CAPITOLO 51
Conforto
Ferma davanti al cancello della
scuola, Sara guardò i ragazzi che entravano tranquillamente. Alcuni
chiacchieravano tra loro, altri ridevano, qualcuno aveva delle cuffie nelle
orecchie ed era concentrato solo sulla musica che ascoltava.
Nessuno sapeva
il potenziale pericolo che li aspettava una volta varcata la soglia.
Angelo Moser
aveva supposto che alcuni ex-adepti del professor Barbieri potessero essere
parte del personale scolastico. Ricordando gli eventi dei mesi precedenti, Sara
si domandò se era corretto escludere a priori anche gli stessi ragazzi:
compagni ripetenti rimasti di proposito nella scuola; fratelli minori di membri
della setta, come era già successo; altri, iscritti apposta per seguire lei e i
suoi amici. E ognuno di loro poteva avere un uovo dentro il corpo, pronto a
schiudersi in qualsiasi momento.
Leo ha sempre detto che venire a scuola era
come entrare per otto ore all’inferno pensò Sara. Se fosse qui mi ripeterebbe di aver avuto ragione. I demoni si aggirano
tra quei corridoi insieme a noi.
Rimase qualche
altro minuto a osservare tutti quei ragazzi che in apparenza erano simili a
lei. Li invidiò, ignoravano molti aspetti del mondo, storie che leggevano solo
nei romanzi, nei fumetti o vedevano in tv o al cinema nelle serie tv e nei
film, ma che per lei erano parte della sua vita quotidiana.
La campanella
dell’inizio delle lezioni risuonò per tutto il cortile e Sara prese la sua
decisione. Non sarebbe stata loro preda. Non quel giorno almeno.
Notò di essere
rimasta sola davanti al cancello. Nessun occhio indiscreto. Focalizzò nella
mente il luogo e attivò il suo potere.
Un lampo di luce
fugace illuminò il magazzino del Full
Moon, teletrasportando Sara nel luogo.
Non appena
l’effetto del suo potere svanì, tutto intorno tornò semibuio. La luce filtrava
da una persiana abbassata su una minuscola finestra e le permetteva di vedere i
rifornimenti del locale accatastati in ogni angolo.
Perché continuo a tornare qui? si
chiese. E sapeva che la risposta era sempre la stessa. Quello era il posto in
cui suo fratello era stato vivo per l’ultima volta. Era come se trovarsi lì, le
desse la possibilità di rivederlo.
«Sono davvero
una stupida» disse nel silenzio. Strinse i pugni contro i jeans e si morse con
rabbia il labbro inferiore. Sentì le lacrime inumidirle gli occhi. Non avrebbe
pianto. Era stanca di farlo, la faceva sentire debole.
«Sara…»
Sara si girò di
scatto. Si guardò intorno. La porta era chiusa a chiave. Nessuno poteva essere
entrato. Lo avrebbe sentito.
«Sa…ra…»
Quella voce! Non può essere. Compì un
giro completo su se stessa e quando si fermò, una sagoma sembrò formarsi
davanti ai suoi occhi. I contorni erano confusi, ma non per questo
irriconoscibili. Anche se trasparente ed etereo, era sicura che il ragazzo che
aveva di fronte a lei fosse suo fratello.
«Leonardo… non è
possibile» disse in un sussurro. Allungò la mano sinistra per toccarlo e nello
stesso istante la serratura alle sue spalle scattò.
Si spostò rapida
dietro una pigna di scatoloni e accovacciandosi, udì una voce familiare.
«Ho capito. Due
confezioni: una di acqua tonica e una di aranciata» disse Carla Monti,
spalancando la porta.
La madre di Yuri
entrò nel magazzino e si diresse sicura sul fondo, davanti alle confezioni delle
bibite. Attraversò il locale senza incontrare lo spettro di nessun ragazzo.
Sara pensò che
poteva scomparire in un batter d’occhio, ma avrebbe generato un lampo di luce e
attirato attenzione. Rimase ferma a trattenere il respiro. Ascoltò con
attenzione i rumori. Se avesse sentito i passi avvicinarsi al suo nascondiglio,
si sarebbe teletrasportata e al diavolo le precauzioni.
La donna
armeggiò con un paio di casse, le raccolse da terra e uscì tirandosi la porta
dietro con una mano sola. Girò la chiave e fece scattare di nuovo la serratura.
Sara attese
qualche secondo e poi si alzò lentamente. Sbirciò da dietro gli scatoloni e
ebbe conferma di essere di nuovo sola. La sensazione di rilassatezza durò poco.
Ripensò a cosa aveva visto e si agitò.
Queste allucinazioni stanno peggiorando.
