giovedì 9 luglio 2015

Adolescenza sulla Bocca dell'Inferno - Puntata 3


3. Indossa il Dolore Come un'Arma (1° parte)


Zec diede un morso al sandwich, osservò lo schermo davanti al quale era seduto, fece scivolare l’indice sul bottone centrale del mouse e la pagina internet scorse verso il basso.

Ormai era un’abitudine trascorrere la pausa pranzo in aula multimediale. Ed era anche piacevole dato che non la frequentava nessuno in quell’ora e poteva starsene in pace. In più era un rifugio perfetto dai bulli che lo tormentavano e che non avevano ancora scovato il suo nascondiglio.
Masticando, continuò a leggere con attenzione la rassegna di articoli del quotidiano locale sulle scomparse misteriose e gli omicidi senza spiegazione. Erano iniziati tutti due mesi prima, nello stesso periodo in cui sua sorella Dana era scappata di casa senza lasciare traccia e l’ultimo articolo era della settimana precedente e si riferiva al ritrovamento di un infermiere morto dissanguato. 
La polizia non aveva spiegazioni, anche per quanto riguardava Dana sembrava brancolare nel buio e così Zec si era messo a investigare come poteva: consultando giornalmente i quotidiani per trovare qualche indizio su cosa potesse esserle successo e recandosi quotidianamente all’ospedale per essere certo di avere ogni possibile novità subito.
Zec prese la foto piegata a metà dalla tasca posteriore dei pantaloni e la fissò. Dana sorrideva ed era un evento raro, il suo viso era ben illuminato dal sole e in quello scatto era facile identificarla se qualcuno l’avesse vista. Poi si mise una mano tra i capelli castani mossi e ricacciò il magone giù in gola. Tutti quei misteriosi delitti aumentavano l’angoscia che non avesse più speranze di ritrovare sua sorella, ma cercò di scacciare quel pensiero.
Posò la foto piegata e prese la lattina di Coca Cola alla sua destra, bevve e alzando gli occhi dallo schermo, vide due ragazzi entrare nell’aula. Lei la riconobbe subito: era Betty, sua compagna di laboratorio di chimica. L’altro era un ragazzo di cui aveva sentito parlare, anche se non ricordava per quale motivo, e gli sembrava si chiamasse Don o Vance.
Betty gli fece un cenno di saluto con la mano sinistra e poi trascinò il compagno a una delle ultime postazioni sul fondo della stanza.
Zec non fu particolarmente felice di dover condividere con loro il suo posto speciale, ma era un’aula aperta a tutti e doveva aspettarsi che prima o poi qualcun altro si sarebbe rintanato lì.
«Perché tanta fretta?» sentì dire sotto voce al ragazzo.
«Donovan, ti avevo chiesto di incontrarci ieri» rispose stizzita Betty. «La questione è urgente!»
Anche se non era sua abitudine, Zec non poté fare a meno di restare ad ascoltare.
«Quello che è successo non è un caso. Billy mi ha aiutato una settimana fa e proprio ieri ricompare per salvarti» continuò Betty.
«Mi preoccupa di più la faccenda del demone.»
D’istinto, Zec si girò di scatto a guardare Donovan. I loro occhi si incontrarono e poi incrociò anche quelli di Betty.
La ragazza strattonò il compagno per la manica e lo obbligò ad appiattirsi ancora di più dietro lo schermo rettangolare, nascondendosi alla sua vista.
Zec si voltò di nuovo verso il suo monitor e scosse la testa. Di certo aveva sentito male e comunque non erano affari suoi. Però, tornando a leggere gli articoli, si rese conto che la parola demone calzava a pennello con le sue letture. Nei pochi dettagli trapelati dalle parole dei giornalisti, si parlava di dissanguamenti, inspiegabili ferite e brutali sventramenti. Le vittime erano principalmente ragazzi e ragazze e avevano spesso sul corpo strani segni o simboli rituali.     
Sembrano quasi ispirati a film horror” pensò Zec. “Anzi, a me fanno venire in mente Buffy The Vampire Slayer.”
«Buffy» disse ad alta voce Donovan in quello stesso momento.
«L’ho pensato anche io» rispose Betty.
Zec si girò, ma questa volta si alzò in piedi. «Scusate, cosa avete detto?» Posò il mezzo sandwich vicino alla tastiera e avanzò verso di loro. «Non volevo origliare, ma sto facendo una ricerca e pe…»
Anche Donovan si mise in piedi. «Senti amico, non ti offendere, ma è meglio se non ti impicci.»
«Donovan! Puoi essere anche meno stronzo.» Betty provò a sorridergli. «Quello che voleva dire è che stiamo parlando di problemi personali. Scusa Zec, ma non ci va di condividere la nostra conversazione.»
«Sì, ok, non voglio ficcanasare, ma…» Zec si fermò a riflettere se era il caso di dire ad alta voce quello che pensava e poi si buttò. «Stavo leggendo degli omicidi irrisolti degli ultimi mesi e mi è venuto in mente che hanno somiglianze con la serie Tv Buffy e voi ne stavate parlando, giusto?»
Betty e Donovan si guardarono perplessi e poi lo fissarono con la stessa espressione.
«Cosa hai trovato di preciso?» domandò Betty.
«Venite, vi faccio vedere.» Zec ritornò verso il suo posto, quando due figure apparvero sull’uscio. 
«Ecco dove si nasconde» disse un ragazzo alto e bruno con un ciuffo di capelli spalmati di gel e ritti sulla fronte. Al suo fianco un ragazzo con i capelli corti rasati e gli occhiali sogghignò.
«Stefan e Simon» sussurrò Zec sorpreso. Era finita. I suoi aguzzini lo avevano scovato. «Perché siete qui?»
«Non possiamo?» domandò Stefan aggressivo.
Simon precedette l’amico nella stanza e sistemandosi gli occhiali, si fermò davanti a Zec. «La scuola è grande, ma non così tanto. Era inevitabile trovarti, prima o poi.»
«Che volete da me?»
Stefan entrò a sua volta e si posizionò alle spalle di Zec. «Non lo immagini? Passare del tempo insieme, non hai detto tu che ti piacciono i ragazzi?»
Zec si rese conto che la sua ammissione di essere gay non era stata una grande trovata. Non smaniava dalla voglia di fare outing, ma quando pochi giorni prima i due ragazzi avevano iniziato a  dargli del frocio aveva confermato la sua omossesualità, più per zittirli che per il bisogno di renderlo pubblico. Si era già accettato da tempo e non era un problema. Per lui almeno.
«Ehi aspetta, forse non è vero che è gay. Guarda qua» intervenne Simon. Prese la foto di Dana e la mostrò al compare. «Forse gli piacciono le ragazze, ma il sentimento non è reciproco.»
Zec cercò di strappargliela di mano. «Ridammela.»
Stefan lo afferrò per le spalle. «Cosa credi di fare?» Lo fece giare a forza e lo strattonò per il collo dalla maglietta. «Sei zero. Non vali niente e se a Simon piace la foto se la tiene. Anzi, adesso andiamo a cercare la tua amichetta e ce la facciamo. Fermaci se credi di riuscirci.»
