lunedì 21 agosto 2017

Darklight Children - Capitolo 46


CAPITOLO 46
Mutazione imprevista

 

Gabriel Asti saltò la cancellata che circondava Villa Asti, gettandosi all’interno del giardino come un animale in fuga.
Spalancò la porta d’ingresso ed entrò, camminò incurvato in avanti, a quattro zampe come una bestia. Andò diritto in bagno, riprese la posizione eretta e accendendo la luce, guardò con orrore il suo volto riflesso nello specchio dell’armadietto dei medicinali.
Non si era ancora abituato alla deformazione. La sua testa si era allargata per far posto ai nuovi organi comparsi: le corna da ariete che gli partivano dalle tempie; le zanne acuminate, spuntate in aggiunta nel mezzo del normale numero di denti; le squame dure e verde duro, che sostituivano la sua pelle curata; gli occhi gli sembravano più piccoli, ma avevano mantenuto il colore naturale. 
«Maledizione» ringhiò, pulendosi il sangue rappreso ai lati della bocca con il dorso squamoso della mano tozza, e anche la voce che uscì fu diversa dal solito. Non più un tono suadente, ma un suono gutturale. Quella mutazione inaspettata era avvenuta rapidamente, quasi due mesi prima, poco dopo che il Ritus era stato ridotto in cenere.
Gabriel si era nascosto in casa, non facendosi vedere  neanche dai suoi coinquilini Luciano e Miki, ma da un mese e mezzo quel problema non si era più posto. I due erano scomparsi senza lasciare traccia e andarli a cercare si trovava all’ultimo posto nella sua lista delle priorità. Aveva altri problemi di cui occuparsi. Da quando si era trasformato in quel mostro, era posseduto da una fame incontrollabile. Aveva ucciso quasi tutti i volatili che giravano nei dintorni e dopo ogni caccia e pasto, non riusciva a sentirsi sazio.
Per quel motivo quella sera, approfittando del buio che celava in parte il suo nuovo aspetto, era uscito a cacciare, tornando in città nello stesso parco dove aveva aggredito un uomo, dovendosi però accontentare del suo cane come spuntino. Di nuovo non era stato fortunato. Anche stavolta aveva trovato solo una paio di gatti randagi, senza esserne soddisfatto.
Gabriel scagliò un pugno contro il vetro dello specchio con la mano destra, anch’essa squamata, provvista di artigli scuri. «Perché mi hai fatto questo DiKann? Mi punisci per aver perso il tuo dannato libro?» domandò alla sua immagine frammentata.
Come le decine di volte precedenti, non ricevette alcuna riposta. Qualcosa però si agitò nella sua mente. C’era un luogo in cui poteva andare per avere delle risposte. Avrebbe dovuto pensarci già da tempo, ma la sua parte bestiale aveva sempre preso il sopravvento.
«Un negozio di magia è il luogo ideale per trovare la spiegazione alla mia trasformazione in demone» disse sogghignando e il riflesso frantumato nello specchio assunse un espressione ancora più grottesca.

