giovedì 23 luglio 2015

Adolescenza sulla Bocca dell'Inferno - Puntata 4


4. Indossa il Dolore Come un'Arma (2° parte)



La pausa pranzo era il momento preferito della giornata di Michelle.

Reggendo il vassoio in coda per farsi servire un‘abbondante dose di crocchette di patate, la ragazza guardò languidamente il piatto di spaghetti al sugo di pomodoro pronta a gustarsi tra poco.
L’addetta alla mensa le consegnò la seconda pietanza, Michelle posizionò il piatto tra le posate e la lattina di Pepsi stesa e avanzò alla ricerca di un tavolo vuoto nell’ampio salone.
Ne trovò uno libero nella fascia centrale, la evitava sempre perché era più esposta ai commenti e alle occhiate degli altri, ma quella mattina era troppo affamata per mettersi alla ricerca di un altro posto.
Posò il vassoio sulla superficie smaltata e trascinò indietro la sedia un po’ stretta per la sua mole. Si sedette infischiandosene se parte della sua corporatura robusta ricadeva sui lati del fisico, dando l’impressione che la maglietta e i pantaloni stessero per scoppiare.
«Buon appetito» si disse sorridente. Infilò la forchetta nel groviglio di spaghetti, arrotolò e se ne ficcò in bocca una manciata. Non appena le sue papille gustative entrarono in contatto con la pasta ricoperta di salsa al pomodoro, provò un senso di appagamento.
Michelle masticò e inghiottì il boccone e le tornò in mente la parola compensazione. Era così che il medico del gruppo di sostegno per disturbi alimentari aveva spiegato la sensazione provata ogni volta che il cibo le dava sollievo. Ma lei non era d’accordo. Sì, forse qualche volta eccedeva nelle porzioni dei pasti e negli spuntini fuori orario, ma non era una di quelle che si ingozzava e andava a vomitare. Il suo non era un vero problema con il cibo.
Attorcigliò altri spaghetti intorno alle punte della forchetta e mentre se li portava alla bocca, vide le due spine nel suo largo fianco sistemarsi in coda per prendere solo dell’insalata e verdure bollite. Alice e Caroline. Bruna e bionda. Entrambe magre come un manico di scopa e immensamente stronze.
«È per colpa di quelle come loro se non posso mangiare in pace.» Michelle strappò la linguetta alla lattina di Pepsi e trangugiò la bibita fresca e frizzante.
Sua madre l’aveva costretta a iscriversi in ospedale al gruppo di sostegno perché voleva fosse come quelle due stronzette: senza carne e senz’anima. E suo padre non aveva opposto resistenza, ma tanto non lo faceva mai. Preferiva trascorrere le giornate al lavoro o fuori casa piuttosto di stare un po’ con lei e domandarle cosa non andava.
Probabilmente lo psicologo del gruppo non ha tutti i torti” pensò Michelle. “Sostituisco l’affetto con il cibo, ma vorrei vederlo al mio posto, con due genitori che ti guardano schifati solo perché sei un po’ in sovrappeso.” Bevve un altro sorso. Era obbligata a frequentare quegli incontri, ma non a pensarla come loro. Non si sarebbe lasciata rovinare il pranzo da quei pensieri.
Quando staccò le labbra dal metallo, Alice e Caroline erano ferme a guardarsi intorno alla ricerca di un posto a sedere. E sfortunatamente notarono il suo tavolo. Le osservò camminare come modelle a una sfilata, dirette verso di lei.
«Guarda chi c’è… Michelin» le disse Caroline, sporgendosi in avanti con i boccoli biondi che le ricadevano sulle spalle e storpiando apposta il suo nome perché suonasse come quello dell’azienda di pneumatici che aveva per mascotte l’omino grasso.
«Non pensi che questo tavolo sia un po’ troppo grande anche per te» continuò Alice e scoppiò a ridere, buttando indietro la testa, senza scompigliare i capelli neri folti e corti.