«Idiota» lo apostrofò Zec.
Simon, arrivatogli alle spalle, lo spintonò in avanti. «Che hai detto? Ripetilo frocetto.»
Zec finì contro Stefan e a sua volta lo spinse indietro verso il mittente. Simon rispose respingendolo ancora  e così si ritrovò inerme, come una pallina da ping pong, sballottata tra due racchette.
«Dai ragazzi, fatela finita» disse Donovan.
Simon si girò a guadarlo, come se notasse lui e Betty solo in quel momento. «Fatti i cazzi tuoi.» Distratto, non respinse in tempo Zec, gli finì addosso ed entrambi caddero contro la postazione del computer. «E levati!»
Zec venne spinto contro la sedia, facendola sbattere contro il banco. Il nuovo urto rovesciò la lattina aperta di Coca Cola e il liquido scuro scivolò in un rivolo verso terra, inzuppando la foto di Dana che Simon aveva perso di mano.
«No.» Zec si chinò a raccoglierla e si rese conto che l’immagine già logora per i viaggi in tasca, ora era zuppa e appiccicosa.
Stefan scoppiò a  ridere. «Scommetto che inizia a piangere.»
Simon rise in rimando rimettendosi al fianco dell’amico.
Zec si alzò e si voltò lentamente. «Siete solo degli stronzi e bastardi» li apostrofò. Guardandoli con rabbia e odio.
«Stai esagerando» lo minacciò Stefan, tirando un pugno sul palmo sinistro. «Hai proprio bisogno di una nuova lezione.»
«Già, vediamo se la tua amichetta ti guarderà quando la tua faccia sarà blu dai lividi.»
«Non sapete niente di me. Non capite niente» gridò Zec inferocito.
Tutto il dolore che provava per la scomparsa di Dana gli esplose nelle vene, nel cuore, nell’anima. Nessuno a scuola si preoccupava di lei o di cosa provasse lui. Nessuno aveva cercato di fargli coraggio. Si disinteressavano alla sua situazione, lo ignoravano, salvo farsi avanti per sbeffeggiarlo o sibilare offese. Aveva sopportato sempre in silenzio, ma ora sentiva di essere arrivato al limite, ogni giorno era uno strazio alzarsi dal letto e trovare la forza per andare avanti.
«Ve la farò pagare» gridò Zec. «Per tutto quanto!»
Stefan mosse un passo vero di lui. «Poi non dire che non te la sei cercata.»
«Ma ti senti? Parli come il cliché di un bullo.»
Tutti spostarono lo sguardo sull’entrata. Un ragazzo dai capelli scuri e una maglietta con sopra la scritta rosso sangue The Real Vampires Bite! s’introdusse nell’aula.
«E tu chi cazzo sei?» chiese Simon.
«Billy» disse Betty con espressione sorpresa.
Billy la guardò per un istante, poi spostò la sua attenzione sui tre ragazzi. Girò quindi intorno ai banchi e raggiunse Zec. «Non credere a quello che ti dicono. Sei più forte di loro. Pensano che ferirti li rende superiori, ma si sbagliano. Quel dolore che senti, in parte è colpa della loro indifferenza e della loro cattiveria, non lasciare che ti logori, ma usalo.» Gli posò le mani sulle spalle. «Indossalo come un’arma.»
Zec percepì come una molla invisibile sbloccarsi dentro il suo corpo. Aveva aperto uno scomparto che non credeva esistesse e poteva tirar fuori tutto il dolore per  trasformarlo nella sua forza.
«Hai ragione» disse, mentre l’aria crepitò intorno a lui. «Ora posso pareggiare i conti.»
Betty e Donovan lo guardarono allibiti e anche Simon e Stefan rimasero a bocca aperta.
Gli occhi di Zec si tinsero completamente di nero come la pece, piccole venature scure comparvero sulla pelle, diramandosi nelle guance e nella fronte e i capelli castani divennero scuri fino alle punte.
Anche se non poteva vedersi, Zec percepì quel cambiamento. Sicuro di sé come non lo era mai stato, allungò il braccio destro in avanti e piegando le dita come per graffiare l’aria, spinse i due bulli contro il muro. Non contento allungò anche il braccio sinistro e sollevandoli dal pavimento con violenza, li sbatté contro il soffitto, in modo che i loro volti fossero rivolti verso il basso.
«Facci scendere» urlò Simon.
«Mettici giù» gridò Stefan.
Zec esibì un sorriso compiaciuto. «Mi era parso di capire che volevate divertirvi un po’ con me. E io mi sto divertendo.» Scostò il braccio verso sinistra e i due volarono contro le finestre, infrangendo i vetri e rimanendo sospesi a mezz’aria. «Sapete cosa sarebbe un vero spasso? Un bel volo dal secondo piano.»
Betty si avvicinò a Billy intento a osservare la scena con loro. «Devi fermarlo. Sta esagerando.»
«Dici?» Billy sembrò incerto. «Quei tizi se lo meritano. Ho percepito il loro male.»
«Ma ci andrà di mezzo Zec» disse Donovan.
«Che vuoi dire?» chiese Billy.
«Non lo vedi? Ora sembra posseduto, come… Dark Willow
«Donovan ha ragione. Non so come hai liberato quel potere in Zec, ma se continua così ne verrà consumato. E non è giusto. Lo conosco, non è cattivo.»
Billy parve convinto. Raggiunse Zec e gli mise gentilmente una mano sulla spalla. «Può bastare.»
«Lo decido io» rispose Zec, voltandosi. «Forse qualche osso rotto gli farà passare la voglia di prendersela con me, o con altri, solo perché si considerano predatori e noi le loro deboli prede.»
«Forse. Ma i tuoi amici lì dietro mi hanno fatto notare quanto sarebbe sbagliato e non ti renderebbe diverso da quei due» rispose Billy. «Dimostra che sei migliore.»
Zec  guardò Betty e Donovan. Per una frazione di secondo si rivide riflesso nei loro occhi e scorse un mostro e un prepotente. E non gli piacque. Alzò le braccia e riportò nell’aula Simon e Stefan facendoli fluttuare, infine li atterrò con poca grazia sul pavimento.
Betty si sporse in avanti imitata da Donovan. Entrambi osservarono i due stesi a terra con gli occhi chiusi. Lei disse: «Sono…»
«Svenuti» rispose Zec. Poi si rivolse a Billy. «Non voglio perdere questo potere. Hai intenzione di togliermelo?»
«Non te l’ho dato io» rispose Billy. «È frutto del tuo dolore, ti appartiene e potrai sempre usarlo, ma devi saperti controllare.»
«E se non ci riuscissi?»
«Ti farai del male, ne farai ad altri e io poi dovrò farne ancora a te.» Billy divenne serio. «In modo definitivo.»
Anche se una parte di lui continuava a suggerirgli di metterlo alla prova, Zec non le diede ascolto. «Puoi aiutarmi a… diciamo scaricarmi?»
Billy sorrise. «Bel termine, ma forse è meglio che rimani ancora un po’ così.»
«Perché?» domandò Donovan preoccupato.
«Probabilmente dovrà aiutarci» disse Billy. «In questo stesso momento sta succedendo qualcosa di simile in mensa.»

