L’ora buca prima dell’uscita era stata
un vero colpo di fortuna. Damian gongolò soddisfatto, poter saltare le lezioni
era sempre un piacere, doppio se non doveva inventarsi anche delle scuse per
farlo.
Si scostò i capelli neri dalla fronte e
attraversò il corridoio. Ai lati, molti ragazzi erano fermi davanti agli
armadietti per prendere i libri della nuova lezione e riporre quelli della
precedente. La sua attenzione fu però attirata da una ragazza con i capelli
scuri a caschetto. Si avvicinava alla fontanella dell’acqua con passo lento e
calmo. Tutti erano agitati di non fare tardi, lei sembrava non preoccuparsene.
Damian si fermò a fissarla. Ricordò che
frequentavano insieme il corso di chimica, il suo nome era Morgana Mayer,
avevano scambiato solo poche parole, ma gli sembrava un tipo interessante e il
suo look dark la rendeva anche sexy. Lei scostò con la mano destra la borsa da
davanti la gonna nera a frange, mentre con la sinistra tenne i capelli scuri
premuti contro il collo e si piegò per bere.
Una ragazza dai capelli biondi, l’odiosa
Susan Collins la riconobbe Damian, comparve all’improvviso e scostò con una
gomitata Morgana.
– Spostati Morticia – disse. Si piegò, tenendosi i capelli di lato e bevve un
paio di sorsi d’acqua.
Morgana la guardò irritata, poi spostò
lo sguardo sullo zampillo e sembrò fissarlo molto intensamente.
Damian si domandò perché diavolo non le
rispondesse a tono: gli aveva dato l’impressione di una tipa tosta.
Lo zampillo aumentò la pressione di
colpo, l’acqua sgorgò con l’impeto di una cascata e si riversò su una
impreparata Susan, inzuppandole la faccia e i vestiti, capi firmati, bagnandola
fino al ginocchio.
– Impara a bere, idiota – l’apostrofò
l’altra. – E il mio nome è Morgana. Sono sicura che te lo ricorderai.
Damian la osservò allontanarsi e sorrise,
mentre anche altri, la guardavano tra il divertito e il sorpreso. Forse sapeva
del guasto alla fontanella, o forse era stato solo un colpo di fortuna, ma
aveva dato una bella lezione a Susan Collins e si sentì stranamente
compiaciuto.
Arrivato davanti alla porta di casa,
Damian era ancora di buon umore, grazie all’episodio della fontanella. Infilò
la chiave nella serratura della porta, ma dall’altra parte gli aprirono prima
che potesse farla scattare. Sua madre si sporse oltre l’uscio, aperto poco più
di una fessura.
– Cosa ci fai già qui? – domandò Donna
Crest con apprensione.
– Avevo un’ora buca, ma… – Damian si
interruppe guardandole il volto. La macchia sotto la guancia che aveva notato quella
mattina prima di uscire per andare a scuola, e a cui lei gli aveva detto di non
dare peso, era diventata un ematoma violaceo. La sua allegria svanì
all’istante. – Quello è un livido. Cosa ti è successo? È stato di nuovo lui!
Donna uscì di casa e si fermò davanti al
figlio, chiudendo la porta dietro di sé. – Shh,
abbassa la voce, per favore. Non è niente. È stato un incidente.
– Sì, certo. Lo hai detto anche tre
giorni fa, per il livido sul braccio.
– Damian, ti prego. Non voglio che
litighiate ancora.
– Allora buttalo fuori di casa – replicò
lui. – Non può trattarci così. E tu non puoi obbligarmi a stare fermo quando
alza le mani. Guarda cosa mi ha fatto, solo perché ti ho difesa. – Tirò fino a metà
braccio le maniche della giacca e del maglione, e le mostrò il suo livido.
– Non è colpa sua… sai, è un brutto periodo
per Frank… il lavoro non va….
Damian si risistemò le maniche. – Per
Frank Bane è un brutto periodo da quando è entrato nelle nostre vite. E
peggiora non appena si attacca alla bottiglia. Ci tratta come se fossimo suoi
servi, mangia e dorme e ci insulta per tutto quello che decide che facciamo
male. La settimana scorsa era la birra finita in frigo, tre giorni fa perché la
sua camicia non era ancora stata lavata, scommetto che ieri sera c’era qualcosa
che non andava con la tv, o il modo in cui hai rifatto il letto, o…
– Basta! Smettila! – ordinò Donna,
tenendo bassa la voce. – Frank non è un santo, ma non intendo cacciarlo.
Quindi, ti prego, cerca di essere paziente. Oppure vai a fare un giro e ci
vediamo più tardi.
Damian non capiva perché sua madre si ostinasse
a voler avere quel bestione violento intorno e aveva rinunciato all’idea di metterle
in testa che meritava di meglio. Ma le voleva bene e anche se non sembrava
preoccuparsi troppo per la sua incolumità, lui non riusciva a fregarsene. – No,
resto a casa. Se lui non esagera, non lo farò neanche io. Te lo prometto. –
Cercò di apparire sincero mentre lo diceva, ma sapeva che a un paio d’ore da
quel momento, Frank avrebbe cominciato la sua razione quotidiana di birra,
whisky e alcolici vari e i problemi non sarebbero mancati.
