Sorge Oscurità Maggiore 1: Questa Volta Arriva Qualcosa di Oscuro
Camminò tranquillo, a quell’ora di notte
l’ospedale Saint Mary non era affollato e in caso contrario, non sarebbe
comunque stato un problema. Nessuno poteva vederlo.
Alto, slanciato e in una figura
totalmente oscura, percorse il corridoio diretto nella stanza della paziente a
cui era andato a fare visita.
Girò il pomello della porta e trovò
Sasha DiVittis nella camera, ancora costretta nel suo sonno solitario.
Accostò l’uscio, si avvicinò al letto e
posò la mano dai contorni incerti sulla fronte della ragazzina.
Il macchinario per i segni vitali
gracchiò, disturbato dalle frequenze emanate dalla sua presenza.
“Ci
siamo già conosciuti, in un certo senso, non serve che mi ripresenti. Se vuoi,
puoi farmi compagnia nel mio progetto, non sarà divertente come un gioco, ma
potrebbe intrattenerti. È quello che possiamo definire un nuovo mondo. Cosa mi
dici?”
La voce non uscì da lui e oltre Sasha,
nessuno era in grado di sentirlo.
Anche lei rispose nello steso linguaggio
privato.
Da mente a mente.
“Capisco,
mi rincresce per l’incidente. A mia discolpa, posso dire che una parte di te mi
ha trovato affascinante, per così dire. Purtroppo le nostre misure non
coincidevano.” L’oscurità che formava il suo volto ebbe
un fremito, nella sua attuale forma ciò di più simile a un sorriso. “A ogni modo, la mia offerta resta sul
piatto. Se cambiassi idea, sai come contattarmi.”
Sollevò il palmo dalla fronte di Sasha e
si girò per andarsene. Arrivato alla porta, le mandò un ultimo avvertimento: “Non hai le forze per avvisare altri del mio
arrivo ed è inutile provarci.”
Per tenersi in esercizio nell’avere una
presenza quasi solida, girò nuovamente il pomello e una volta fuori dalla
stanza, se lo tirò dietro, chiudendo la porta.
Imboccò le scale e scese fino al piano
sottostante. Aveva un altro paziente a cui fare un saluto.
Procedette lungo il corridoio fino alla
porta della sua stanza. Avverti la fatica nel ripetere i movimenti di poco
prima e così passò attraverso al costrutto solido che lo separava dall’interno.
Anche Elliott Summerson era steso in un
letto, nel suo caso il sonno se lo era autoimposto.
Con lui non ebbe bisogno di un primo contatto.
Poteva comunicare tramite la mente con la certezza di venir ascoltato.
“Alla
fine ci sono riuscito, è arrivato il mio turno di godermi un po’ di libertà. Me
lo merito. Mi assicurerò che niente e nessuno interrompa questo bellissimo
sogno. Durerà per sempre.”
Continua…?
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