CAPITOLO 63
Gioco di spie
Seduto nel centro
del divano, Patrick sfogliò il blocco di appunti preso dal cassetto del
comodino vicino al letto.
Alcuni mesi
prima aveva stretto un accordo con Kaspar De Santi, l’uomo che gli aveva
insegnato come sfruttare e controllare il suo potere di avere visioni
attraverso il contatto tattile, e seppur non ne andasse fiero, aveva scelto di lavorare
per lui solo per proteggere Sara Martini e i suoi amici.
Fulvio vorrebbe che qualcuno vegli su di
loro pensò, ricordando l’ispettore suo amico e zio della ragazza, e
credendo in questo modo di onorare la sua morte.
Rilesse le note
scritte a mano negli ultimi mesi. Da quando aveva scoperto che Kaspar aveva
accettato il posto di consulente scolastico nel liceo dei ragazzi, Patrick
aveva iniziato a nutrire dei dubbi sulle vere intenzioni dell’uomo e dopo che
lui gli aveva rivelato di lavorare per un misterioso istituto chiamato il
C.E.N.T.R.O. – che seguiva ragazzi con poteri extrasensoriali – aveva preso la
decisione di tenerlo il più possibile alla larga dai suoi protetti.
Patrick sollevò
lo sguardo dai suoi appunti. «Dovrei conoscere l’interno di quell’istituto,
eppure non ricordo nessun particolare» disse, ripensando alla visione del
giorno prima, scattata dopo aver sfiorato Sara.
Aveva fissato un
incontro a casa sua con Kaspar anche per quella ragione: doveva scoprire se
quel buco nella memoria era opera sua.
Il campanello
trillò e Patrick controllò l’orologio al polso. «Le undici. È puntuale come
sempre.» Si alzò e andò ad aprire la porta.
Non appena
l’ebbe davanti a sé, Kaspar gli strinse la mano sorridente, mentre con l’altra
reggeva una borsa. «Buongiorno Patrick. Ieri la tua telefonata è giunta proprio
al momento giusto. Se non mi avessi chiamato tu, l’avrei fatto io.» Entrò e si
diresse a passo sicuro nel salone.
Patrick non fece
troppo caso alla sua invadenza. In passato avevano abitato insieme e si era
instaurata una certa familiarità. Quello che aveva detto però lo mise in
allarme.
«Come mai?»
domandò sospettoso, chiuse la porta e gli si avvicinò.
«Be’ ormai è
passato diverso tempo dal nostro ultimo incontro. Dovresti avere qualcosa da
dirmi sui ragazzi, o meglio sui loro poteri» gli rispose. «Erano questi i
termini del nostro accordo.»
«Certo, infatti
ti volevo vedere anche per questo.» Riprese posto sul divano gli fece segno di sedersi
accanto a lui. Raccolse il blocco dal cuscino, strappò delicatamente gli ultimi
tre fogli e li porse all’altro.
Kaspar li prese
dalle sue mani e li scrutò velocemente. «Vedo che hai ricavato più informazioni
su Sara Martini che sugli altri.»
«Lei è più
facile da avvicinare. Per i suoi amici ci vorrà ancora qualche tempo. Devo
instaurare lo stesso rapporto di fiducia che ho con Sara.»
«Capisco» disse
Kaspar con aria contrariata.
Patrick non
poteva correre il rischio che riconsiderasse l’idea di lasciargli
quell’incarico, così decise di provare a catturare il suo interesse. «Avrai notato che ho scoperto che i ragazzi
hanno avuto la possibilità di rivivere i ricordi della loro vita passata. L’identità
più rilevante e proprio quella di Sara. È la figlia di DiKann.»
«Il demone
DiKann? Il re del Primo Inferno?»
Patrick annuì.
Non ricordava se in passato aveva parlato a Kaspar del demone, ma lui sembrava
comunque ben informato. «Il vero problema è che questo ritorno della memoria
passata ha avuto degli strascichi. Almeno per quanto riguarda per Sara.»
«Puoi essere più
preciso?»