Angelo Moser appoggiò svogliatamente i gomiti sulla superficie del bancone del suo negozio di magia, il Portale Mistico. E come ogni sera era deserto. In realtà lo era pure durante il giorno, ma in realtà non era la mancanza di clienti a preoccuparlo.
Purtroppo non tutti i piani vanno a buon fine pensò Angelo. Uno dei ragazzi che era stato inviato a controllare e guidare era morto e da quel giorno nessuno dei suoi compagni si era più fatto vedere nel negozio. Ogni giorno lo teneva aperto fino a tarda sera, non tanto per incrementare gli affari, ma illudendosi e sperando che almeno uno di loro facesse capolino dalla porta.
Rassegnato, Angelo guardò l’orologio al polso. «Anche oggi è stato del tutto inutile.» Si spostò dal bancone e andò verso l’entrata. Girò il cartello su CHIUSO e si diresse sulla destra per spegnere l’interruttore centrale delle luci.
Al buio, illuminato solo dal tenue bagliore dei lampioni all’esterno, sentì un rumore provenire dal cancello che circondava l’edificio. Mise le dita sulla maniglia, ma qualcosa di fulmineo spalancò la porta. Gli piombò addosso e lo fece cadere a terra sulla schiena. 
«Non fare scherzi» gli intimò una figura massiccia, quasi sdraiata sopra di lui.
Angelo annusò controvoglia il suo alito. Puzzava di rancido e carne morta. Mentre la sua voce gli parve troppo cavernosa per essere di un semplice essere umano. «Cosa sei?»
«Quello che sembro.»
L’uomo strizzò gli occhi e gli parve di vedere un colorito verdastro dipingere l’intero corpo della creatura. Scorse anche un paio di corna e bava luccicante impigliata tra le sue zanne. «Un demone.»
«Sì. E tu devi farmi tornare normale.»
«Non capisco cosa intendi.»
Il demone lo sollevò di peso dal pavimento e lo sbatté contro il bancone. «Non fare giochetti. Hai un sacco di roba qua dentro. Dammi qualcosa che mi faccia tornare uomo!»
Angelo intuì cosa intendeva, ma non riuscì a credere al suo stesso pensiero. Per accertarsene doveva avere più luce. «Illuminae Solarae» gridò.
L’oscurità cessò all’istante e una luce bianca e accecante si diffuse in tutto il locale.
La creatura balzò all’indietro, lasciandolo libero. Prima che si coprisse gli occhi, lui riuscì a riconoscere il suo sguardo. Era quello di un essere umano. O meglio, di chi lo era stato fino a poco tempo prima.
«Ormai è troppo tardi» gli disse. «Giunto a questo stadio, per te è impossibile tornare indietro. Il tuo cambiamento è irreversibile.»
«Non è vero!» urlo il demone, rimanendo sempre indietro e con il braccio ricoperto di squame a coprirgli in parte il volto. «Ho già subito mutazioni. Una volta sono morto in questo posto e DiKann mi ha resuscitato. Ci deve essere una soluzione anche a questo!»
«Tu sei morto qui? Allora eri uno degli uomini della setta. Lavoravi per Oliver Barbieri.»
A sentire quel nome la bestia ruggì e si scagliò in avanti per aggredirlo. Lui fu più veloce. Gridò: «Diniegos» e l’essere fu sbattuto violentemente all’indietro, colpendo una libreria e rovesciando il contenuto dei suoi scaffali sul corpo non più umano. «Non sto mentendo. Ma quell’uomo da solo non poteva ridurti così. Cosa ti è successo?»
Il demone non gli rispose, si scansò da dosso libri, candele e ninnoli, saltò in avanti e cercò di assalirlo di nuovo. Prima che potesse afferrarlo, Angelo si mise la mano sinistra sugli occhi e disse: «Lux.»
La luce si intensificò, diffondendo calore nella stanza, tanto che rivoli di fumo si alzarono dalle squame del demone. Confuso, accecato e spaventato, si lanciò verso la porta e scompari nel buio della sera.
«Eclissae» disse l’uomo e il negozio sprofondò di nuovo nel buio. Avanzò lentamente verso la porta e si accertò che non ci fossero altre sorprese lì intorno. Era stato fortunato a riuscire a metterlo in fuga, soprattutto perché non era preparato ad affrontare niente del genere. «Se Oliver Barbieri era in grado di tramutare gli uomini in demoni, ha ottenuto quel potere da DiKann. Solo demoni antichi come lui possono permettere metamorfosi di quel tipo. Mi chiedo quanti di loro sono in giro per la città.»
Nel silenzio che lo circondava, Angelo temé che avrebbe scoperto fin troppo presto la risposta.

