lunedì 29 ottobre 2018

Darklight Children - Capitolo 83


CAPITOLO 83

Ricordo/Visione

 

Naoko  lo guardò dubbiosa. «È davvero sicuro di non aver bisogno di nulla?»
Fermo sul pianerottolo, davanti alla porta del suo appartamento, Patrick annuì. «Sto meglio» rispose, sperando che un sorriso riuscisse a mascherare il fastidio che provava per la fitta alla testa, che non accennava a svanire. «Vai a casa e fai attenzione.»
La ragazza rimase a fissarlo per pochi secondi. Il gatto nero, tra le sue braccia insieme a quello bianco, si mosse. «D’accordo. Non si preoccupi: Ombra e Scintilla stanno per svegliarsi. Forse gli anestetici che gli hanno dato sono meno forti del previsto.»
Le fece un cenno con la mano, lei ricambiò il saluto e abbandonò e scese le scale, scomparendo dopo la prima rampa.
Patrick inserì la chiave nella serratura, entrò in casa e chiuse la porta, Si appoggiò all’uscio e trasse un lungo sospiro. Aveva impiegato diversi minuti per convincerla che stava bene e poteva lasciarlo solo. Voleva che arrivasse a casa in fretta, altrimenti quello a preoccuparsi sarebbe stato lui.
Anche se Naoko aveva richiamato come scorta una schiera di felini e lui li aveva visti attenderla fuori dal palazzo, mentre lo accompagnava fino al suo appartamento, Patrick non voleva che corresse altri rischi a causa sua. 
Barcollò fino alla sua stanza e si buttò sul letto senza svestirsi. L’ambiente era illuminato dalla luce esterna, un misto di bagliore lunare e luce elettrica, che filtrava dai vetri della finestra.  Ripensò agli eventi della sera e si sentì un emerito idiota. Era andato fino al luogo in cui riposava il Sigillo per assicurarsi che Sara stesse bene ed era stato lui quello che si era fatto ferire.
«Bell’esempio di persona adulta» si disse. In realtà si vergognava per un’altra ragione. Si era quasi tradito poche ore prima. Da quando Sara lo aveva baciato e aveva cercato di fare l’amore con lui, Patrick aveva capito che non gli era indifferente.
Provare qualcosa per lei era sbagliato? In fin dei conti era maggiorenne e lui non era tanto più vecchio di lei.
«Che diavolo vado a pensare» si rimproverò, scuotendo la testa per scacciare quei pensieri.
Una fitta di dolore gli attraversò le tempie. Il colpo subito dall’arma di quella ragazza non era poi così innocuo. Si tolse i guanti di pelle e li gettò sul comodino.
Doveva concentrarsi su questi nuovi ragazzi, tenerli a bada prima che diventassero un pericolo per tutti.
Il dolore alla testa riprese a tormentarlo. Più forte, acuto e martellante. Non sapeva come calmarlo, non poteva rivolgersi a un medico. Per non correre rischi si sarebbe preso un paio di aspirine.
Tentò di sollevarsi dal materasso, ma il male lancinante al capo lo fece ricadere sulla schiena. Le fitte divennero più ravvicinate e più profonde. Era come se qualcosa spingesse per uscire dalla sua nuca. Urlò e si portò le mani alle tempie, quasi la testa stesse per scoppiargli.
Non ci fu nessuna esplosione fisica, ma le visioni riempirono la sua mente.