«La ragazza,
passami il termine, è perseguitata dagli spiriti di coloro che ha ucciso nella
sua precedente esistenza. Mi ha confessato di aver ricevuto due volte loro
visite e hanno cercato di farle del male.»
«L’hanno
aggredita fisicamente?» domandò Kaspar incredulo.
«Da quel che ho
capito sembra di sì. Ed è questa l’altra questione di cui volevo parlarti»
disse Patrick. «Quando è venuta da me era sconvolta e spaventata. Ho cercato di
rassicurarla, ma devo saperlo da te, e devi essere sincero: Sara corre dei
rischi?»
Kaspar si fermò
a riflettere. Patrick lo osservò leggere nuovamente la parte di informazioni
che gli aveva riassunto, poi alzò il volto e attraverso le lenti degli occhiali,
lo scrutò negli occhi. «In una situazione normale ti risponderei che Sara non
ha niente da temere. I soggetti con il dono di evocare gli spiriti dei morti
sono i più a rischio di subire gli effetti della rabbia dello spirito
richiamato e Sara non è uno di essi. Inoltre, in generale, bisogna possedere un
talento psichico per rientrare nei casi che possiamo definire da “bollino rosso”.» Fece
una pausa come a mettere lui stesso insieme i pezzi del suo discorso. «Tuttavia,
la situazione in cui si trovano Sara e i suoi amici è particolare. Aver avuto
accesso ai ricordi di un’altra vita è un caso unico, non saprei dire con
certezza a che conseguenze può portare.»
«Quindi… devo
preoccuparmi?»
«Se Sara è
riuscita a venire da te per raccontartelo, dovrebbe essere in grado di
gestirli» spiegò Kaspar. «Per sicurezza, mi consulterò con i miei colleghi per
saperne di più. Ma se dovessi avere il dubbio che questi spiriti rappresentano
un problema, porteremo Sara al C.E.N.T.R.O. dove potremmo seguirla più
attentamente.»
Patrick valutò
quell’affermazione. Non era favorevole all’ingresso di Sara in quell’istituto,
però voleva che fosse al sicuro e lui non aveva i mezzi per proteggerla in
maniera adeguata. Per di più quella proposta gli fornì l’occasione per scoprire
se Kaspar era responsabile della mancanza di ricordi specifici.
«D’accordo ti
terrò aggiornato. E se si presentasse questa urgenza, sarà anche la mia
occasione per poter finalmente vedere come è fatto il C.E.N.T.R.O.»
Kaspar lo fissò
per una frazione di secondo, quindi aprì la borsa ai suoi piedi e sistemò i
vari fogli in apposite cartelline con sopra stampato il nome di ognuno dei
ragazzi. «Certamente. Comunque, posso portarti a vedere la nostra struttura
quando vuoi. Anzi, è una mia mancanza non averlo ancora fatto.»
Patrick rimase
interdetto. O Kaspar era un bravissimo attore, o era davvero convinto di quello
che aveva appena detto. E non ricordava assolutamente di averlo già ospitato al
C.E.N.T.R.O. dopo che gli aveva portato Leonardo, il paziente di cui ignorava
l’identità.
«Si è fatto
tardi. Devo andare» disse il professor De Santi, porgendogli la mano.
Lui la strinse e
lo accompagnò alla porta. Cercò di dissimulare i suoi dubbi, ma salutandolo distrattamente
non riuscì a cancellare la convinzione che qualcuno avesse agito alle sue
spalle.
Kaspar montò in
auto. Buttò la borsa sul sedile del passeggero e si sistemò l’auricolare
bluetooth, collegandolo al cellulare. Compose il numero e poi ripose il
telefono in tasca. Mentre nel suo orecchio sinistro si ripeteva il suono della
linea libera, girò la chiave nel cruscotto e accese il motore.
«Pronto Kaspar?
Come è andata?» gli domandò una voce femminile.
«Tutto liscio.
Non ha fatto molto, ma credo che inconsciamente mi ha fornito una notizia
interessante.» Girò il volante. «I ragazzi sono gli Alpha.»
«Ne sei sciuro?»
Kaspar sorrise.
«Sicurissimo. Una di loro è la figlia di DiKann.»