La tristezza lasciò il posto al timore. Ciò che solo lei riusciva a vedere era
ancora più spaventoso. Le tornò alla memoria il giorno dell’attacco del bidello
e di come nella sua mente fosse emerso il ricordo di come fosse la reale forma
di un demone completamente sviluppato. Sapeva con certezza che quel ricordo non
era suo. Era di Sayka.
«Davide ha
ragione. Devo parlarne con qualcuno o finirò con l’impazzire.» Sara chiuse gli
occhi e lasciò che vento e luce la facessero svanire dal magazzino.
Sara ricomparve
nel salotto di un appartamento che le era familiare. La sua mente l’aveva
portata dall’unica altra persona, oltre ai suoi amici, che conoscesse la
maggior parte dei suoi segreti: Patrick Molina con il dono della veggenza, che
era stato di grande aiuto dall’inizio della vicenda con la setta.
Si mosse
lentamente. Non era carino piombare in casa di qualcuno senza annunciarsi, ma
non aveva mai salvato il numero dell’uomo sul cellulare. E comunque aveva
deciso di tenerlo spento per tutta la giornata, in modo da evitare di venire
contattata.
Sara uscì dalla
stanza decisa a cercarlo nel resto dell’abitazione. Magari è fuori pensò.
Non appena
arrivò davanti al corridoio, se lo ritrovò davanti che brandiva un ombrello
come se fosse una mazza da baseball.
«Sara! Sei tu»
disse Patrick, tirando un sospiro di sollievo. «Ho sentito dei passi e… non
dovresti intrufolarti così in casa d’altri! Avrei potuto ferirti.»
«Con quello?»
domandò Sara. Indicò l’ombrello, cercando di trattenere una risata.
Patrick osservò
l’oggetto stretto tra le mani coperte da guanti di pelle nera. «Forse ferirti è
un po’ esagerato, ma potevo comunque farti del male.» Superò la ragazza e andò
a riporre l’arma nel portaombrelli, accanto alla porta d’ingresso. «A quest’ora
non dovresti essere a scuola?»
«Ecco… mi sono
presa un giorno di vacanza.»
Patrick la
guardò severo. «Non lo condivido, ma se sei venuta da me, invece che andare in
giro a bighellonare, vuol dire che è una cosa seria.» Le indicò il divano e
disse: «Avanti sediamoci.»
Lei ubbidì e fu subito
sollevata di averlo scelto come confidente. «Grazie. E mi scusi se sono
piombata qui così.»
Patrick tornò
subito sorridente. «Potresti cominciare a darmi del tu. Coraggio, dimmi qual è
il problema.»
«Fosse solo uno»
rispose Sara con un’aria cupa. «È tutto un gran casino. Da quando Leo...» si
fermò di colpo. Ricordò che anche Patrick era nella lista di chi non poteva più
ricordarlo. Neanche con lui poteva parlare apertamente. Era andata nel posto
sbagliato, ma ormai era troppo tardi per fare marcia indietro.
«Hai problemi
con un ragazzo?» le domandò per colmare il silenzio.
Sara scosse la
testa. Anche se in realtà un ragazzo centrava, ma non come pensava Patrick. «È
per quello che sono. Dopo i guai con la setta e le conseguenze, abbiamo
scoperto di più sui nostri poteri. Il punto è che so di essere stata una
principessa… demoniaca. La figlia di DiKann.»
«Aspetta,
intendi quel DiKann?» chiese Patrick
incredulo.
Sara annuì.
Abbassò lo sguardo, non voleva scoprire di essere osservata come un mostro.
Patrick invece
le mise una mano guantata sulla spalla. «Ora capisco perché non avevi voglia di
andare a scuola. Anzi, mi meraviglio che tu sia riuscita a farlo per tutto
questo tempo.» Poi le massaggiò gentilmente le spalle e aggiunse: «Però non
dire a nessuno che te l’ho detto.»
Sara sorrise.
Era divertente vedere quel ragazzo, non poi tanto più grande di lei, sforzarsi
di fare la parte dell’adulto.
«E cosa ti
ricordi di questo passato?» le chiese.
«Non molto, a
dire il vero. Mi chiamavo Sayka ed ero fidanzata con Yuri, cioè con lo Yuri del
passato. E questa è una delle ragioni per cui sono così… confusa. Come posso
essere sicura di volergli bene per mia scelta e non perché era già stato così?
Come so con certezza che ogni mia azione non è influenzata da ciò che sono
stata?»
«Un dubbio
giusto. Però, hai mai preso in considerazione che tu e Yuri siate in realtà
anime gemelle?» le fece notare Patrick. «Non capisco molto di questa cosa, ma
credo che se due persone sono destinate a stare insieme, continuano a cercarsi.
Probabilmente per voi è stato lo stesso.»