Caroline rise a sua volta. «Muoviti, alza il culone e smamma.»
«No» rispose Michelle, posando la lattina e stringendo la forchetta con la mano destra.
Nel salone c’erano altri posti liberi, ma quelle due volevano il suo perché altrimenti avrebbero dovuto sedersi accanto a ragazzi che normalmente non frequentavano. Aveva sempre evitato di litigare per non avere problemi con sua madre, ma non questa volta, non se ne sarebbe andata.
Alice la fissò minacciosa. «Cosa hai detto?»
«Ti ho detto di no, spaventapasseri» replicò Michelle. «Se vuoi questo posto, dovrai tirarmi via a forza.»
Le due rimasero interdette. Era la prima ragazza, o ragazzo, a non eseguire un loro ordine. Continuarono a fissarla con disprezzo e Michelle sostenne lo sguardo con i suoi occhi nocciola. Era ora che le “api regine” si abituassero a venir osteggiate da chi consideravano una dei loro sottoposti.
«Lasciamo perdere» disse Caroline.
«Già, questo tavolo ha già preso il suo cattivo odore» fece Alice.
Le due le girarono intorno e Michelle cercò di reprimere un sorriso. Ci era riuscita, aveva tenuto testa alle sue persecutrici e vinto.
Caroline era quasi alle sue spalle e aggiunse: «Ingozzati con quelle crocchette, Miss Piggy
Prima che Michelle potesse accorgersene, la ragazza fece scivolare il piede davanti alla gamba posteriore destra della sedia, con un cenno del capo indicò all’amica di fare lo stesso con la sinistra e poi diedero un colpo secco, spostandole la sedia da sotto il sedere.
Michelle si ritrovò con la faccia nel piatto di avanzi di spaghetti e per non cadere rovinosamente per terra, si aggrappò al tavolo, scuotendolo con una forza tale che il piatto di crocchette sgusciò fuori dal vassoio e si riversò sul pavimento con un rumore sordo.
Sollevando il volto udì lo scoppio di risate dei pochi ragazzi rimasti nella mensa. Schizzi di sugo le colavano dai capelli corti e ramati, rendendo il suo colore naturale più scuro. Prese un tovagliolo e si pulì e sentendo le risate continuare, lo premette contro il viso per nascondersi.
Cercando di trattenere le urla di rabbia, Michelle constatò di avere avuto torto. Ancora una volta avevano vinto loro due. Si morse il labbro per cacciare il dolore interiore che provava. Facevano tutti a gara per rendere la sua vita un inferno. Caroline. Alice. Sua madre. Suo padre. Ognuno di loro scovava sempre modi nuovi per ferirla e per quanto non volesse darlo a vedere, sentì tutta la pena che le procuravano eruttare come la lava in un vulcano.
Quel dolore che senti, non lasciare che ti logori. Usalo come un’arma.
Michelle scostò il tovagliolo. Non sapeva da dove provenisse quella voce, ma riecheggiò nella sua testa coprendo le risa. Si alzò in piedi, provando sicurezza, forza e un’inspiegabile sensazione di potere avvolgerla.
Udì un lieve ronzio come da calo dell’elettricità e vide il suo volto riflesso nel vetro protettivo dei contenitori con i cibi. I suoi capelli non avevano più traccia di sugo ed erano neri, così come i suoi occhi. Vene strette e scure si propagavano sulle sue guance e sulla fronte. Era il volto della vendetta.
«Ehi, stronze» urlò voltandosi di scatto. Fissò lo sguardo allarmato e confuso di Caroline e Alice, non più così spavalde nel vedersela di fronte. «Volevate il tavolo? È tutto vostro.»
Michelle sollevò entrambe le braccia, il tavolo si staccò da terra e volò contro gli esili corpi delle due ragazze e mentre il suo vassoio con i resti del pranzo si sparpagliava in aria insieme ai loro, le due finirono schiacciate alla parete sotto il peso del mobile. 