La donna
dall’altro capo del telefono fece un lunga pausa. «In effetti il numero
coincide. Sono in sei. Proprio come gli Alpha.»
«Sei?» ripeté. «Cosa
dici? I ragazzi sono in cinque.»
«Mi prendi in
giro? Sono in sei. Mi hai raccontato tu di averli individuati i mesi scorsi,
lavorando come consulente nella loro scuola. Ho qui sotto gli occhi i dossier con
i loro nomi: Naoko, Davide, Yuri, Sabrina, Sara e Leonardo.»
«Aspetta, non
c’è nessun ragazzo di nome Leonardo» ribadì Kaspar.
«Sì, il gemello
di Sara» insistette la donna. Il suo tono era preoccupato. «Kaspar, sei sicuro
di star bene?»
«Sì. Ora,
scusami ma devo lasciarti. Credo di sapere cosa sta succedendo. Devo far visita
a una mia vecchia conoscenza.» Chiuse la comunicazione e sterzò velocemente.
Andò in retromarcia e fece inversione, cambiando il suo percorso. «Credevo che
quel passato fosse un capitolo chiuso, ma alla fine le nostre strade tornano a
incrociarsi.»
Kaspar pigiò il
piede sull’acceleratore e arrivò in pochi minuti nella strada che portava al Portale Mistico. Parcheggiò poco vicino
all’entrata e scese dal mezzo come una furia.
Con la stessa
foga spalancò la porta e si trovò il proprietario di spalle che sistemava della
merce sugli scaffali.
«Buongiorno. In
cosa posso...» Angelo Moser si fermò di colpo, la sua cordialità scomparve
trovandosi faccia a faccia con lui. «Cosa ci fai tu qui?»
Kaspar lo
squadrò furioso. «Pensavi che non
sapessimo di te? Ti controlliamo da un pezzo. Sei stato tu, non è vero?»
«Di cosa stai
parlando?»
«Non fare
giochetti con me. I ricordi dei ragazzi. I mezzo demoni che scatenarono la rivolta
di DiKann e del suo esercito di demoni e che l’Ordine ha fatto rinascere. Sei
tu che hai dato loro gli strumenti per avere i ricordi. Ti sei messo in mezzo,
come fa sempre l’Ordine e una di loro ne ha pagato le conseguenze. Qualcosa è
andato storto e potrebbe essere in pericolo, preda degli errori del suo
passato.»
«Non sono affari
che ti riguardano» replicò l’altro impettito.
«E la memoria
che mi hai cancellato? Anche quella non mi riguarda?»
«Ti ripeto che
non so a cosa ti riferisci e in ogni caso non sono più tenuto a darti
spiegazioni» rispose secco Angelo. «Vai fuori dal mio negozio.»
Kaspar lo guardò
con aria di sfida. «Non finisce qui. È meglio per te se il responsabile è un
altro.» Si girò e uscì quasi correndo. Rimontò nell’auto e partì come un
fulmine, sgommando sul cemento.
«A quanto pare
ho fatto bene a tenere d’occhio questo posto.» Nascosto sul tetto di un edificio
lì vicino, Carovus osservò l’auto di Kaspar che sia allontanava dal negozio.
Pur non conoscendo l’uomo che era entrato come un selvaggio, doveva essergli
grato per le informazioni che aveva portato con sé.
Grazie al suo
udito sviluppato dalla trasformazione demoniaca, aveva sentito ogni parola
della discussione tra i due uomini, come se si trovasse in mezzo a loro.
Non era importante
che non avessero fatto il nome della ragazza di cui parlavano. Sapeva che si
trattava di Sara Martini. L’unica minacciata dal suo passato era al figlia di
DiKann: la mezzo demone con le mani sporche di sangue e indebolita dalla sua
parte umana.
Carovus saltò
sul tetto alla sua destra e poi su un altro e su uno ancora. Continuò così
diretto alla villa che condivideva con Gabriel.
«Devo accelerare
i tempi » disse. «La principessa non resisterà ancora a lungo e prima di allora,
devo aver già recuperato il Ritus.»
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