La casa era in fiamme. Tossì ripetutamente e poi si ricordò di Samuele. Era ancora prigioniero all’interno. Tirò l’impermeabile sopra la testa e si ributtò in quell’inferno.
Non sprecò tempo e fiato a chiamarlo, rischiava solo di inalare altro fumo e gli sarebbe stato letale.
La cucina era il punto di origine dell’incendio, ma il ragazzino era nel salone. Stava guardando la televisione. Uno strumento alimentato elettricamente. Si appiattì sul pavimento e lo scorse. Samuele era steso in terra, tra il tavolino con le riviste e il divano. Lo sollevò, avvolgendolo nell’impermeabile e lo strinse tra le sue braccia.
Guardò davanti a sé: rifare il percorso al contrario sarebbe stato più complicato. Si erano scatenate fiamme dovunque.
Il fuoco divampava ed era abbagliante.
Tanto da spingerlo a chiudere gli occhi. Li riaprì ed era altrove.
Camminava nei grigi corridoi del C.E.N.T.R.O., fissando le pareti ai due lati. Non era certo il posto più allegro dove far crescere dei ragazzini. Magari abbellirlo un po’ con qualche poster avrebbe fatto la differenza. Mentiva a se stesso per non accettare la realtà. Comunque la dipingi, una prigione, rimane una prigione.
Girò la manopola della stanza adibita ad aula. Gli altri ragazzi se ne erano già andati, ma Samuele era ancora lì: seduto da solo dietro al banco.
Si piegò sulle gambe, in modo che i loro volti fossero alla stessa altezza.
«Ti sei dimenticato di nuovo del nostro appuntamento.»
Samuele non rispose.
«Lo sai che è per il tuo bene. Per evitare altri incidenti.»
«Voglio andare a casa» disse Samuele.
«Lo so e ti riporterò io personalmente» rispose. «Ma prima dobbiamo insegnarti a  controllare il tuo dono. Non possiamo rischiare che tu faccia del male a mamma o papà.»
«Non è vero! È una bugia.» Samuele scattò in piedi e corse verso la porta.
«Samuele!»
Il ragazzino si bloccò. Si girò lentamente e lo guardò con disprezzo, come può disprezzare un ragazzino della sua età. «Stai mentendo. So cosa farete. Gli altri ragazzi non fanno che ripetermelo.»
Avanzò verso di lui e gli mise le mani sulle spalle. «Cosa ti hanno detto?»
«Non andrò mai via da qui. Loro sono entrati prima di me e non sono più usciti.»
Non poteva negarlo. Aveva avuto anche lui gli stessi pensieri, gli stessi dubbi. Li aveva ignorati ogni volta che erano emersi a stuzzicarlo, ma non lo avrebbe fatto questa volta. Aveva portato lui Samuele in quell’istituto e non intendeva rinchiuderlo lì.
Si accovacciò ancora davanti al ragazzino. «Facciamo un patto. Parlerò con il professor De Santi e gli chiederò spiegazioni. Mi farò confermare e giurare che una volta imparato a controllarti, sarai libero di tornare a casa tua.» Vide il barlume della speranza e della fiducia affacciarsi nei giovani occhi del ragazzino. «Però tu non devi più saltare nessuna lezione con me. Prima saprai come usare il tuo potere, prima potrò portarti dai tuoi genitori.»
«Me lo prometti?»
«Croce sul cuore» rispose disegnando due linee immaginarie sul petto.
Samuele sorrise. L’aria intorno a lui si riempì di elettricità e dal suo corpo sprizzarono scintille. Erano così  luminose…
Ancora troppa luce. Si coprì il volto, quando scostò la mano, non poteva muovere un muscolo.
Era steso su un tavolo di marmo gelido. Il freddo gli passava attraverso la pelle nuda della schiena, sul petto avevano disegnato un simbolo.
Rimase immobile, girò solo gli occhi per scrutare i presenti. Erano in cinque, tutti con una casacca viola e con il cappuccio calato sul volto. Si erano disposti in circolo intorno al tavolo, intorno a lui.
La lampada al neon illuminava debolmente la stanza. Era sufficiente per indicargli che era nel misterioso sotterraneo del C.E.N.T.R.O. Aveva sperato di non doverlo visitare in quel modo.
Uno dei cinque, quello ai suoi piedi, iniziò a recitare una formula. Sembrava un rito, qualcosa di antico. Oppure qualcosa senza senso. A ogni modo, non capiva quello che dicevano. Gli altri lo imitarono uno dopo l’altro, partendo da quello al fianco del primo, seguito da quello alla sua destra e poi da quello alla sua sinistra.
Tra di loro dovevano esserci anche una o più donne. La voce femminile si mischiava a quelle maschili e non riusciva ad identificare in quante potevano essere.
L’individuo dietro di lui, che aveva visto solo come un’ombra incombente, si mosse di un paio di passi, in modo da rientrare ampiamente nel suo campo visivo. Gli mise la mano sinistra sulla fronte e con la destra si fece scivolare il cappuccio sulle spalle.
Dal volto appariva un uomo adulto, ma non in età avanzata. Aveva i capelli castano chiari e due lunghe basette, che davano inizio a una cornice di barba curata intorno alle labbra carnose.
Gli sorrise. Non sembrava cattivo. Forse voleva rassicurarlo. Però non ci riuscì.
Era terrorizzato da quello che stava per accadere.