Le risate cessarono di colpo. Ci fu qualche urlo e poi i ragazzi presenti corsero fuori dalla mensa.
Michelle camminò verso il tavolo, continuando a spingerlo per imprigionare le due ragazze, tenendo semplicemente il braccio disteso e il palmo aperto. «È il mio turno di farmi quattro risate.»
«Che razza di mostro sei?» domandò Caroline, più con disprezzo che con paura.
«Non farci del male» supplicò Alice, intimorita.
Michelle inclinò lievemente la testa a sinistra. «Vi siete sempre sentite intoccabili per via del vostro aspetto. Siete convinte che un bel corpo snello, senza un chilo di troppo, vi dia il diritto di dire o fare qualunque cosa.»    
«No, noi…» provò a rispondere Caroline.
«Ti prego non farci del male» ripeté Alice.
«Come voi ne avete sempre fatto a me?» Michelle le studiò compiaciuta. Sui loro volti perfetti colavano piccole gocce di sudore. La temevano e ne avevano motivo. «Mi sono sempre chiesta se sotto quei pochi strati di pelle avete un cuore. Ora posso scoprirlo.»
Michelle tirò indietro il braccio e il tavolo lo seguì, sbattendo contro uno vicino e anche se le aveva liberate di quell’ingombro, non lasciò che le due potessero andarsene. Con la stessa mano usata per scagliarlo lontano, le tenne immobili e sospese a una decina di centimetri dal pavimento.  
«Cosa vuoi fare?» domandò Caroline con voce tremante.
Michelle sorrise. «Vi sbuccerò come le banane secche e acerbe che siete. Un pezzo di carne alla volta.»
«No!» gridò Alice terrorizzata. «Ti prego! Ti prego, non farlo!»
«È tardi per pregare.» Michelle piegò semplicemente l’indice e il medio di entrambe le mani e sul collo delle due ragazze comparvero i primi tagli.
«Fermati» le intimò una voce sicura.
Michelle la riconobbe, era la stessa che le aveva dato forza poco prima, guardò verso l’ingresso del salone. Tre ragazzi e una ragazza erano appena entrati e la fissavano. Quello che aveva parlato aveva una maglietta con la scritta rosso sangue The Real Vampires Bite!; quello accanto a lui era simile a lei con occhi e capelli neri e strisce di vene scure sul volto; gli ultimi due sembravano dei tipi ordinari.
«Perché?» domandò Michelle.
«Perché per quanto tu abbia ragione, quello che stai facendo è sbagliato» disse il ragazzo con la maglietta sui vampiri.
«Chi sei?» chiese in tono duro.
«Sono Billy l’ammazzavampiri» rispose. «E se andrai avanti, dovrò intervenire.»
«Forse non è il caso di provocarla» suggerì il ragazzo ordinario.
«Ci penso io» disse quello che le somigliava.
Avanzò tranquillo verso di lei e scrutandolo, Michelle ricordò di averlo già visto per i corridoi a scuola. «Sei Zec, il ragazzo gay.»
«Già e tu invece sei…»
«Michelle.»
«Ciao Michelle, so cosa stai provando e il mio aspetto te lo conferma» disse Zec sorridendo. «Loro sono… bè amici è una parola un po’ grossa, ma mi hanno aiutato quindi chiamiamoli così. Sono Donovan e Betty. Siamo qui per aiutarti.»
«Lasciatemi in pace. Ho un conto in sospeso da sistemare» replicò Michelle.
«Lo so bene. Poco fa stavo per fare qualcosa di simile» continuò Zec. «In questo momento sto lottando con l’impulso di tornare indietro e terminare quello che avevo iniziato. So che vuoi punirle, ma a quale prezzo?»
Michelle lo guardò confusa. «Di che diavolo parli?»
«Dopo esserti vendicata, cosa ti rimarrà?» le domandò. «Io me lo sono chiesto e ho capito che dover convivere con le conseguenze delle mie azioni, non vale la soddisfazione fugace che proverò.»
Lo guardò con rabbia. «Cosa vuoi saperne tu? Cosa credete di saperne tutti voi?»