   

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giovedì 25 giugno 2015

Adolescenza sulla Bocca dell'Inferno - Puntata 2


2.  Giovane Carina Vendetta


Appoggiato al muro, Donovan aspettò all’esterno che la porta della classe si aprisse.

La lezione di francese era l’ultima della giornata della sua ragazza e lui aveva già dei piani per il dopo scuola.
La campanella risuonò nel corridoio, la porta si spalancò e i ragazzi cominciarono a uscire. Corsero davanti a lui, con la fretta di lasciare l’istituto e per ultima, camminando tranquilla, arrivò lei: Anika.
Stingeva al petto il libro e il quaderno, schiacciandoli contro la maglietta così aderente da evidenziarle i seni, la gonna a frange si sollevava lievemente a ogni passo mostrando e le gambe. Era un look un po’ anni 90, ma sexy e lo sapeva. E anche Donovan e non poteva evitare di eccitarsi ogni volta che la vedeva.
«Ehi» lo salutò, scostandosi un ciuffo di capelli biondi, tagliati a caschetto appena sotto le orecchie.
«Ehi» rispose Donovan, staccandosi dal muro. «Hai programmi per il pomeriggio?»
Anika sorrise. «Dipende. Tu cosa proponi?»
«Una gita a casa mia. Mio padre è fuori fino a stasera e possiamo starcene tranquilli.»
«Perché non andiamo a casa mia, anche i miei non ci sono.» Anika si strusciò contro il suo petto, facendogli cadere lo zaino dalle spalle. «Staremo tranquilli anche li.»
«Con la tua domestica impicciona intorno a controllarci? No grazie.»
Anika rise. «Ok. Portami a casa tua.»
Donovan raccolse lo zaino, le mise un braccio intorno alla spalle ed esultò in silenzio.

 

«Quanto ci vuole per entrare?» chiese Anika da dietro la porta con finta impazienza.

«Solo un minuto» rispose Donovan all’interno.
Aveva usato la scusa di dover mettere un po’ d’ordine nella sua stanza, ma in realtà stava sistemando la webcam in modo che inquadrasse il letto senza si notasse. Lui e Anika stavano insieme da un mese ormai, voleva portare il loro rapporto al livello più intimo e poter immortalare l’evento. Era solo per lui, per goderselo nei momenti di relax…
Donovan controllò un’ultima volta che fosse tutto a posto, poi andò alla porta e l’aprì. «Ecco, accomodati.»
Anika s’intrufolò e giocherellò con il pendente verde con la pietra rossa appeso alla collana, guardandosi intorno. «Carina e più pulita di quanto mi aspettassi.»
«Be’ grazie» rispose Donovan.  Si sedette sul letto e le fece segno di mettersi accanto a lui. «Qui starai più comoda.»
«Ah, davvero?» Anika lo guardò maliziosa e prese posto quasi in braccio a lui. «Devo preoccuparmi? Hai cattive intenzioni?»
«Definisci cattive intenzioni.»
Anika si piegò in avanti e gli stampò un bacio sulla labbra. «Questo, per esempio.»
Donovan finse di riflettere. «Intendo altro per cattive intenzioni.» Le mise una mano sulla nuca e la baciò sulla bocca, con intensità, facendo incontrare le loro lingue. Lentamente, poi si allontanò. «Che ne dici?»
«Dico che oggi mi sento molto cattiva.» Anika si sfilò la maglietta e rimase in reggiseno nero. Si spinse contro di lui e ricambiò il bacio con più foga.
Donovan le sfiorò la coscia e salì fino all’elastico delle sue mutandine. Lei non oppose resistenza. Era il segno che ci stava.
Anika si allontanò dalla sua bocca. «Hai una protezione?»
«Certo» rispose Donovan, aprendo il cassetto del comodino e pescando nella scatola dei preservativi.
«Bene.» Anika gli tolse quasi a forza la maglietta e riprese a baciarlo.
Soddisfatto, Donovan osservò alla loro sinistra la luce verde della webcam accesa ammiccare complice.