Patrick si rizzò a sedere sul letto come spinto da una molla invisibile, alla stessa velocità con cui escono i pupazzi dalle vecchie scatole giocattolo.
Inspirò avidamente aria sia dal naso, che dalla bocca. Uscire da quella trafila di visioni era come riemergere da un pozzo profondo.
Sudato e ansimante, cercò a tentoni i guanti sul comodino e ci fece scivolare di nuovo le mani all’interno.
Passati i primi istanti di confusione, fu pervaso da un’inaspettata euforia. Il suo corpo gli stava suggerendo la verità su ciò che la sua mente gli aveva appena offerto.
Quelle che aveva avuto non erano state comuni visioni. Erano molto di più. Non sapeva come o perché erano spuntati proprio in quel momento, ma i ricordi erano finalmente tornati da lui. Aveva assistito a eventi del suo passato, lo stesso che aveva rincorso e desiderato scoprire a lungo senza successo.
«Samuele… il C.E.N.T.R.O. e quell’uomo.»
Erano i primi pezzi del puzzle. Il ragazzino lo aveva riconosciuto dal ritaglio di giornale che aveva avuto fin dal giorno in cui era tornato dall’ospedale E se come supponeva anche gli altri due appartenevano alla sua vita prima che la mente diventasse una tabula rasa, ora poteva cominciare a ricostruire chi era stato prima del coma. Ma non poteva farlo da solo.
Patrick sorrise. Sapeva chi chiamare per ricevere aiuto.

 
Continua…

lunedì 15 ottobre 2018

Darklight Children - Capitolo 82


CAPITOLO 82

Illusione del passato

 