Per la seconda volta in quella serata, Gabriel si ritrovò a tornare a casa infuriato per il fallimento. Il proprietario del negozio di magia si era già dimostrato un avversario pericoloso in passato, ma era convinto che la sua nuova situazione, gli desse un notevole vantaggio.
Superò con un unico salto il cancello della sua villetta e non appena planò sull’erba sentì che c’era qualcosa di diverso. Il suo olfatto era potenziato dopo la trasformazione e negli ultimi tempi lo guidava e gli forniva informazioni importanti, prima che potessero farlo gli altri sensi.
Gabriel annusò una seconda volta, l’aria, inspirando lento e capì di non essere solo. Un intruso si era intrufolato nella sua proprietà. Era un odore strano, non gli ricordava niente che conosceva, ma era ancora affamato e non gli importava: aveva la possibilità di non andare a letto a stomaco vuoto.
Si mise a quattro zampe e proseguì seguendo la scia di quell’odore. Spinse la porta d’ingresso e questa si aprì senza fare alcun rumore. Ormai non chiudeva più a chiave, non temeva nessuno, erano gli altri a dover aver paura di ritrovarsi soli con lui. Attraversò il corridoio al buio, scoprendo di non aver bisogno di accendere le luci: un altro effetto di quando era la parte animale a prendere il comando. I suoi occhi lo guidavano con sicurezza nell’oscurità, come una naturale vista a infrarossi
Gabriel andò sicuro in cucina e si fermò sull’uscio. Il frigorifero vuoto era sprovvisto dello sportello, lo aveva sradicato in uno dei suoi primi eccessi d’ira per la mancanza di cibo, la luce interna dell’elettrodomestico illuminava debolmente la stanza, rivelando l’aspetto del misterioso sconosciuto.
Una creatura simile a lui ma con squame blu e un paio di corna nere a punta, lo fissava con la bocca allargata in quello che poteva sembrare un sorriso. «Finalmente, sei tornato. È da un po’ che ti aspetto.»
«Chi sei?» ringhiò Gabriel digrignando i denti.
«Per te sarò un maestro.»
Infastidito dalla mancanza di informazioni dello sconosciuto, Gabriel reagì come faceva sempre di recente. Si lanciò verso il suo ospite non invitato, pronto a morderlo come una qualsiasi altra preda.
L’altro demone lo afferrò all’istante per il collo, con la sola mano destra e lo gettò contro il muro. «A quanto vedo sei ancora nella fase “istinto animale”.»
« Che vuoi? Chi sei?» chiese, mentre cercava di rimettersi in piedi.
«Ricominciamo da capo.» L’altro demone gli si avvicinò e parlò lentamente, come se stesse spiegando qualcosa di complicato a un bambino. «Non sono un tuo nemico. Sono stato mandato qui per aiutarti. A insegnarti a gestire questa tua nuova… be’ chiamala come preferisci.» Uscì dalla cucina obbligandolo a seguirlo.
Gabriel entrò in salotto dietro di lui, fremendo per la rabbia. «Hai almeno un nome?»
«Ne ho avuti molti» rispose, sedendosi comodamente sul divano. «Quando ero umano mi chiamavo Carlo e a dirla tutta è così che mi hai conosciuto. Facevo parte anche io della setta del professor Barbieri.»