 

Era passata quasi mezz’ora da quando Anika se ne era andata. Era stato favoloso e anche lei gli era sembrata contenta che alla fine l’avessero fatto. Non era certo la prima volta per nessuno dei due e quindi non c’era stato imbarazzo.

«Controlliamo come veniamo in video.» Aprì il file dal computer e lo guardò, trovò l’audio soffuso non voluto un tocco in più, lo rendeva quasi un lavoro da professionista.
Il cellulare trillò. Lo afferrò dal bordo della scrivania e lesse sul display la scadenza impostata: consegna tesina storia. OGGI!!!
«Merda! Me ne ero dimenticato.» Stoppò il file video e lo chiuse. Ripescò nella cartella denominata scuola il file sulla parte di tesina che doveva svolgere per il suo gruppo di studio e rilesse velocemente il tutto.
Donovan apportò qualche modifica sfruttando Wikipedia e poi salvò il documento sul desktop. «Se la dovranno far andar bene.» Avviò il programma di posta elettronica e cercò nella rubrica gli indirizzi e-mail degli altri tre compagni di studio. Cliccò sull’icona degli allegati e si aprì la finestra con gli ultimi files salvati.
«Donovan sono rientrato» gridò una voce maschile, facendolo sobbalzare sulla sedia. Suo padre annunciava sguaiatamente il ritorno a casa. «Porta le chiappe in cucina e dammi una mano con la cena.»
«Arrivo» urlò a sua volta. Dal tono sembrava di pessimo umore ed era meglio non farlo aspettare. Fece un doppio click su “allega” e poi “invia”, senza preoccuparsi di controllare cosa avesse selezionato.
Uscì dalla stanza come un fulmine e raggiunse suo padre.

 

Quella mattina, fin da quando aveva acceso il cellulare appena uscito di casa, Donovan continuò a ricevere strani messaggi, sia da amici, sia da sconosciuti.