Leonardo si strofinò gli occhi. Aprendoli, si guardò intorno perplesso. Ricordava di aver dormito a casa di Davide, ma il luogo in cui si trovava era un altro, sbagliato.
Si rizzò a sedere sul letto e anche quel dettaglio non combaciò con i suoi ricordi. Guardò per terra e non trovò il sacco a pelo in cui si era addormentato la sera prima e che avrebbe dovuto ancora ospitarlo.
Si voltò di scatto nel letto matrimoniale. Davide dormiva al suo fianco. Entrambi erano a petto nudo, Leonardo alzò il lenzuolo e constatò sollevato che tutti e due indossavano però un paio di pantaloni. Non erano gli stessi della sera precedente, anzi non erano proprio suoi: non aveva mai posseduto un indumento di quel tipo.
Osservò nuovamente la stanza. Erano spariti i poster e le foto appese da Davide; il muro freddo color beige era spoglio e nell’angolo a sinistra, a poca distanza dalla porta, c’era un armadio in legno scuro.
Leonardo si rese conto che quella camera iniziava a sembrargli familiare. E questo lo spaventò.
«Davide! Davide! Svegliati!» Lo scrollò violentemente finché non aprì gli occhi.
«Che c’è? Che vuoi?» biascicò Davide insonnolito.
«Guarda dove siamo finiti.»
Davide si tirò su, puntellandosi sui gomiti e scrutò a sua volta la stanza. «Questa non è la mia camera.»
«No, genio, non lo è.»
«Come siamo arrivati qui?» Si girò a fissarlo confuso. «E nello stesso letto?»
«Non ne ho idea.»
Davide scostò il lenzuolo e si alzò. Fece un giro della stanza. C’era una finestra dove doveva trovarsi anche quella della sua camera, guardò all’esterno e rimase di sasso. «C’è un muro… un gigantesco muro circonda questo edificio e non è il palazzo in cui abito.» Corse alla porta e ne aprì uno spiraglio. Davanti a lui si allungava un corridoio immenso, illuminato solo da grosse candele inserite in appositi candelabri in rame, fissati alle pareti.
«Hai capito dove siamo?» domandò Leonardo.
Davide chiuse l’uscio. «Non so… tu hai qualche idea?»
Sospirò. «Temo di sì. Ripensa ai nostri ricordi sul passato, alla vita in cui eravamo Lucen e Daren…»
«Vuoi dire che siamo nella nostra stanza alla Casa dell’Ordine?» Davide si guardò intorno ancora una volta, sembrò meno allibito e più consapevole. «Hai ragione ed è nello stesso stato dell’ultima volta che ci siamo stati, prima della battaglia finale. Chi ci ha mandato qui?»
Leonardo balzò giù dal letto. «Siamo stati noi. Non lo capisci?»
«Che diavolo dici? Non abbiamo questi poteri!»
«Non lo abbiamo fatto di proposito. Quando ci siamo baciati, dobbiamo aver innescato una qualche maledizione.»
Davide inarcò un sopracciglio. «Ok, sei ufficialmente impazzito.»
Quel suo atteggiamento lo mandò in bestia. Lo afferrò per le spalle e replicò serio «Non è uno scherzo. Dopo quello che abbiamo fatto, dopo la guerra che abbiamo contribuito a scatenare, l’intera civiltà è andata a rotoli. L’Ordine ha punito me e Sara rendendoci gemelli, ma io e te eravamo suoi membri e preferendomi alla missione, hai tradito tutto ciò in cui credevamo. Non pensi che abbiano trovato un modo per tenerci lontani nella nuova vita?»
Davide lo fissò, fermandosi a riflettere.
Leonardo pensò stesse valutando il suo steso ragionamento. Lo aveva tiranneggiato per mesi prima di accettare di essersi innamorato di lui e confidarglielo, ed era una strana coincidenza che un fatto simile capitasse proprio dopo quella rivelazione. Poteva essere stato tutto progettato fin dall’inizio.
Davide si scrollò gentilmente le sue mani di dosso. «D’accordo, ammettiamo che tu abbia ragione… cosa ci guadagnano a rispedirci nel passato? Sapendo come è andata, potremmo cambiare la storia.»
«No, non possiamo» rispose Leonardo. «Anche se decidessi di non lottare contro Sara, per lei non cambierebbe nulla. In questo tempo è Sayka, non crederebbe a niente di quello che le racconterei, il suo unico interesse è vedermi morto.»
«Però possiamo convincere Naoko a non denunciarci agli Anziani dell’Ordine» rispose l’altro. «Dobbiamo rintracciarla prima che vada da loro e raccontarle tutta la storia.»
«Potrebbe funzionare» concordò Leonardo. «Ma i miei ricordi di questo tempo sono ancora confusi. E se incontrassimo qualcuno che dovremmo conoscere e dicessimo qualcosa di sbagliato?»
Davide si morse il labbro inferiore. «Ho trovato! Usa la proiezione astrale. Funziona più o meno come il teletrasporto, giusto? Ti ritroverai all’istante nello stesso luogo in cui c’è Naoko.»