Gabriel lo squadrò attentamente rimanendo in piedi di fronte  a lui. «Non mi ricordo di te.»
«Ti rinfresco la memoria» disse, sporgendosi in avanti. «Non ero uno dei preferiti del nostro capo. Svolgevo i lavoretti che mi dava, ma ero solo uno dei tanti. L’ultimo incarico che mi affidò fu di prelevare uno dei gemelli dalla camera di ospedale in cui era stata ricoverata. Barbieri non aveva spiegato molto del suo piano a me e al mio compagno, ci disse solo che dovevamo metterla in una situazione di pericolo per testare una sua teoria. Così, quando ha cercato di scappare dalla macchina su cui l’avevamo caricata, ho pensato di alzare un po’ il tiro. Purtroppo suo fratello comparve all’improvviso e dopo che lo vidi, ebbi solo il tempo di rendermi conto che non ero più sulla Terra.»
Gabriel sgranò gli occhi. Un minuscolo ingranaggio si era mosso nella sua memoria. «Ora ho capito chi sei: quello che il ragazzo ha fatto sparire. Il tuo compagno continuava a blaterarlo, quando è tornato alla base. Neanche Oliver Barbieri sapeva dove ti avesse spedito il moccioso e a giudicare dal tuo aspetto, non deve essere un bel posto.»
«Dipende dai punti di vista. In ogni caso mi ha mandato dove ho potuto imparare molto. Sono finito nel regno di DiKann, il Primo Inferno, e lì mi è successo in pochi istanti quello che a te è accaduto nel corso di mesi. Il demone impiantato dentro di me è emerso, e grazie alle energie di quel reame, sono riuscito a controllare e a sfruttare la mia nuova forma in breve tempo.» 
«Se è vero Carlo, perché sei ricomparso solo adesso?»
«Il nostro Signore sperava che fossi tu a portare a termine il suo piano. Ha aspettato pazientemente, ma quando ha saputo che avevi fallito e perso il controllo, mi ha inviato perché ti istruissi e ti aiutassi a finire il lavoro. E ora mi chiamo Carovus. È questo il mio nome nella nuova identità di demone. Dovresti sceglierne uno nuovo anche tu, posso darti dei consigli.»
«Comincia con spiegarmi come e perché mi sono trasformato in un demone» ruggì Gabriel, pronto a saltargli alla gola, anche per mettere in chiaro che non accettava di essere retrocesso dal ruolo di comandante.
«Ogni cosa a suo tempo» rispose Carovus, guardandolo con superiorità. «Prima dobbiamo ritrovare tutti quei poveretti che sono nella tua situazione: inconsapevoli del grande cambiamento che stanno vivendo. Dobbiamo radunarli e prepararli per la liberazione di Re DiKann. E per farlo, devo iniziare a con l’insegnarti a gestire il tuo nuovo lato animale.»
Gabriel tento di placare l’ira e cercò di incrociare a fatica le braccia davanti al petto. «E di preciso cosa intendi fare?»
Carovus mostrò un ghigno, non diverso dal suo. «Ti insegnerò come diventare da preda a predatore. Dopodiché, passeremo dalla teoria alla pratica e andremo a caccia dei ragazzini che ti hanno creato tanti problemi. E ce ne sbarazzeremo.»
L’idea di un massacro placò Gabriel e gli fece tornare il buon umore.