Tre tavoli si sollevarono da terra e galleggiarono a mezz’aria per pochi istanti prima di partire in direzione dei ragazzi. 
«Zec, bloccali!» urlò Billy.
Il ragazzo alzò le braccia e chiudendo le mani a pugno, fece scendere sul pavimento i tavoli prima che ferissero qualcuno.
Billy si fece avanti. «So tutto del dolore che provi, non è diverso da quello di Zec, io l’ho liberato perché fosse la sua arma per difendersi. Derivava dai soprusi subiti, dal sentirsi oppresso e chiaramente dovevi sentirti così anche tu, altrimenti non avrebbe avuto effetto.»
«Se sei tu il responsabile, perché ora vuoi fermarmi?»
«Percepisco anche la cattiveria e il male» spiegò Billy. «Quelle due ragazze ne hanno da vendere e le hanno usate contro di te, vuoi essere come loro? Sei a un bivio, puoi usare il dolore come un’arma per difenderti, o come il mezzo per portare altro dolore.» 
«Fa differenza?» chiese con disprezzo Michelle. «Se non sfogo il mio dolore su di loro a cosa mi serve poter essere come la versione oscura di Willow?»
«È una questione di potere» rispose Billy. «Credevi lo avessero solo loro, ma hai la prova che sei potente anche tu. Ora viene la parte difficile: devi scegliere come usarlo.»
Michelle tornò a guardare i volti terrorizzati di Caroline e Alice. Vederle inermi le dava un senso di appagamento quasi quanto il cibo. Ma odiava cosa rappresentavano e non voleva essere paragonata a loro, per nessuna ragione. «Ok» disse semplicemente. Schioccò le dita e ordinò alle due: «Andatevene! Fuori dai piedi!»
Libere di muoversi, Alice e Caroline corsero attraverso l’uscita della sala mensa, scansando a malapena gli altri ragazzi.
«Ottima scelta» disse Billy.
«E adesso come torniamo normali?» domandò Michelle, osservando Zec.
«Se sono streghe come Willow, non ci vorrà una strega più esperta per aiutarli?» chiese Betty.
«Non sono streghe» disse Billy. «Non c’è magia in loro.»
Donovan aggrottò la fronte. «E come spieghi quello che hanno fatto.»
«Come ho già detto, hanno sfruttato l’energia scaturita dal loro dolore, dandole una nuova forma,  creando un effetto in stile poltergeist» spiegò Billy. «In parole povere hanno usato la telecinesi.»
«È tutto molto interessante» intervenne Zec. «Ma non hai ancora risposto.»
«Lo hai detto tu prima, quando eravamo in aula multimediale» disse Billy. «Dovete solo scaricare questa energia.»
«Cosa dovremmo fare di preciso?» chiese Michelle.
«Magari far saltare in aria di nuovo i tavoli» propose Donovan.
Betty lo guardò scuotendo la testa. «Oppure rimettendo in ordine, così nessuno si accorgerà di questo casino e farà domande.»
«Sì, la sua idea è migliore» concordò Billy.
Zec si avvicinò a Michelle. «Pronta?»
Lei annuì. Alzò le braccia insieme a lui e concentrandosi sui tavoli sparsi alla rinfusa, li spostarono senza toccarli, posizionandoli uno al fianco dell’altro, come erano prima che dessero sfoggio delle loro capacità e ridando alla sala mensa il suo aspetto abituale.
Donovan e Betty restarono a osservarli ammirati e nel riflesso del vetro del bancone delle pietanze, Michelle notò come lentamente sia lei che Zec ritornarono al loro aspetto normale.
Alcune sedie erano ancora capovolte per terra quando Zec disse: «Credo di essere del tutto scarico a questo punto.»
«Anche io» si rese conto Michelle, non provando più la sensazione di potenza di pochi istanti prima.
«Faremo nella vecchia maniera» disse Betty rimettendo in piedi una sedia poco distante da lei. «Intanto Billy può rispondere a qualche domanda mentre ci aiuta.»
«Non credo» disse Donovan indicando alle sue spalle
Michelle si girò e constatò che Billy era sparito senza se ne accorgessero. 