Che stallone!” “A quando il sequel?” “Interpretazione da Oscar” “Ora so con cosa ti ecciti”. Più o meno tutti sul genere e iniziò a sospettare ci fosse un collegamento con quanto successo il pomeriggio prima, ma come potevano saperlo tutte quelle persone? Non ne aveva fatto parola con nessuno.
Arrivato a scuola, sentì diverse occhiate e risolini rivolti verso di lui, così corse nel corridoio e rintracciò uno dei suoi compagni del gruppo di storia.
«Ehi ciao, puoi farmi vedere che file vi ho inviato ieri?» domandò, mentre sentiva crescere l’ansia.
L’altro ragazzo lo guardò ridendo. «Non ne hai una copia tua?» Poi gli piantò lo schermo dello smartphone davanti al naso e gli mostrò il video di lui e Anika mentre facevano sesso.
«Cazzo!» imprecò Donovan. «Non vi ho mandato la tesina di storia?»
«Sì, c’era anche quella. Ma questo era più interessante da condividere.» Continuando a ridacchiare, l’altro se ne andò per la sua strada lasciandolo solo.
Donovan s’infilò le dita nei capelli scuri, con le unghie che gli graffiavano la cute. Aveva fatto un casino e adesso, per un suo sbaglio, tutto il liceo sapeva. «Anika» disse ad alta voce. Doveva trovarla e chiarire tutto.
Si girò cercando di ricordare che lezione avesse alla prima ora, ma se la trovò di fronte che avanzava sicura e agguerrita verso di lui.
«Seguimi» gli ordinò.
«Dove?»
«In palestra.» Anika lo superò e proseguì la sua marcia come un militare, attraversando il piano e spalancando le porte della palestra.
Donovan le fu dietro e infilandosi velocemente dopo di lei, lasciò sbattere la porta alle sue spalle.
«Perché lo hai fatto?» chiese Anika con sguardo furente.
«Mi dispiace… non volevo… ho fatto confusione.»
«Come?» sembrava sorpresa.
«Ieri sera ero di fretta, dovevo consegnare la mia parte di tesina con il gruppo di storia, poi è rientrato mio padre e così ho schiacciato allega e invia senza guardare. Avevo salvato entrambi i files, il nostro e quello di storia e li ho inviati insieme per errore.»
Anika lo fissò di nuovo furiosa. «Il nostro? Non ti ho mai dato il permesso di filmarci a fare sesso!»
Donovan si morse la lingua. Stava peggiorando la situazione. «Hai ragione è solo che…» non gli veniva in mente niente per giustificarsi.
«Sei un pervertito!» Anika si voltò, dandogli la schiena.
«Ascolta, non è come sembra. Non doveva essere qualcosa da condividere con gli altri. Era un video privato» si giustificò. «Non volevo farti del male, o che andasse in questo modo.»
«Ci dovevi pensare prima.» Anika si voltò di nuovo verso di lui ed era totalmente cambiata. Il suo bel viso pulito, acqua e sapone, era pieno di rughe e verruche, come se fosse malata di peste bubbonica. Lo guardava con occhi stretti e tutti neri, carichi di odio e rancore. «Adesso subirai l’ira di un Demone della Vendetta!»
Donovan arretrò spaventato e schifato. Quella non poteva essere Anika. «Chi diavolo sei?»
«Sei sordo oltre che imbecille.» Anika alzò le braccia e i materassi per gli esercizi volarono da un capo all’latro della palestra. La collana con il pendente verde e la pietra rossa emerse da sotto la maglietta. Avanzò e lo afferrò per la gola, sollevandolo senza sforzo dal pavimento. «Sono un Demone della Vendetta e il nome dovrebbe già darti un’idea.»
Infatti Donovan capiva cosa significava e sapeva anche a che genere di creatura si riferiva, ma non riusciva comunque a crederle. «Non puoi essere reale» biascicò con un filo di voce.
Anika lo lanciò di nuovo per terra. «Lo sono eccome.»
«Sei un personaggio di una serie tv?»
«Sei proprio un cretino» rispose infastidita. «Puoi fingerti stupito quanto vuoi, ma non la passerai liscia, ti impedirò di fare ad altre quello che hai fatto a me.»
Pur vedendo le pessime intenzioni della sua ragazza, Donovan non riusciva a staccarsi dall’idea che quello che succedeva fosse irrazionale. «Ma i tuoi genitori lo sanno? Voglio dire, se sei un Demone della Vendetta devi aver…»
«Taci!» gridò Anika. «Non si tratta di me, ma di te. Sei tu il bastardo che ha giocato con i miei sentimenti, che pensa sia figo fare film prono amatoriali.»
«Non è vero» rispose. «Ok, ho fatto una cazzata, lo ammetto è sbagliato e irrispettoso verso di te, ma non lo avrei mai usato per farti del male. È solo… ho diciassette anni e mi eccito spesso.»
Anika lo guardò schifata. «Sei un malato, ma forse so come curarti.» Lo tirò in piedi a forza e la sua bocca si aprì in un ghigno e gli mostrò i denti affilati. «Sai, in natura c’è la giusta punizione per te. Ti trasformerò in una mantide, così quando sarai eccitato e troverai una compagna potrai sfogarti e poi lei ti strapperà la testa e ti divorerà.»
«Non parli sul serio?» domandò Donovan poco convinto.
«Lo vedrai.»
«Ti prego, no! Non accadrà più. Te lo giuro!»
«Invocatis Veterumque Deorum, vindictam iustitiae nomine » recitò senza ascoltarlo. «Ut tolleret corpus et orantes…»
Atterrito, Donovan la vide sgranare gli occhi prima di completare l’incantesimo. Poi una lama spuntò dal petto della ragazza e annullò la presa su di lui. Da dietro comparì una ragazzo bruno, ritrasse il coltello dal corpo di Anika e la lasciò cadere riversa a terra di lato.
Il ragazzo lo fissò per pochi secondi e Donovan vide che sotto una camicia blu indossava una maglietta con la scritta rosso sanguinante The Real Vampires Bite! . I jenas erano sporchi del sangue  schizzato di Anika–Demone della Vendetta ed era nero. Poi spostò lo sguardo sul corpo abbandonato a terra.
«Chi sei?» chiese Donovan.
«Billy l’ammazzavampiri»
«Perché lo hai fatto?»
«Per salvarti la pelle, anche se quello che hai fatto mi fa schifo. E perché sono il prescelto che combatte contro vampiri, demoni e creature dell’oscurità.»
Prima che Donovan potesse ribattere, Anika si rimise miracolosamente in piedi e semplicemente allungando il braccio destro, sbatté con violenza Billy contro il muro.
«Puoi crederti un Ammazzavampiri, ma non basta una pugnalata per uccidere un Demone della Vendetta. Mi occuperò anche di te» disse con voce roca, poi si girò verso Donovan. «Prima però ho un lavoro in sospeso.»
«Ferma!»
Donovan e gli altri due ragazzi (o presunti tali) presenti in palestra si voltarono verso l’ingresso per vedere da chi proveniva l’ordine.
Una ragazza dai capelli castani e con gli occhiali s’intrufolò con passo sicuro.
«Chi sei e come diavolo ti permetti di darmi ordini?» l’aggredì Anika.
«Mi chiamo Betty e so per certo che stai violando le regole.» Deglutì e continuò. «Per agire come Demone della Vendetta devi esaudire il desiderio di qualcuno.»
«Infatti, sto esaudendo il mio.»
«Ha ragione lei» intervenne Donovan. «Non puoi farmi del male, almeno non sia qualcun altro a desiderarlo. Queste sono le regole.»
«Regole?» Anika tornò a guardarlo con ira. «Come osi pretendere di sapere cosa è giusto o no?»
Billy balzò in piedi, corse verso Anika e le si avventò contro. Lei cercò di graffiarlo per allontanarlo, ma lui non sembrava voler lottare. Donovan vide mentre la schivava, il suo unico obbiettivo fu di strapparle la collana e poi si allontanò. 
«È questa la fonte del tuo potere» disse stringendo nella mano sinistra la catenina con il pendente verde a forma di goccia con al centro la pietra rossa. «Il tuo amuleto. Se lo infrango sarà tutto finito.»
«No!» Gridò Anika.
La ragazza si preparò a puntare le braccia contro di lui, per usare i poteri per separarlo dal gioiello, ma Billy infranse la pietra con il coltello sporco del sangue della ragazza demone.
Il gridò di Anika diventò più acuto, il suo corpo prese fuoco e si consumò diventando in breve cenere. 
«È tutto risolto. Credo che anche il ricordo del video e della sua esistenza sia stato rimosso» disse Billy, mostrando il palmo aperto in cui prima reggeva l’amuleto, ora svanito.
«Io la ricordo ancora» ammise Donovan. «E credo me la ricorderò per un bel po’.»
«Anche io» disse Betty. «Ma forse siamo solo noi, perché eravamo presenti al momento della sua morte.»
«Può darsi» concordò Billy.
Donovan gli si avvicinò. «Come sapevi che distruggere il suo amuleto l’avrebbe uccisa invece che toglierle solo i poteri?»
«Non lo sapevo» rispose l’altro. «Ho immaginato che usare un’arma sporca del suo sangue per rompere l’amuleto potesse eliminare anche il demone definitivamente.» Si allontanò verso le porte per andarsene, ma prima di uscire si rivolse a Donovan. «Eri sincero prima? Non farai più video di quel tipo?»
Donovan annuì serio.
«Bene, perché se facessi di nuovo uno scherzo del genere a una ragazza ingenua e innocente, tornerò e te la farò pagare.»
Donovan lo vide scomparire oltre la porta della palestra. «Grazie per essere intervenuta» disse poi a Betty. 
La ragazza lo sorprese, rispondendo: «Dobbiamo parlare di Billy l’ammazzavampiri.»