 

                                                              Continua…

lunedì 7 agosto 2017

Darklight Children - Capitolo 45


CAPITOLO 45
Senza pace di giorno e di notte

 

Il profumo dell’erba appena tagliata si insinuò delicatamente nelle sue narici. Sara  era a piedi nudi e camminava tranquillamente mano nella mano con suo fratello Leonardo.
Si trovavano in un immenso campo di girasoli, tutti in fila uno accanto all’altro, con i lunghi gambi che dondolavano sotto la carezza della brezza leggera. Il centro del fiore cambiava lentamente tonalità, quando si avvicinava ai petali larghi e gialli, passando da un verde scuro fino ad arrivare a un’arancione tenue.
I fili d’erba radi e sottili, solleticavano la pelle delle piante dei piedi di Sara. «Dove stiamo andando?»
«È una sorpresa» le rispose Leonardo.
«Dammi almeno un indizio.»
«Ci siamo quasi.»
Un telo a quadretti rossi e bianchi era steso sul terreno, circondato dai fiori colorati e con sopra un cestino di vimini beige. Una serie di contenitori bianchi con il coperchio trasparente erano disposti in ordine sparso in mezzo al telo, e accanto a ognuno c’era una forchetta di plastica.
«Ti piace? È da un sacco di tempo che non facciamo un pic-nic, io e te da soli» Leonardo allargò il braccio sinistro per mostrale la sua opera.
«Non ricordo di averne mai fatti insieme.»
«Su, accomodati» la sollecitò, porgendole la mano destra. La fece sedere sul telo e si inginocchiò. Estrasse poi dal cesto una coppia di bicchieri dal collo fine e una bottiglia di vino bianco. Esercitò una leggera pressione sul tappo e lo sollevò, versò il contenuto in un bicchiere dalla pancia e lo consegnò a sua sorella.
«Da quando hai iniziato a bere vino?» domandò stupita.
«Non saprei… ma la vita è troppo breve e ho deciso di provare prima che sia troppo tardi.» Si versò mezzo bicchiere a sua volta e lo alzò verso il cielo sereno, per brindare. «A noi due! Destinati a essere gemelli inseparabili.»
Sara avvicinò il suo bicchiere, facendolo tintinnare. Lo portò alla bocca e bevve un sorso. Fissò rapita per pochi secondi le bollicine che salivano in superficie, poi posò nuovamente lo sguardo su Leonardo e ne rimase sconvolta.
Il ragazzo stringeva il suo bicchiere nella mano sinistra, mentre con la destra si tamponava una ferita sanguinante in pieno petto. I rivoli di sangue correvano come fiumi in piena, attraversavano il suo busto e scendevano lungo le cosce, dando origine  a piccoli affluenti che terminavano sui piedi.
«Cosa ti succede?» urlò allarmata.
Lui la guardò dritta in volto, puntò l’indice della mano macchiata verso lei e con rassegnazione, disse: «Tu.»
Sara abbassò lo sguardo e scoprì di stare stringendo un pugnale con la lama sporca di sangue, nella mano in cui poco prima reggeva il vino. «No, non è vero!»
Il sangue non accennava a fermarsi e il suo fluire s’ingrossò, raggiunse il telo imbandito e fagocitò ogni oggetto, come le onde rubino di un mare in tempesta.
Sara si alzò terrorizzata, mentre i petali dei girasoli diventavano fiamme alte e minacciose, che consumavano l’ambiente circostante. Corse verso Leonardo, ma lui si accasciò al suolo e la sua figura divenne evanescente, fino a scomparire tra il fumo dell’incendio.

Seduta sul pavimento con la schiena contro il muro, Sara spalancò gli occhi guardando con attenzione il luogo in cui si trovava. Si era rifugiata nel magazzino del Full Moon, da poco fatto ristrutturare dai genitori di Yuri, dopo che il loro scontro l’aveva danneggiato.
Nessuno sapeva la verità su quell’incidente e  si trovava in quel luogo per una sola ragione: era l’ultimo in cui aveva visto suo fratello.
Si morse il labbro inferiore per non ricominciare a piangere. Era una reazione inevitabile, ogni volta che tornava con il pensiero a lui. Le prime lacrime iniziarono comunque a inumidirle gli occhi. Fissò il muro ritinteggiato di fronte a sé, dandosi della stupida e scorse una strana figura. La visuale era appannata, i contorni erano fugaci, ma la sagoma che si delineò in pochi secondi, le era familiare. Spalancò la bocca incredula. Leonardo era a mezz’aria, a pochi centimetri da lei.
«S…Sara...» sussurrò la figura.
D’istinto Sara si coprì gli occhi con le mani. Le lacrime sgorgarono sulle guance e urlò:  «No! Non ce la faccio!» Non riusciva più a sopportare gli scherzi della sua mente, da un mese e mezzo il rimorso la tormentava accompagnato da illusioni e allucinazioni simili.
«Basta!» Allontanò lentamente le mani dagli occhi e scoprì che, come era logico,  non c’era nessun altro, era completamente sola. «D’ora in avanti, sarò sempre sola» si disse. Si rese conto di essere stata una privilegiata, perché fin da quando era nata era stata affiancata a qualcuno, ma adesso poteva contare unicamente su se stessa. La forza per andare avanti, doveva trovarla dentro sé.
Non poteva neanche incolpare qualcuno. Era stata una sua scelta tagliare fuori tutti gli altri da quel dolore e ora doveva accettare le conseguenze. Quando la situazione si faceva pesante, però si rifugiava sempre lì, scoprendo di non aver ancora imparato a convivere con quel dolore.
Sara si strofinò gli occhi e attribuì l’incubo, e anche quella visione, alle continue notti insonni in cui si rigirava nel letto senza sosta. Si rimise in piedi e i capelli neri le ricaddero sulle spalle. In realtà c’era qualcuno con cui poteva condividere la sua angoscia, anche se non ne aveva tanta voglia. Gli unici che erano stati responsabili di quella decisione insieme a lei e che la stavano aspettando davanti all’entrata del Full Moon.
Si tastò un’ultima volta il viso, per essere certa che non ci fosse più traccia delle lacrime. Trasse un lungo sospiro e chiuse gli occhi. La brezza del teletrasporto l’avvolse e scomparve dal magazzino.