Leonardo si ritrovò a sorridere. Era stranamente rincuorante averlo accanto in quella situazione. «Buona idea.»
«E ricordati che in questo tempo si chiama Nori.»
Leonardo annuì. Chiuse gli occhi e si convinse mentalmente di volersi trovare lì con Davide e allo stesso tempo con Nori. Quando li riaprì rimase allibito.
Era in camera di Davide. Nella vera camera di Davide. Poteva vedere chiaramente se stesso raggomitolato nel sacco a pelo e Davide disteso supino nel suo letto.
«Che cosa sta succedendo?» domandò ad alta voce.
«Stanno giocando con la tua percezione del mondo.»
La donna dalla pelle chiara e i capelli castani raccolti nello chignon, che aveva già interagito con lui in sogno, comparve al suo fianco. Fasciata nello stesso abito lungo del loro precedente incontro, lo invitò a raggiungerla vicino alla finestra. «Devi stare attento a cosa guardare.» 
«Come?» Leonardo seguì il suo dito indice, indicava l’esterno della finestra. Osservando con attenzione, notò un ragazzo dai capelli biondo scuro. Era appoggiato a un muro e guardava verso l’alto, proprio nella sua direzione. Aveva quasi l’impressione che lo stesse fissando. «È lui? È colpa sua se siamo in questa situazione?»
Lei sorrise in risposta.
«Ma come è possibile?»
«Non è tanto difficile far credere agli altri di vedere qualcosa di diverso dalla realtà. Soprattutto se hanno una ragione per cadere in quell’illusione.»
«Non capisco… vuoi forse dire che siamo vittime di questa finzione, di questa illusione, perché permettiamo a questo ragazzo di condizionarci?»
La donna gli posò le mani sulle spalle. Riusciva a toccarlo anche se era nella sua forma astrale. «Hai imparato ad accettare la verità, anche se spaventa. Ora non lasciare che sia la paura a guidarti.»
Prima che potesse fare domande o ricevere altre spiegazioni, Leonardo vide l’ambiente intorno a lui dissolversi come fosse composto da fumo.
Si ritrovò di colpo nel suo corpo, in piedi di fronte a Davide, nella finta stanza della Casa dell’Ordine.
«Allora? L’hai trovata?» domandò il ragazzo.
«No.» rispose. Quella strana donna gli aveva dato un suggerimento per uscire da quel pasticcio. E anche se voleva capire come avesse fatto a raggiungerlo, e a sapere cosa stava accadendo, al momento era più urgente concentrarsi sul problema attuale. Guardò Davide negli occhi e disse: «Siamo sotto l’effetto di un’illusione.»
«Cosa? Come lo sai?»
«Quando uso la forma astrale sono proiettato fuori dal corpo, giusto? Be’ ho visto che stiamo ancora dormendo in camera tua. Tutto questo è solo un trucco da prestigiatore.»
Davide si grattò la testa confuso. «Ok, ma chi può sapere questi dettagli da riuscire a convincerci di essere tornati indietro nel tempo?»
Leonardo aveva la risposta, ma preferì omettere il coinvolgimento della donna misteriosa. «Ho controllato se c’era qualcuno con noi e fermandomi davanti alla finestra, mi sono accorto che fuori c’era un ragazzo biondo che guardava verso di me. Non idea di chi sia, ma di sicuro è opera sua.»
«Può essere un altro di quei ragazzi con i poteri. Come quelli che hanno attaccato tua sorella questa notte.» Davide camminò in giro per la stanza furioso. «Dobbiamo trovare un modo per liberarci della sua illusione, così posso prenderlo a pugni.»
Leonardo ripensò alle parole della sua alleata senza nome. L’idea iniziale della cospirazione ordita dall’Ordine non era del tutto sbagliata, però i responsabili erano loro. La sua paura per quello che poteva provare per Davide e magari anche le insicurezze del compagno, potevano aver dato al loro avversario la base per costruire la sua illusione.
«Forse ho trovato una soluzione» disse Leonardo. Si avvicinò a Davide e si fermò a una spanna da lui. «Devi fidarti di me e non fare domande.»
Lo guardò sicuro negli occhi «Va bene. Mi fido di te.»
«Devo baciarti di nuovo.»
Davide abbozzò un sorriso. « Come nelle favole? Ci baciamo e l’incantesimo si rompe?»
«Sì, in un certo senso» Abbassò lo sguardo imbarazzato. «Suona un po’ assurdo… ma può funzionare, basta che non  pensi al nostro passato, o al nostro futuro.»
«Proviamo.»
Davide chinò il capo. Leonardo alzò lievemente il suo. Le loro labbra si incrociarono ancora, unendosi in un bacio tenero e più spontaneo dei precedenti.