 

                                                  Continua…?



giovedì 9 luglio 2015

Adolescenza sulla Bocca dell'Inferno - Puntata 3


3. Indossa il Dolore Come un'Arma (1° parte)


Zec diede un morso al sandwich, osservò lo schermo davanti al quale era seduto, fece scivolare l’indice sul bottone centrale del mouse e la pagina internet scorse verso il basso.

Ormai era un’abitudine trascorrere la pausa pranzo in aula multimediale. Ed era anche piacevole dato che non la frequentava nessuno in quell’ora e poteva starsene in pace. In più era un rifugio perfetto dai bulli che lo tormentavano e che non avevano ancora scovato il suo nascondiglio.
Masticando, continuò a leggere con attenzione la rassegna di articoli del quotidiano locale sulle scomparse misteriose e gli omicidi senza spiegazione. Erano iniziati tutti due mesi prima, nello stesso periodo in cui sua sorella Dana era scappata di casa senza lasciare traccia e l’ultimo articolo era della settimana precedente e si riferiva al ritrovamento di un infermiere morto dissanguato. 
La polizia non aveva spiegazioni, anche per quanto riguardava Dana sembrava brancolare nel buio e così Zec si era messo a investigare come poteva: consultando giornalmente i quotidiani per trovare qualche indizio su cosa potesse esserle successo e recandosi quotidianamente all’ospedale per essere certo di avere ogni possibile novità subito.
Zec prese la foto piegata a metà dalla tasca posteriore dei pantaloni e la fissò. Dana sorrideva ed era un evento raro, il suo viso era ben illuminato dal sole e in quello scatto era facile identificarla se qualcuno l’avesse vista. Poi si mise una mano tra i capelli castani mossi e ricacciò il magone giù in gola. Tutti quei misteriosi delitti aumentavano l’angoscia che non avesse più speranze di ritrovare sua sorella, ma cercò di scacciare quel pensiero.
Posò la foto piegata e prese la lattina di Coca Cola alla sua destra, bevve e alzando gli occhi dallo schermo, vide due ragazzi entrare nell’aula. Lei la riconobbe subito: era Betty, sua compagna di laboratorio di chimica. L’altro era un ragazzo di cui aveva sentito parlare, anche se non ricordava per quale motivo, e gli sembrava si chiamasse Don o Vance.
Betty gli fece un cenno di saluto con la mano sinistra e poi trascinò il compagno a una delle ultime postazioni sul fondo della stanza.
Zec non fu particolarmente felice di dover condividere con loro il suo posto speciale, ma era un’aula aperta a tutti e doveva aspettarsi che prima o poi qualcun altro si sarebbe rintanato lì.
«Perché tanta fretta?» sentì dire sotto voce al ragazzo.
«Donovan, ti avevo chiesto di incontrarci ieri» rispose stizzita Betty. «La questione è urgente!»
Anche se non era sua abitudine, Zec non poté fare a meno di restare ad ascoltare.
«Quello che è successo non è un caso. Billy mi ha aiutato una settimana fa e proprio ieri ricompare per salvarti» continuò Betty.
«Mi preoccupa di più la faccenda del demone.»
D’istinto, Zec si girò di scatto a guardare Donovan. I loro occhi si incontrarono e poi incrociò anche quelli di Betty.
La ragazza strattonò il compagno per la manica e lo obbligò ad appiattirsi ancora di più dietro lo schermo rettangolare, nascondendosi alla sua vista.
Zec si voltò di nuovo verso il suo monitor e scosse la testa. Di certo aveva sentito male e comunque non erano affari suoi. Però, tornando a leggere gli articoli, si rese conto che la parola demone calzava a pennello con le sue letture. Nei pochi dettagli trapelati dalle parole dei giornalisti, si parlava di dissanguamenti, inspiegabili ferite e brutali sventramenti. Le vittime erano principalmente ragazzi e ragazze e avevano spesso sul corpo strani segni o simboli rituali.     
Sembrano quasi ispirati a film horror” pensò Zec. “Anzi, a me fanno venire in mente Buffy The Vampire Slayer.”
«Buffy» disse ad alta voce Donovan in quello stesso momento.
«L’ho pensato anche io» rispose Betty.
Zec si girò, ma questa volta si alzò in piedi. «Scusate, cosa avete detto?» Posò il mezzo sandwich vicino alla tastiera e avanzò verso di loro. «Non volevo origliare, ma sto facendo una ricerca e pe…»
Anche Donovan si mise in piedi. «Senti amico, non ti offendere, ma è meglio se non ti impicci.»