Donna lo squadrò indecisa. Poi aprì la
porta di casa, lo fece entrare e lo seguì all’interno.
– Salutalo – gli sussurrò la madre,
mentre passavano davanti alla sala da pranzo.
Damian sbirciò dalla porta spalancata.
Frank era stravaccato sulla poltrona, davanti al televisore accesso a tutto
volume. Era un omone grosso, non sovrappeso, ma di certo con qualche chilo di
troppo, come mostravano i rotoli di carne che emergevano da sotto la camicia di
flanella a quadri e fuori dal bordo dei jeans slavati. Il collo taurino metteva
in risalto la testa rotonda, resa ancora più simile a una palla dai capelli
castani tagliati cortissimi. Ai piedi portava gli scarponi sporchi di fango
rappreso, accavallati sul tavolino delle riviste.
Di malavoglia, Damian disse: – Ciao,
Frank.
L’uomo agitò la mano destra in risposta,
senza girare il volto o aprire bocca.
Donna lo spinse sollevata in cucina,
convinta che non ci fosse più la possibilità che qualcosa andasse storto.
Finito il pranzo, Damian salì al primo
piano e si chiuse in camera. Si buttò sul letto. Il suo umore continuava
peggiorare: in pratica aveva sprecato un’uscita anticipata da scuola a
discutere con sua madre dell’ennesimo, inutile fidanzato, che dopo averli
sfruttati e in questo caso anche picchiati, se ne sarebbe andato alla prima
occasione buona. Come tutti quelli che lo avevano preceduto.
Dopo mezz’ora, per non pensare a Frank,
arrivò a prendere in considerazione di buttare giù qualche idea per la tesina
di storia, che avrebbe dovuto presentare due giorni più avanti. Si alzò, andò
alla scrivania, aprì il libro accese il portatile e impostò la pagina bianca,
ma al momento di sedersi e concentrarsi, la voce del giornalista sportivo, che
proveniva dal televisore al piano di sotto, gli rimbombò nelle orecchie.
Ripensò alle parole di sua madre e
represse l’istinto di urlare contro Frank. Si sedette alla scrivania, prese il
testo di storia in mano, ma non servì a granché. Il frastuono del televisore lo
distraeva, rileggeva tre volte di fila la stessa frase, senza riuscire a
concentrarsi sul significato. Era impossibile continuare in quel modo.
Damian si alzò e aprì la porta della
stanza. Le urla del cronista e del pubblico della partita di football
risuonarono ancora più forti e nitide. Scese le scale e arrivò all’ingresso
della sala da pranzo. Frank era nella stessa posizione in cui lo aveva
lasciato, con l’aggiunta di una bottiglia di birra mezza vuota stretta nella
mano destra.
Sua madre era di spalle in cucina e non
si era accorta di lui. Fece un respiro per tenere a freno la rabbia e andò
accanto alla poltrona.
– Ehi Frank, potresti abbassare un po’
il volume? – chiese nel modo più gentile che gli riuscì. – Sai, ho dei compiti
per al scuola e non riesco a concentrarmi.
Frank si voltò, lo guardò con volto
inespressivo e rispose: – No. – Poi tornò a
fissare lo schermo del televisore.
Damian mandò al diavolo le sue buone
intenzioni. – Perché? Non ti ho chiesto chissà cosa. Oltretutto, questa non è
neanche casa tua.
Frank scattò in piedi con una velocità
tale, che il residuo di bitta rischiò di schizzare fuori dal fondo della
bottiglia. – Non ti permetto di parlarmi così, stronzetto. Sono un adulto, devi
portarmi rispetto.
– Anche tu devi rispettarci.
Frank avanzò verso di lui, obbligandolo
a indietreggiare di un paio di passi. – Non ti devo niente, mezza checca – gli
urlò contro, brandendo la bottiglia per il collo. – La gente parla, sai? E
dicono tante cose su di te. Cose che mi fanno pensare che hai bisogno di
qualcuno che ti dia una bella lezione di vita, ti rimetta in riga!
Damian non fece caso all’offesa, o al
fatto che Frank prestasse attenzione a quello che qualcun altro dicesse. Era
solo pronto a reagire, a difendersi.
Donna comparve dalla cucina,
intromettendosi tra di loro. – Cosa succede?
– Il tuo bastardello mi manca di
rispetto – rispose furioso Frank.
La puzza di alcool del suo alito
raggiunse sia Damian che sua madre.
– Ho bisogno di silenzio per studiare –
ribatté Damian.
– Sono sicura che c’è stato un malinteso
– disse Donna. – Ora sistemiamo tutto…
– Non sai educare tuo figlio, questo è
il problema – Frank lanciò la bottiglia contro il tavolino delle riviste e
questa si ruppe a metà, riversando la birra sul tappeto. – Hai visto?! Guarda
cosa mi hai fatto fare!