Sabrina notò Yuri solo davanti all’ingresso del Full Moon. È la mia occasione per parlargli pensò. Velocizzò il passo per raggiungerlo, appena gli fu accanto, disse: «Sei in anticipo anche tu?»
Yuri si voltò. «Uh… sì.»
«Gli altri arriveranno sicuramente tra poco. Non c’è mai l’occasione per restare soli e vorrei parlarti in privato» disse tutto d’un fiato, prima che potesse interromperla, come era successo negli ultimi tempi. «Dopo che siamo stati insieme… non abbiamo avuto il tempo di discutere della nostra situazione.»
«La nostra situazione?» ripeté aggrottando la fronte.
«Sai cosa intendo. Con tutto quello che è successo dopo, non abbiamo avuto modo di parlarne apertamente, ma immagino che tra di noi sia cambiato qualcosa.»
Yuri la fissò interdetto. «Non voglio offenderti e nemmeno darti un’idea sbagliata. Devi aver frainteso quello che è accaduto. Credo che il modo migliore per definire quello che c’è stato tra di noi, sia “un momento di debolezza”.»
«Come? Ma io pensavo che…»
«Davo per scontato che fossi d’accordo con me di non pensarci più» la interruppe. «Eravamo sconvolti e ci siamo consolati a vicenda.
Sabrina non riuscì a trattenere la rabbia. «Tutto qui? Mi stai dicendo che è stata solo una sc…»
«Ehi ragazzi! Siete già qui» Davide comparve, avanzando verso di loro. Si accorse poi delle loro facce imbarazzate e aggiunse: «Ho interrotto qualcosa?»
«No, niente» rispose Yuri.
Il ragazzo si allontanò e seguendolo con lo sguardo, Sabrina vide che Sara era appena comparsa dal nulla e lui le stava andando incontro.  
«Manca solo Naoko. Andiamo dentro ad aspettarla. Qui fa troppo freddo.» Yuri fece un cenno con il capo a lei e Davide ed entrò con Sara nel Full Moon.
Sabrina li fissò sentendo di essere sul punto di scoppiare, ma non voleva correre il rischio di attivare i suoi poteri telecinetici e fare un disastro. Strinse i pugni e si calmò, per quanto le era possibile. Avanzò verso l’entrata e scorse Davide alzare le spalle con noncuranza e seguirla.
Si diressero sicuri verso l’ultimo tavolo in fondo al locale, che da un mese e mezzo era diventato la loro postazione abituale. Rimasero in silenzio per diversi minuti, ognuno assorto nei propri pensieri. Sabrina non riuscì a non fissare Sara e Yuri: la tensione tra loro sembrava svanita.
«Per quanto andremo avanti così?» domandò all’improvviso Davide.
Tutti e tre si voltarono verso di lui.
«Cosa intendi?» chiese Sara.
«Questa storia di ritrovarci qui, ogni settimana per la riunione commemorativa» rispose, mimando due virgolette nell’aria con le dita. «Abbiamo provato a tenere questa cosa tra di noi. Non parlarne con altri però non sembra funzionare.»
«E cosa vorresti fare?» chiese Sabrina.
«Potremmo annullare quell’incantesimo.» E puntò lo sguardo su Sara
«No. Questa è l’unica soluzione per non dover dare spiegazioni. E poi così nessun altro dovrà soffrire» rispose lei. «Non torneremo indietro.»