«Donovan! Puoi essere anche meno stronzo.» Betty provò a sorridergli. «Quello che voleva dire è che stiamo parlando di problemi personali. Scusa Zec, ma non ci va di condividere la nostra conversazione.»
«Sì, ok, non voglio ficcanasare, ma…» Zec si fermò a riflettere se era il caso di dire ad alta voce quello che pensava e poi si buttò. «Stavo leggendo degli omicidi irrisolti degli ultimi mesi e mi è venuto in mente che hanno somiglianze con la serie Tv Buffy e voi ne stavate parlando, giusto?»
Betty e Donovan si guardarono perplessi e poi lo fissarono con la stessa espressione.
«Cosa hai trovato di preciso?» domandò Betty.
«Venite, vi faccio vedere.» Zec ritornò verso il suo posto, quando due figure apparvero sull’uscio. 
«Ecco dove si nasconde» disse un ragazzo alto e bruno con un ciuffo di capelli spalmati di gel e ritti sulla fronte. Al suo fianco un ragazzo con i capelli corti rasati e gli occhiali sogghignò.
«Stefan e Simon» sussurrò Zec sorpreso. Era finita. I suoi aguzzini lo avevano scovato. «Perché siete qui?»
«Non possiamo?» domandò Stefan aggressivo.
Simon precedette l’amico nella stanza e sistemandosi gli occhiali, si fermò davanti a Zec. «La scuola è grande, ma non così tanto. Era inevitabile trovarti, prima o poi.»
«Che volete da me?»
Stefan entrò a sua volta e si posizionò alle spalle di Zec. «Non lo immagini? Passare del tempo insieme, non hai detto tu che ti piacciono i ragazzi?»
Zec si rese conto che la sua ammissione di essere gay non era stata una grande trovata. Non smaniava dalla voglia di fare outing, ma quando pochi giorni prima i due ragazzi avevano iniziato a  dargli del frocio aveva confermato la sua omossesualità, più per zittirli che per il bisogno di renderlo pubblico. Si era già accettato da tempo e non era un problema. Per lui almeno.
«Ehi aspetta, forse non è vero che è gay. Guarda qua» intervenne Simon. Prese la foto di Dana e la mostrò al compare. «Forse gli piacciono le ragazze, ma il sentimento non è reciproco.»
Zec cercò di strappargliela di mano. «Ridammela.»
Stefan lo afferrò per le spalle. «Cosa credi di fare?» Lo fece giare a forza e lo strattonò per il collo dalla maglietta. «Sei zero. Non vali niente e se a Simon piace la foto se la tiene. Anzi, adesso andiamo a cercare la tua amichetta e ce la facciamo. Fermaci se credi di riuscirci.»
«Idiota» lo apostrofò Zec.
Simon, arrivatogli alle spalle, lo spintonò in avanti. «Che hai detto? Ripetilo frocetto.»
Zec finì contro Stefan e a sua volta lo spinse indietro verso il mittente. Simon rispose respingendolo ancora  e così si ritrovò inerme, come una pallina da ping pong, sballottata tra due racchette.
«Dai ragazzi, fatela finita» disse Donovan.
Simon si girò a guadarlo, come se notasse lui e Betty solo in quel momento. «Fatti i cazzi tuoi.» Distratto, non respinse in tempo Zec, gli finì addosso ed entrambi caddero contro la postazione del computer. «E levati!»
Zec venne spinto contro la sedia, facendola sbattere contro il banco. Il nuovo urto rovesciò la lattina aperta di Coca Cola e il liquido scuro scivolò in un rivolo verso terra, inzuppando la foto di Dana che Simon aveva perso di mano.
«No.» Zec si chinò a raccoglierla e si rese conto che l’immagine già logora per i viaggi in tasca, ora era zuppa e appiccicosa.
Stefan scoppiò a  ridere. «Scommetto che inizia a piangere.»
Simon rise in rimando rimettendosi al fianco dell’amico.
Zec si alzò e si voltò lentamente. «Siete solo degli stronzi e bastardi» li apostrofò. Guardandoli con rabbia e odio.
«Stai esagerando» lo minacciò Stefan, tirando un pugno sul palmo sinistro. «Hai proprio bisogno di una nuova lezione.»
«Già, vediamo se la tua amichetta ti guarderà quando la tua faccia sarà blu dai lividi.»
«Non sapete niente di me. Non capite niente» gridò Zec inferocito.
Tutto il dolore che provava per la scomparsa di Dana gli esplose nelle vene, nel cuore, nell’anima. Nessuno a scuola si preoccupava di lei o di cosa provasse lui. Nessuno aveva cercato di fargli coraggio. Si disinteressavano alla sua situazione, lo ignoravano, salvo farsi avanti per sbeffeggiarlo o sibilare offese. Aveva sopportato sempre in silenzio, ma ora sentiva di essere arrivato al limite, ogni giorno era uno strazio alzarsi dal letto e trovare la forza per andare avanti.
«Ve la farò pagare» gridò Zec. «Per tutto quanto!»