Leonardo spalancò gli occhi. Nella semioscurità vide il sacco a pelo che lo avvolgeva. Pochi secondi dopo la stanza fu illuminata dalla luce elettrica.
Davide era balzato fuori dal letto e aveva spinto l’interruttore. Come lui, indossava gli stessi abiti del giorno prima, ma era a piedi nudi. Poi spalancò la porta, pronto a fiondarsi all’esterno.
«Dove stai andando?» urlò Leonardo.
«A prendere quel bastardo prima che scappi» rispose Davide, da metà del corridoio.
Leonardo si liberò dal sacco a pelo e si alzò dal pavimento. Lo rincorse fuori dalla camera, anche lui a piedi nudi, lo raggiunse alla porta d’ingresso e senza chiuderla, continuò a seguire l’amico fin fuori dal palazzo. 
Arrivarono in strada quasi nello stesso istante, in starda sotto la luce dei lampioni non c’era nessuno.
«Dov’era quando lo hai visto?» domandò Davide, scrutando nelle vicinanze deserte.
«Appoggiato a quel muro. Vicino al cancello» indicò.
Guardarono entrambi attentamente, ma erano gli unici presenti. Leonardo concluse che il ragazzo si era dileguato appena aveva avvertito che la sua illusione si era infranta. Era riuscito a cavarsela.
Leonardo tirò Davide per un braccio. «Rientriamo, prima che qualcuno ci veda e ci prenda per pazzi.»
Ritornarono sui loro passi e appena varcarono la soglia di casa trovarono Paola Angeli, la madre di Davide, in vestaglia ad attenderli.
La donna li squadrò interdetta e pronta ad aggredirli. «Mi spiegate cosa sta succedendo?»