Davide sbuffò. «Sei peggio di un disco rotto. Se non ne parliamo con qualcuno all’infuori del gruppo, finiremo con l’impazzire.»
«Basta. Lasciala in pace» s’intromise Yuri. «Questa è la nostra decisione. Discussione chiusa.»
Sabrina lo fissò infuriata. «Ha deciso solo lei» gli ricordò. «La nostra opinione non le importava.»
Sara le rispose con la voce carica di  rancore. «E tu eri la migliore amica di mio fratello? Tra tutti dovresti essere quella che capisce il perché della mai decisione.»
«Ragazze non è il caso di litigare tra di noi» disse Yuri.
Sabrina notò, però, che lo sguardo di rimprovero era solo per lei.
«Visto? Non riusciamo a gestire questa storia» replicò Davide.
«Dovremo imparare alla svelta a farlo perché abbiamo problemi più gravi.»  Naoko si sporse sul tavolo, annunciando il suo arrivo e fece segno a Yuri di spostarsi un po’ per farle posto. Prese una sedia dal tavolo vicino, aprì il quotidiano che reggeva sotto il braccio e lo passò agli altri. «Andate a pagina quindici. Il trafiletto in basso a sinistra.»
Yuri aprì il giornale tra lui e Sara, Sabrina si avvicinò, imitata da Davide, e lesse ad alata voce: «“Strane aggressioni alla periferia della città. Un uomo a passeggio con il suo cane afferma di essere stato aggredito, intorno alle ore venti, nel parco vicino alla sua abitazione da un essere mostruoso e bestiale simile a un demone. L’uomo è riuscito a fuggire all’aggressione e ha dato l’allarme tramite il cellulare. Quando sono arrivati  i soccorsi e li ha condotti sul luogo, hanno trovato l’animale dell’uomo ridotto a una carcassa esangue.”» Si interruppe e disse: «È orribile.»
Sabrina scattò in piedi. Scostò velocemente Davide e si gettò oltre il tavolo. «Spostati. Devo andare in bagno.» Si coprì la bocca con entrambe le mani e corse verso la toilette del locale. Preoccupata dall’ennesimo conato di vomito in pochi giorni.

«Cosa le prende? È debole di stomaco?» commentò Davide.
Sara lanciò uno sguardo a Sabrina che entrava in bagno e poi riportò gli occhi su  Naoko. «Che cosa a che fare questa storia con noi?»
«Nel resto dell’articolo, la vittima descrive l’assalitore dicendo che al posto della pelle aveva le squame e un paio di corna di ariete, che gli partivano dalle tempie» spiegò. «È chiaro che ha incontrato davvero un demone e noi sappiamo che questi esseri sono esistiti realmente nel passato. Siamo gli unici in grado di trovarlo e impedire che faccia altre vittime.»
«Perché proprio noi?» domandò Yuri
«Nessun altro ha i nostri poteri. Le persone normali non sanno come difendersi» rispose. «E inoltre è meglio che siamo noi a trovarlo, prima che sia lui a trovare noi.»
Sara era riluttante all’idea di dover ancora avere a che fare con quella storia che aveva sconvolto le loro vite, ma non riuscì darle torto.
 

                                                                       Continua…