Stefan mosse un passo vero di lui. «Poi non dire che non te la sei cercata.»
«Ma ti senti? Parli come il cliché di un bullo.»
Tutti spostarono lo sguardo sull’entrata. Un ragazzo dai capelli scuri e una maglietta con sopra la scritta rosso sangue The Real Vampires Bite! s’introdusse nell’aula.
«E tu chi cazzo sei?» chiese Simon.
«Billy» disse Betty con espressione sorpresa.
Billy la guardò per un istante, poi spostò la sua attenzione sui tre ragazzi. Girò quindi intorno ai banchi e raggiunse Zec. «Non credere a quello che ti dicono. Sei più forte di loro. Pensano che ferirti li rende superiori, ma si sbagliano. Quel dolore che senti, in parte è colpa della loro indifferenza e della loro cattiveria, non lasciare che ti logori, ma usalo.» Gli posò le mani sulle spalle. «Indossalo come un’arma.»
Zec percepì come una molla invisibile sbloccarsi dentro il suo corpo. Aveva aperto uno scomparto che non credeva esistesse e poteva tirar fuori tutto il dolore per  trasformarlo nella sua forza.
«Hai ragione» disse, mentre l’aria crepitò intorno a lui. «Ora posso pareggiare i conti.»
Betty e Donovan lo guardarono allibiti e anche Simon e Stefan rimasero a bocca aperta.
Gli occhi di Zec si tinsero completamente di nero come la pece, piccole venature scure comparvero sulla pelle, diramandosi nelle guance e nella fronte e i capelli castani divennero scuri fino alle punte.
Anche se non poteva vedersi, Zec percepì quel cambiamento. Sicuro di sé come non lo era mai stato, allungò il braccio destro in avanti e piegando le dita come per graffiare l’aria, spinse i due bulli contro il muro. Non contento allungò anche il braccio sinistro e sollevandoli dal pavimento con violenza, li sbatté contro il soffitto, in modo che i loro volti fossero rivolti verso il basso.
«Facci scendere» urlò Simon.
«Mettici giù» gridò Stefan.
Zec esibì un sorriso compiaciuto. «Mi era parso di capire che volevate divertirvi un po’ con me. E io mi sto divertendo.» Scostò il braccio verso sinistra e i due volarono contro le finestre, infrangendo i vetri e rimanendo sospesi a mezz’aria. «Sapete cosa sarebbe un vero spasso? Un bel volo dal secondo piano.»
Betty si avvicinò a Billy intento a osservare la scena con loro. «Devi fermarlo. Sta esagerando.»
«Dici?» Billy sembrò incerto. «Quei tizi se lo meritano. Ho percepito il loro male.»
«Ma ci andrà di mezzo Zec» disse Donovan.
«Che vuoi dire?» chiese Billy.
«Non lo vedi? Ora sembra posseduto, come… Dark Willow
«Donovan ha ragione. Non so come hai liberato quel potere in Zec, ma se continua così ne verrà consumato. E non è giusto. Lo conosco, non è cattivo.»
Billy parve convinto. Raggiunse Zec e gli mise gentilmente una mano sulla spalla. «Può bastare.»
«Lo decido io» rispose Zec, voltandosi. «Forse qualche osso rotto gli farà passare la voglia di prendersela con me, o con altri, solo perché si considerano predatori e noi le loro deboli prede.»
«Forse. Ma i tuoi amici lì dietro mi hanno fatto notare quanto sarebbe sbagliato e non ti renderebbe diverso da quei due» rispose Billy. «Dimostra che sei migliore.»
Zec  guardò Betty e Donovan. Per una frazione di secondo si rivide riflesso nei loro occhi e scorse un mostro e un prepotente. E non gli piacque. Alzò le braccia e riportò nell’aula Simon e Stefan facendoli fluttuare, infine li atterrò con poca grazia sul pavimento.
Betty si sporse in avanti imitata da Donovan. Entrambi osservarono i due stesi a terra con gli occhi chiusi. Lei disse: «Sono…»
«Svenuti» rispose Zec. Poi si rivolse a Billy. «Non voglio perdere questo potere. Hai intenzione di togliermelo?»
«Non te l’ho dato io» rispose Billy. «È frutto del tuo dolore, ti appartiene e potrai sempre usarlo, ma devi saperti controllare.»
«E se non ci riuscissi?»
«Ti farai del male, ne farai ad altri e io poi dovrò farne ancora a te.» Billy divenne serio. «In modo definitivo.»
Anche se una parte di lui continuava a suggerirgli di metterlo alla prova, Zec non le diede ascolto. «Puoi aiutarmi a… diciamo scaricarmi?»
Billy sorrise. «Bel termine, ma forse è meglio che rimani ancora un po’ così.»
«Perché?» domandò Donovan preoccupato.
«Probabilmente dovrà aiutarci» disse Billy. «In questo stesso momento sta succedendo qualcosa di simile in mensa.»

   

                                               Continua…?