 

 Continua…

lunedì 1 ottobre 2018

Darklight Children - Capitolo 81


CAPITOLO 81

Ipotesi di complotti

 
Passeggiando frenetico avanti e indietro al cancello del palazzo in cui abitava, Leonardo si rivolse a Davide: «Perché ci mette così tanto?»
Appoggiato alle sbarre, l’altro lo osservò con le mani in tasca, più rilassato. «Stai calmo, tua sorella sarà qui a momenti.»
«Dovrebbe essere già qui. Quanto tempo è passato da quando ho messo via il telefono? Cinque, dieci minuti? Per teletrasportarsi ce ne vogliono molto meno.»
Davide distolse lo sguardo, girandosi verso la strada che portava alle rovine del negozio. Leonardo lo imitò e videro una figura avvicinarsi affannata. Sara correva affannata da loro.
«Credo che abbia scelto un altro modo per raggiungerci» gli disse.
«Perché non hai usato il potere?» le domandò Leonardo quando fu a un palmo da lui.
Ansimando e con il fiato corto, rispose: «Non ho potuto. Il teletrasporto non funziona.»
Davide abbandonò la sua postura tranquilla e si avvicinò. «Che significa?»
«Ve l’ho detto» replicò Sara, tirando grandi respiri. «Non sono riuscita a spostarmi dalle rovine.»
«È ridicolo» esclamò Leonardo. «Provo io.» Chiuse gli occhi, concentrandosi sull’andare dall’altra parte del marciapiede. Attese il vento e  il calore, ma non avvertì né l’uno, né l’altro. Aprì gli occhi allarmato.
«È successo anche a te» disse Sara.
«Provate con i vostri poteri originali» suggerì Davide.
Sara annuì. «Cercherò di fare piano.» Appoggiò l’indice e il medio destro sulla tempia e strizzò lievemente gli occhi.
Leonardo avvertì una rapida fitta alla testa e Davide si portò all’istante le mani alla fronte. Constatando il successo della sorella, si immaginò all’esterno del corpo e in baluginare di luce azzurra, si materializzò a pochi passi dai due, li osservò per un istante e ritornò subito nel proprio corpo, in tempo per non cadere sul marciapiede.
«A quanto pare gli altri poteri sono ancor attivi» disse, rimettendosi in equilibrio.
Davide si massaggiò ancora la fronte. «Quindi abbiamo un altro mistero. Tua madre che non si ricorda di te e ora la sparizione del teletrasporto.»
Sara si appoggiò con la schiena al cancello. «Mi spiegate bene cosa è successo quando sono uscita?»
«Io e Davide stavamo chiacchierando» raccontò Leonardo. «E quando stava per andarsene è spuntata mamma. Non era arrabbiata o confusa, ma ha detto che non dovevi lasciarci soli perché eravamo gli ospiti in casa. Tutti e due!»
«Magari stava scherzando.»
«No, era seria» confermò Davide. «Ha detto che eri figlia unica e a quel punto ho capito che era meglio portare via Leonardo e lei non ha fatto una piega.»
Leonardo li guardò scambiarsi occhiate incomprensibili. «Si può sapere che diavolo avete combinato? Avete fatto qualche pasticcio con quell’incantesimo della memoria?»
«Non fare l’isterico» lo rimbeccò la sorella. «C’eri anche tu quando lo abbiamo praticato ed è andato tutto liscio. Per due mesi nessuno si è chiesto chi fossi. O dove eri finito per tutto il tempo in cui ti avevamo creduto morto.»
«E allora cosa sta succedendo? Perché mamma non si ricorda di me?»
«Forse è colpa di qualcun altro» ipotizzò Davide. «Qualcuno che è intervenuto adesso, magari annullando il nostro incantesimo.»
Leonardo si mise le mani nei capelli. «Ci mancava solo questa! E a chi servirebbe cancellare di nuovo i ricordi che mi riguardano?»
Sara lanciò uno sguardo in direzione dei resti del Portale Mistico e poi tornò poi a fissarli in volto. «Forse ho un’idea. Prima che mi chiamassi, siamo state attaccate da tre ragazzi, due maschi e una femmina. Avevano drogato i gatti di Naoko, ci hanno seguito fin dentro il cancello del negozio e due di loro hanno dimostrato di avere poteri simili ai nostri.»
«Quanto simili?» domandò Davide.
«La ragazza ha creato una lancia di luce rossa e il ragazzo ci ha mandato addosso dei pipistrelli. Suppongo un potere sul genere di quello di Naoko» rispose. «Non so come sapessero di noi, o come entrare, ma volevano metterci alla prova.»
Davide incrociò le braccia sul petto. «Potrebbero essere degli altri mezzo demoni, come quelli che il consulente scolastico ha detto che rintracciano per portarli in quel posto… come si chiama?»
«Il C.E.N.T.R.O.» disse Leonardo. «Ammettiamo anche che facciano parte di quell’istituto, cosa vogliono da me? Perché giocare con i ricordi che mi riguardano?»
Sara scosse la testa abbattuta. «Non saprei, ma è chiaro che la pace è finita.»
«Possiamo contattare il signor Moser e chiedergli delle spiegazioni» propose. «Tra poco sarà qui per il suo turno di pattuglia».
«No, prima di venire da voi ho concordato con Naoko che era meglio non farlo venire  e lo abbiamo avvertito. Dopo l’attacco non sarebbe sicuro.»
Leonardo aggrottò la fronte irritato. «E io cosa dovrei fare nel frattempo? A casa non posso tornare, dove vado a dormire?»
«Vieni da me» propose Davide. «Per stanotte ci arrangiamo e poi domani pensiamo a cosa fare.
Leonardo lo guardò incredulo. «Stai scherzando?»
«Con questi nuovi ragazzi con poteri da mezzo demoni in giro, e con la perdita del tuo teletrasporto, sei più al sicuro con me» gli fece notare.
«Ha ragione. Siamo quelli più vicini al Sigillo e di sicuro non riproveranno a colpire me» disse Sara. «Ma se ci sono loro dietro la perdita di memoria della mamma, forse il loro prossimo obbiettivo sei tu. Sono più tranquilla sapendoti con Davide.»
«Ma… ma...» Leonardo avrebbe voluto replicare che era lui a non sentirsi tranquillo con Davide, ma non sapeva come dirlo senza offenderlo.
Sara lo baciò sulla guancia. «Andate.»
Leonardo guardò la sorella rassegnato. Lei gli voltò le spalle ed entrò nel cancello. La seguì con occhi supplichevoli fin quando scomparve dietro il portone della casa. Poi si girò verso Davide e lo vide fargli cenno con la testa di incamminarsi verso la sua auto.