– Non è niente – cercò di calmarlo
Donna, rimanendo sempre tra di loro. – Adesso prendo un…
– Sei inutile! – Sbraitò Frank e le
rifilò uno schiaffo sulla guancia, che la fece sbandare.
Damian non resistette più. Sorpassò sua
madre e mettendosi davanti a lei per proteggerla, gridò: – Non la toccare! Sei
solo un maiale, un bastardo, non ti avvicinare a mia mamma!
Frank lo colse alla sprovvista. Gli tirò
un ceffone talmente forte che gli sembrò che la faccia compisse un giro su se
stessa, e lo fece sbattere contro lo stipite della porta.
– Adesso ci penso io a educarti –
replicò Frank.
Donna ancora scossa, riuscì però a rimettersi
di nuovo di fronte all’uomo. – Frank, ti prego! È solo un ragazzo. – Si girò
verso di lui e gli ordinò: – Chiedigli scusa.
Damian credé di non aver sentito bene, ancora
stordito per lo schiaffo. – Cosa?
–
Chiedimi scusa – ripeté Frank con un sorrisetto. Sembrava aver cambiato idea, pareva
più interessato a mortificarlo che a picchiarlo.
Damian guardò sua madre. Lei ricambiò lo
sguardo supplichevole, speranzosa che accontentarlo bastasse a calmare l’ira
violenta dell’uomo. Non era d’accordo, ma non voleva che le facesse ancora del
male. Per quanto gli costasse, si morse il labbro inferiore e con un filo di
voce disse: – Scusami, Frank.
Frank abbassò le braccia rilassato. –
Non è comunque sufficiente. Questa sera salterai la cena. – Tornò a sedersi in
poltrona e disse: – Donna, portami un’altra birra. Subito!
Donna non si oppose alla sua decisione e
corse in cucina per ubbidire.
Damian non si meravigliò. Con la faccia
in fiamme, la spalla dolorante e l’orgoglio sotto le scarpe, si trascinò verso
le scale e salì i gradini per tornare nella sua camera. Non dover condividere
un pasto con quella bestia travestito da uomo, era un premio, non una
punizione.
Damian era baravo a capire quando
qualcosa stava per prendere una brutta piega. In quel momento, per esempio,
sapeva che trovarsi nell’ufficio del preside, convocato d’urgenza dopo la
lezione di educazione fisica, non era dovuto a una casualità.
Chiaramente il livido sul braccio, il
nuovo sulla spalla e quello in faccia, non erano passati inosservati nello
spogliatoio ai suoi compagni e nemmeno all’insegnante in palestra e al resto
della classe. Così, seduto con lo zaino tra le gambe, era preparato alla domanda
che stava per essergli posta dal preside appoggiato alla scrivania davanti a
lui.
– Damian, c’è qualcosa di cui vuoi
parlarmi? – chiese Michael Handerson.
Lui rimase muto. Non tanto per
proteggere Frank, quell’uomo meritava ogni genere di punizione potessero
infliggergli, sia legalmente che non, piuttosto non voleva dare problemi a sua
madre. Che poi sarebbero inevitabilmente diventati problemi per loro due con
Frank.
– Se qualcosa non va in casa, o qualcuno
non ti fa sentire a tuo agio, puoi dirmelo –
insistette Michael. – Non sono uno stupido e neanche tu. Chiunque ti ha
procurato quei lividi, deve essere fermato.
– Su questo siamo d’accordo – commentò
il ragazzo.
– Allora, premettimi di aiutarti.
Qualunque confidenza, rimarrà in questo ufficio.
– Non è vero – rispose Damian. – Se
davvero vuole aiutarmi, quello che dirò andrà ben oltre il suo ufficio. O la
scuola. Faccio una previsione? Servizi sociali? Polizia? Mi fermi se sbaglio.
Michael sospirò. – No, è tutto corretto.
Come adulto ed educatore, non posso ignorare quello che ti succede. E purtroppo
la strada che ipotizzi, è l’unica da poter seguire.
– Non lo faccia. Me al caverò da solo.
– Sei sicuro?
Damian aggrottò la fronte. Il preside
era calmo, ma sembrava volesse insinuare altro.
– So che sei in gamba, ma reprimere
rabbia, odio e sentimenti come questi, può avere conseguenze negative – gli
disse. – Molto più grandi di quanto immagini.
– Non gli permetterò di superare il
limite. So gestire il… problema.
Michael scosse la testa. – Non è solo
questo che mi preoccupa. Mi domando se tu saprai controllarti, tu riuscirai a non superare il limite?
– Certo che sì – rispose, quasi offeso.
Ma per chi lo aveva preso?
– Ti darò fiducia. Non interverrò, per
ora. Ma se dovesse succedere un altro incidente, sappi che non potrò più farmi
da parte.
Damian lo guardò confuso. Non era sicuro
di capire a cosa si riferisse, ma annuì.
Michael gli lanciò un’ultima occhiata e
aggiunse: – Torna pure alle tue lezioni.
Continua...