«Sì, ma ho
dimenticato un particolare: lui nel passato mi ha tradita.» E poi pensò E insieme abbiamo anche progettato di
uccidere mio fratello. Ovviamente non voleva riportare la discussione su
quell’argomento, quindi lo tenne per sé.
«E lo ha fatto
anche nel presente?»
«Tradirmi? No…
non credo… ora ci siamo presi una pausa.»
«Ho capito qual
è il tuo errore» disse Patrick. «Tu continui a pensare a te stessa come se
fossi Sayka. Ma lei non c’è più, è qualcuno che sei stata in un’altra vita. Può
darsi che di tanto in tanto i ricordi di lei ti tornino alla mente, ma tu ora
sei un’altra persona. Le scelte che hai fatto, le persone che hai voluto
intorno, sono una tua decisione. E anche i tuoi sentimenti sono solo tuoi.»
«Quindi mi stai
dicendo che devo andare da Yuri e dirgli di tornare insieme?»
«Dico solo che
non devi avere pregiudizi» rispose lui. «Se senti di aver bisogno di prenderti
del tempo, allora fallo, ma non farti condizionare dalla tua vita passata.»
Sara scosse la
testa. «Non è così facile. Quando i ricordi di Sayka emergono, non posso a fare
a meno di sentirmi sporca, sbagliata. Dopotutto lei era un demone.»
Patrick le mise
anche l’altra mano sulla spalla libera e la obbligò a girarsi in modo da guardarlo
in volto. «Dimenticati di Sayka. Tu sei migliore di lei. Fai come me: non
ricordo minimamente chi sono stato prima di risvegliarmi dal coma e mi sono
costruito una nuova vita. Forse ho il vantaggio di non sapere se sono migliore
del Patrick che sono stato fino a quel momento, ma se anche dovessi ricordare
gli sbagli che ho commesso, andrò avanti. Non posso cambiare il passato, ma
posso rendere migliore il presente.»
«Wow» esclamò
Sara. Rivalutò la scelta di essere andata da Patrick. Forse non era a conoscenza
di tutto, ma aera riuscito comunque ad aiutarla. A ridarle un briciolo di
speranza. Inoltre, le piaceva quello che le aveva detto e soprattutto sembrava
anche facile da mettere in pratica. Aveva ragione: doveva riprendere il
controllo della sua vita. «Mi hai convinto.»
Patrick si alzò
in piedi soddisfatto. «Sono contento. Promettimi che cercherai di andare a
scuola, anche se è difficile.»
Sara aveva
omesso gli altri motivi per cui aveva saltato le lezioni, Patrick era riuscito
a farla sentire fiduciosa come non le accadeva da mesi e non voleva rovinare
quel momento.
«D’accordo»
rispose. Stava per ricorrere al suo potere per andarsene, quando sentì il
bisogno di chiedergli: «Potresti abbracciarmi? »
Lui la guardò
insicuro.
«Ti sembrerà
infantile, ma dopo una chiacchierata così, quando mi confidavo con
un’altra persona, be’ lo faceva sempre.»
«Ok..»
«E so che è un
problema, ma puoi farlo senza guanti?»
Sapeva che per
Patrick quella era l’unica protezione alle visioni involontarie, ma a lei
serviva un contatto umano e i guanti, per quanto superficiali, non lo avrebbero
reso tale.
Patrick li sfilò
e li posò sul divano.
Sara gli si
avvicinò e lui le avvolse il corpo gentilmente con entrambe le braccia. La
strinse debolmente, un po’ impacciato. Rimase attaccata a lui per pochi
secondi, Poi, pur avendo fatto lei quella richiesta, si sentì in imbarazzo.
Si staccò e
disse: «Grazie. Ora è meglio che vada.»
Patrick aprì la
bocca, ma prima che uscisse alcun suono, Sara era già svanita in un lampo di
luce.
Patrick rimase
in piedi a fissare la stanza vuota. Non
aveva avuto il tempo di dirlo a Sara, ma dopo
averla sfiorata, aveva avuto una visione.
Si era visto in
casa sua. Era in compagnia di un ragazzo dai capelli scuri. Lo aveva chiamato
Leonardo e insieme stavano progettando un modo per portare il Ritus fuori dal Portale Mistico.
Patrick tornò a
sedersi e si risistemò i guanti sulle mani. Non capiva il senso della sua
visione. Che relazione c’era tra Sara e un misterioso ragazzo, che non
conosceva, né credeva di aver mai incontrato?
«Leonardo»
ripeté, ricordando il nome con cui lo chiamava nella visione. «Come fa a sapere
dell’esistenza del Ritus?»
Patrick si
convinse che se aveva visto quelle immagini, c’era un pericolo in arrivo.
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