 

 

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giovedì 11 giugno 2015

Adolescenza sulla Bocca dell'Inferno - Puntata 1


1.  I Veri Vampiri Mordono



Voleva sentire il suo odore. Il suo sapore. La raggiunse alle spalle, premette con forza il petto contro la sua schiena e le strinse i seni. Aprì la bocca e scansando i canini fuoriusciti, le leccò il collo…


«No. Non ci siamo.» Betty tenne premuto il tasto “cancella” sulla tastiera del notebook fino a far scomparire le ultime due righe scritte. Voleva che la sua fan-fiction sui vampiri somigliasse il meno possibile a un porno-soft.
La sveglia impostata sul cellulare la distolse completamente dai suoi dubbi artistici. Il bip con vibrazione le ricordò che era ora di prepararsi per l’appuntamento.
Spense il timer e si alzò dalla scrivania. Camminò fin davanti all’armadio e poi aprì le ante.
«Vediamo un po’ cosa posso mettermi senza sembrare una sfigata o una facile.» Si legò i capelli castani sulla nuca, raccogliendoli con una pinza e infilò le mani tra i vestiti. «Al primo appuntamento con un tizio conosciuto sul web, l’apparenza è più importante della sostanza.»
Lei ed Eddy si erano incontrati sul forum di appassionati di vampiri nei romanzi, nei film e serie tv. Trovare fauna maschile in quel genere di siti non era un problema, ma trovarne qualcuno che sapesse davvero di cosa parlavano e avesse un’opinione articolata era un vero colpo di fortuna.
Betty infilò la camicetta borgogna di velluto e la gonna nera. Era più attillata di quanto ricordava e spiegava perché fosse rimasta a far muffa nel suo guardaroba. Si accovacciò e prese la lunga scatola di cartone. Sollevò il coperchio e afferrò gli stivali neri alti. Li aveva comprati in preda a un impulso incontrollabile mesi prima, sapeva che non li avrebbe mai indossati per andare a scuola, ma le erano piaciuti al primo sguardo ed era sicura che l’occasione di usarli sarebbe arrivata. E quell’appuntamento era quella adatta. 
Betty si sedette sul letto per infilarli e scoprì che era un’impresa più complicata del previsto. Trovò infine il modo di far scivolare il piede fino in fondo e calzato il primo, ripeté più velocemente l’operazione anche per il secondo. Si alzò e chiuse l’anta dell’armadio in cui era inserito le specchio.
«Ai miei verrà un colpo vedendomi così» disse osservandosi e lisciandosi la gonna e liberando i capelli castani sulle spalle. Il suo look abituale erano jeans e felpe scure. Non era un maschiaccio, ma riteneva che mettersi in ghingheri per andare a scuola era sensato quanto indossare un abito con diamanti Swarovski per andare al supermercato. E comunque era in perfetta sintonia con la sua parte femminile. Si tolse gli occhiali e annunciò. «Un po’ di trucco li lascerà a bocca aperta.»
Ritornò alla scrivania, dietro il notebook era abbandonata una trousse quasi del tutto nuova. L’aprì e passò la matita azzurra sulle palpebre chiuse e ridefinì meglio le labbra con il lucidalabbra color rosa pesca. Inforcò gli occhiali con la montatura rossa sul naso e tornò a specchiarsi.
«Perfetto. E adesso le cose pratiche.» Betty andò verso il letto e aprì il secondo cassetto del comodino. Rovistò sotto i cd e afferrò la boccetta di spray al peperoncino.
Eddy si era dimostrato un ragazzo spiritoso e a posto nelle loro chiacchierate online, ma non era una garanzia che fosse chi diceva di essere. Inoltre si erano ripromessi di non mostrarsi in video e neanche inviarsi foto. Così non sapeva esattamente quale esemplare di essere umano si sarebbe ritrovata davanti ed era meglio essere pronta a ogni eventualità.
Prese la giacca di jeans dallo schienale della sedia davanti alla scrivania e infilò nella tasca sinistra il cellulare e il portafoglio, in quella destra lo spray. «Anche se vi mentirò sulla mia compagnia di stasera, almeno potete stare tranquilli che vostra figlia sa badare a se stessa» disse Betty, prima di uscire dalla camera e andare a salutare i genitori.

 

La prima regola quando ti trovi con uno sconosciuto incontrato sul web è scegliere un luogo familiare e affollato. Betty lo sapeva e non serviva che qualcuno glielo spiegasse, era abbastanza intelligente da arrivarci da sola. E niente rispondeva a queste due caratteristiche meglio del Bronze Dust, il locale non distava nemmeno troppo da casa sua e lo frequentava spesso.

