ragazze hanno visto me, Samuele ed Erica.
E forse due dei ragazzi hanno visto Jonathan.»
«Forse?» ripeté Clara, rivolta ora a
Jonathan.
«Sono sicuro al novanta per cento che
non mi abbiano visto. Li ho osservati di nascosto e poi sono scappato quando ho
avuto il dubbio che si fossero accorti di me» rispose prontamente il ragazzo.
Clara rimase in silenzio per un minuto a
scrutarli. «Andate nelle vostre stanze e non uscite fino all’ora di cena. Degli
eventuali danni mi occuperò io.»
Marcus si lasciò sfuggire un sospiro di
sollievo. Le passarono davanti, Jonathan a testa alta; Erica dietro di lui,
senza incrociare lo sguardo; Samuele con la testa chinata in basso; infine lui spingendolo
gentilmente con una mano sulla schiena.
Una volta all’esterno della sala, i suoi
compagni procedettero verso le loro stanze, ma Marcus si attardò, appoggiato al
muro. Voleva essere sicuro di non dover incappare in future punizioni a
sorpresa. Origliando, udì la donna comporre un numero sul cellulare.
«Pronto Kaspar? Sono io. C’è stato un
piccolo imprevisto. No, l’operazione è ancora al sicuro, ma credo che dovrai
giocarti quell’asso prima del previsto. Grazie. Sapevo di poter contare su di
te.»
«Perché vuoi andare lì?» le domandò Yuri
al volante della sua auto.
«Non ci voglio andare, voglio solo passarci vicino» rispose Sabrina sospirando,
seduta nel posto del passeggero. «Abbastanza per dare un’occhiata.»
«Cosa speri di vedere?»
Sabrina era infastidita da quel terzo
grado. «Non lo so… perché fai tante storie?»
Yuri corrugò la fronte. «Il signor Moser
ci ha detto di stare lontani dal C.E.N.T.R.O. e io sono d’accordo con lui.»
«Non entreremo nell’istituto. Ho solo
bisogno di schiarirmi le idee. Di capire.»
«Che cosa?»
«Mi sono venuti dei dubbi. Spiegazioni
che nessuno mi ha dato. Ho parlato con Leonardo del bambino e pens…»
«Perché?» la interruppe. «Avevamo deciso
di non farne più parola.»
«Tu lo hai deciso» ribadì secca lei.
«Credevo fossi d’accordo.»
Sabrina sospirò di nuovo. «Perché non
possiamo affrontare l’argomento senza litigare?»
«Non stiamo litigando» replicò Yuri,
alzando la voce.
«A me sembra di sì: stai urlando!»
Yuri rimase in silenzio, fissando la
strada oltre il vetro del parabrezza. Svoltò al primo incrocio e sbucò in una
via adiacente la strada che portava al C.E.N.T.R.O.
«Ti va bene qui?» le domandò.
Sabrina si scostò i capelli biondo miele
dietro l’orecchio e sbirciò fuori dal finestrino. Da dove si trovavano riusciva
a vedere perfettamente l’edificio che ospitava l’istituto e se avesse voluto,
avrebbe potuto raggiungerlo in una trentina di passi. «Sì. Perfetto.»
«E adesso?»
Lei
non rispose. Non sapeva cosa dire. I ricordi dell’aborto le avevano risvegliato
qualcosa dentro, una volontà inspiegabile di tornare al C.E.N.T.R.O. e cercare
informazioni. Una specie di istinto materno a metà.
«È per questo che non voglio più pensare
a quello che è successo. Per la tua espressione, vedo la tua sofferenza e non
posso fare niente per cambiarla.»
«Non ho mai preteso una cosa del
genere.» Sabrina si girò a guardarlo. «Però ho bisogno che affrontiamo questa…
non so neanche io come definirla, ma ho bisogno che lo facciamo insieme.»
«Non possiamo tornare indietro, non
possiamo cambiare il passato.»
«Ma ignorarlo non è una soluzione»
rispose Sabrina. «Abbiamo bisogno che ci aiutino a capire come evitare che
riaccada, sapere se c’è un modo per poter evitare di concepire demoni.»
«Usare un contraccettivo sarebbe già un
inizio.»
«Non riesci proprio a prendere questa
questione seriamente? O ti arrabbi o devi fare delle battute.»
Yuri le accarezzò il volto. «Scherzavo
perché ti preoccupi troppo. Hai ragione, in futuro potrebbe diventare un
problema, ma non dobbiamo pensarci adesso. Quando vorremo avere figli, ci
informeremo e faremo tutte le ricerche del caso.»
«E se gli unici a poterci aiutare
dovessero essere i responsabili del C.E.N.T.R.O.?»
«Verremo qui a chiedere aiuto.» Yuri le
baciò la guancia. «Fino ad allora però promettimi che cercherai di stare
tranquilla.»
«D’accordo.» Si sporse in avanti e lo baciò
sulle labbra. «Voglio solo poter essere libera di parlarti di tutto.»
«Ed è così.» Yuri girò la chiave nell’accensione
e riavviò il motore. «Ti riporto a casa, o vuoi restare qui ancora un po’?»
«No.» Sabrina lanciò un ultimo sguardo
al C.E.N.T.R.O. «Possiamo andare.»
Yuri ingranò la retromarcia e imboccò la
strada.
Si allontanarono lentamente e nella
mente di Sabrina risuonò una voce. Sgranò gli occhi, mentre con un tono
indefinibile la chiamava.
“Mamma.”
Continua…
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