L’appuntamento con Eddy era fissato alle otto, davanti al McDonald’s appena aperto. Betty si fermò a pochi passi dall’entrata del ristorante e controllò l’orologio al polso sinistro. La lancetta dei minuti si posizionò sulla tacca in alto proprio in quel momento. Sollevò la testa e vide un ragazzo avanzare verso di lei.
«Cominciamo bene» sussurrò sarcastica, spingendo indietro le lenti degli occhiali.
Eddy aveva scherzato sulla sua carnagione pallida che ricordava quella di un vampiro e quello che le veniva incontro rispondeva a quella descrizione. Le aveva anche detto di avere diciotto anni, ma il tizio ormai di fronte a lei ne aveva almeno venticinque.
«Ciao, sei Betty?» le domandò.
Betty annuì.
Lui sorrise, passandosi la mano destra sui capelli ricci biondo scuro, lisciati all’indietro dal gel. «Sono Eddy.»
«Hai più di diciotto anni» disse lei d’impulso.
Eddy divenne serio e sembrò imbarazzato. «Sì, ecco, non volevo mentire, ma se ti avessi detto che ero più grande e mi interessavo ancora ai vampiri, mi avresti preso in giro… come tutti gli altri.»
Betty si morse il labbro inferiore. Era stata precipitosa e indelicata. «Ma no, non c’è niente di male» cercò di rimediare, «Solo mi aspettavo un mio coetaneo e…»
Eddy ritrovò il sorriso. «Essere più grande ha anche i suoi vantaggi. Posso comprarti degli alcolici, se ne hai voglia.»
«In effetti, visto che stiamo andando in un locale, può tornare utile.»
«Visto? Vieni, la mia auto è da questa parte.»
La parte razionale nel cervello di Betty le ricordò che entrare in un auto con uno sconosciuto era da oca cretina. «Non serve, possiamo andare a piedi. Il Bronze Dust è qui vicino.»
«Con la mia auto arriveremo ancora prima» rispose Eddy senza scomporsi. «Un altro vantaggio di essere più grande: posso evitare che ti stanchi a camminare.»
Betty era diffidente, ma rifiutare con insistenza poteva offenderlo e non era certo partita con il piede giusto. Così, contro il suo buon senso, disse: «Come vuoi, fai strada.»
Lo segui fino all’auto, Eddy fece un paio di battute spiritose e Betty si sentì a suo agio.
«Dico davvero» continuò lui. «Quando sanno che lavoro come infermiere e mi piacciono i vampiri, pensano che sia un cleptomane del sangue.»
Betty salì, sedendosi al posto del passeggero. «È logico, quale modo migliore per procurare il sangue ai tuoi amici con le zanne?»
Eddy mise in moto e scoppiò a ridere. «Già. Come se l’ospedale non catalogasse le sue scorte. Oltretutto non sai quanti permessi ci vogliono per prendere le sacche di sangue. Non è come nelle serie tv.»
«Forse quelli che ti prendono in giro hanno visto quelle serie e non hanno il coraggio di ammetterlo.»
«Ci ho pensato anche io.» Eddy girò il volante con una mano sola e prese al volo un semaforo che stava per diventare rosso. «Come mai hai scelto il Bronze Dust per il nostro primo incontro?»
«Ci sono stata qualche volta. È un posto carino.»
«Anche tu sei carina.»
Betty avvertì il calore sulle guance e portò lo sguardo sulla strada. Si accorse che si erano allontanati dal Bronze Dust e di parecchio. «Stai sbagliando strada. Guarda che dev… »
«Lo so» rispose secco. «Andiamo da un’altra parte.»
«Perché?»
«Perché ho cambiato idea. Ti piacerà.»
Betty si voltò verso le portiere e notò la sicura bloccata. «Andiamo al Bronze Dust, o fammi scendere. Subito.»
Eddy divenne scuro in volto. «Non fare la rompipalle.»
Betty fece scivolare la mano nella tasca con lo spray e lo sfilò lentamente.
Eddy si voltò all’improvviso verso di lei. «Che cazzo vuoi fare?» urlò, sorprendendola con l’arma di difesa in mano. «Non ci provare.» La spinse con forza contro il vetro del finestrino.
Betty batté la testa, poi divenne tutto buio e perse i sensi.

 

Fu risvegliata da mani sudaticce, si muovevano frenetiche, le dita impegnate a sbottonarle la camicetta e a palparle il seno.

«Cosa diavolo…» gridò e trovò Eddy quasi completamente sopra di lei. Le aveva abbassato le maniche del giubbotto fino ai polsi, bloccandole il movimento.
«Shh» le sibilò all’orecchio. «Siete tutte uguali.» Le baciò il collo. «Come se non fosse per questo che cercate compagnia su quei siti di vampiri. Volete anche voi il vostro Edward che vi faccia godere.» Le strinse ancora di più il seno. «Tu sei la più carina tra quelle che mi sono fatto. Anche se sei una quattrocchi.»
«No!» gridò Betty e gli tirò una ginocchiata all’inguine.
Eddy si scostò di colpo per il dolore. «Brutta troia!»
Betty si tirò su di corsa le maniche e chiuse la giacca, lo spray le era caduto tra i piedi, ma poteva usare il cellulare. Lo estrasse di corsa, ma lui le fu di nuovo addosso.
«Questo non ti serve» disse afferrandolo e buttandolo sul sedile posteriore. «Vuoi fare la dura? Bene, mi piace.» Le strinse il collo con la mano sinistra, mozzandole il respiro. «Quella merda sui vampiri vi fa credere delle eroine, ma io so come tenervi buone.»
Betty gli puntò i palmi sulla faccia biancastra per spingerlo indietro, ma era notevolmente più forte di lei.
Eddy ghignò. «Me lo fai solo div…»
Il finestrino dalla parte del guidatore si fracassò, interrompendolo. Una coppia di mani albine lo afferrarono per i capelli e le spalle e lo trascinarono fuori a forza, sradicando la portiera.
Betty tossì e subito dopo inspirò aria. Osservò confusa la strada vuota davanti a sé, attraverso quell’apertura improvvisa e non vide nessuno. Poi sentì un tonfo sul tettuccio, rumore di squarci, le urla di Eddy e di nuovo silenzio.
Con il cuore che  batteva, pulsandole contro il petto, strinse con il braccio sinistro la giacca per coprire il reggiseno rosa in evidenza sotto la camicia borgogna aperta. «Chi c’è?»
Nessuna risposta.
Si spostò sul posto del guidatore e tremante, sporse metà volto all’esterno per osservare la scena. Le sembrava di trovarsi nei pressi di un parco, lontano dalle abitazioni. Era quasi tutto buio se non fosse stato per la luce bianco-gialla di un lampione non molto distante dall’auto di Eddy. 
«C’è qualcuno?» domandò.
Di nuovo silenzio.
Betty si fece coraggio e uscì lentamente dall’auto. Indietreggiò e vide sul tetto il corpo senza vita di Eddy, con il collo e la camicia grigia macchiati di sangue. Diversi litri di sangue. Si tappò la bocca con la mano libera per soffocare un grido.
«Buona idea. Non serve urlare.»
Betty si girò di scatto. Alle sue spalle era comparso una ragazzo. Forse poco più giovane di Eddy, indossava una giacca di pelle e una t-shirt di una qualche band che non conosceva. Sul mento aveva delle macchie rosse e i capelli spruzzati di sangue.
«Non mi ringrazi?» La sua voce era calma e suadente.
«Chi sei?» chiese Betty. Era una domanda stupida, ma la sua mente non riuscì a fare di meglio in quel momento.
«Mi sembra ovvio, il tuo salvatore.» Il ragazzo la guardò con occhi languidi. «Allora, mi ringrazi?»
«G-grazie» balbettò Betty.
«Puoi fare di meglio.» Il volto del ragazzo sfigurò. La fronte si riempì di rughe, gli occhi si strinsero e le iridi divennero gialle. Spalancò la bocca e mostrò una coppia di canini appuntiti.
«Sei un vampiro.»
«Quegli occhiali servono a qualcosa.»
Betty deglutì e provò a ragionare. Era assurdo, irrelae… ma l’aveva appena aiutata. Forse non voleva farle del male. «Sei un vampiro buono, vero? Uno di quelli vegetariani.»
Il vampiro scoppiò a ridere. «Non volete proprio capirlo. Non esistono vampiri vegetariani.»
«Ma comunque sei uno di quelli buoni, giusto? Mi hai slavata.»
«È vero, ma qui non si tratta di buoni o cattivi» rispose il vampiro. Le afferrò le braccia con entrambe le mani e la strinse così forte che in confronto il tocco di Eddy sembrava una carezza. «Si tratta di catena alimentare. Il più forte mangia il più debole.»
Betty sentì un singhiozzo salirle in gola. «No, ti prego.»
«Può essere piacevole, sai?  E magari poi posso anche trasformarti in una come me.»
Betty scosse la testa. «No. No...»
«Sei noiosa.» Il vampiro la attirò a sé e le spinse di lato al testa, per aver libero accesso al collo.
Betty era pronta al dolore dei canini che le laceravano la carne, ma senti un rigurgito. Il vampiro la fissò sorpreso. Il volto divenne grigio e si sgretolò, riducendosi in polvere insieme al resto del corpo.
Senza nessuno a sorreggerla, Betty ritrovò l’equilibrio e vide davanti a lei un nuovo ragazzo. Impugnava un paletto di legno.
«Sai bene?» le chiese.
Betty rimase confusa a fissarlo. Aveva la sua stessa età, aveva i capelli scuri e sotto una camicia blu aperta che gli arrivava a metà coscia dei jeans, indossava una maglietta nera con su scritto a lettere rosse sanguinanti The Real Vampires Bite!
«È tutto a posto. Nessuno ti farà più del male» disse il ragazzo.
«Quello era un vampiro. Un vero vampiro.» Betty lo ripeté, voleva la conferma di non essere pazza.
«Proprio così. Ed è un mostro. Come il tizio che ti ha aggredito. Scusa se non sono intervenuto, ma dovevo stanare la mia preda.»
«Ma prima mi ha difeso… come può essere cattivo?»
Il ragazzo sospirò. «Come ti chiami?»
«Betty.»
«Ok, Betty, purtroppo non esistono vampiri buoni, gentili o altruisti. Un vampiro è un demone con le sembianze di un uomo o di una donna. Non ha un’anima, non può amare. Solo un vampiro con l’anima può essere definito buono, ma sono casi rarissimi e il rituale per ridargliela è perduto da tempo. Tutti i vampiri non sono diversi dal tizio sull’auto: vogliono qualcosa da te. Nello specifico il tuo sangue per nutrirsi. Loro vivono, tu muori. Fine della lezione.»
Betty lo guardò incuriosita. Non la stava rimproverando voleva solo metterla in guardia, come se si preoccupasse perché non le accadesse di nuovo.
«Ce la fai  a tornare a casa da sola?» le domandò.
«Io… mi serve qualche minuto per riprendermi.»
«C’è qualcuno che puoi chiamare?»
«Sì, il mio cellulare è in macchina. Chiamo mio padre e mi faccio venire a prendere.»
Il ragazzo andò verso l’auto e tirò giù il cadavere di Eddy prendendolo per le gambe. «Bene. È il caso di far sparire questo bastardo.»
Betty si ricordò solo in quel momento di essere mezza nuda e si chiuse velocemente la camicia. «Grazie per tutto.» Prese a respirare normalmente e percepì i cuore rallentare la corsa. Si osservò la mano destra ed era ferma, il tremolio dello shock stava svanendo. «Mi inventerò qualcosa per spiegare a mio papà perché sono qui. Vuoi aspettarlo con me?»
«Meglio di no. La notte è ancora lunga.» Il ragazzo si girò, trascinandosi dietro il defunto Eddy.
«Aspetta, non so il tuo nome» disse Betty.
«Sono Billy l’ammazzavampiri.»    
Strabuzzando gli occhi, Betty sussurrò: «Come Buffy.»

 

                                              Continua…?