«Fai piano» sussurrò Davide, entrando in casa. «Mia madre starà già dormendo. Se la svegliamo, parte il terzo grado.»
Lo lasciò passare e poi chiuse delicatamente la porta. Si morse il labbro inferiore sentendola cigolare, tolse le chiavi dalla serratura e gli fece strada fino alla sua camera da letto.
Una volta dentro, Davide accese la luce e accostò l’uscio. Rimase in ascolto qualche secondo. Non sentendo rumori, si girò e disse:. «Ok, pericolo scampato.».
Leonardo squadrò la stanza e notò che ovviamente c’era un letto solo. «Come ci sistemiamo?»
«Dormiamo insieme nel mio letto. Staremo un po’ stretti, ma lo abbiamo già fatto.»
Leonardo rimase a bocca aperta. Non sapeva cosa rispondere.
«Sei proprio scemo, stavo scherzando» aggiunse con un sorriso malizioso.
«Come? Cosa?»
«Ho un sacco a pelo in cui starai comodissimo, ma se preferisci che dormiamo nello st…»
«Il sacco a pelo andrà benissimo» si affretto a rispondere Leonardo. Si girò di spalle per non mostrargli il rossore che avvampava sulle guance e si espandeva nel resto della sua faccia.
Udì Davide emettere dei risolini, aprire l’armadio e frugare all’interno per estrarre il sacco a pelo. Gli passò a fianco e lo distese sul pavimento, accanto al suo letto; prese un maglione grigio da una pila di indumenti di lana e glielo lanciò.
«Mettiti questo, fa ancora freddo a dormire per terra.»
Afferrandolo al volo, Leonardo rispose: «Perché sei così gentile?»
«Che domanda è?  Se fossi un tipo sensibile, mi offenderei.»
«Sai cosa voglio dire. In passato non mi hai mai trattato con molto riguardo.»
«A parte quando sono venuto a farti da guardia del corpo contro un gigantesco demone uccello? O quando ho consultato vecchi registri, scoprendo che potevi essere ancora vivo e alla fine ti ho rintracciato?»
Leonardo sbuffò. «Quello non conta. Primo era una questione di sopravvivenza collettiva e secondo… be’ potresti non essere stato veramente tu a volermi trovare.»
Davide inarcò un sopracciglio. «Questa me la devi spiegare.»
Leonardo si lasciò cadere sul letto alle sue spalle. «Mi riferisco a Daren. Come sai che non è stata la parte di lui che è te a spingerti ad agire così?»
«Non si tratta di lui o me. Io sono sempre io. Ogni azione che compio, lo faccio di mia volontà, anche quelle di cui non vado molto fiero.» Davide si sedé accanto a lui. «Era quello che cercavo di dirti a casa tua. Ho sempre saputo cosa provavo per te. Scoprire che eravamo una coppia già in un’altra vita, mi ha solo convinto a non averne paura.»
«Non puoi esserne certo al cento per cento. Guarda mia sorella e Yuri. Erano sicuri di amarsi, ma poi si è rivelato un errore.»
«Io non ho dubbi. L’ho capito nel momento in cui ti ho baciato. Fallo anche tu.»
«Cosa?»
«Baciami» disse Davide. «Se dopo averlo fatto resterai convinto che non provi nulla per me e che tra noi non potrà mai esserci niente, me ne farò una ragione.»
«Ci siamo già baciati, non ti ricordi?»
Davide si grattò il capo imbarazzato «Ti riferisci a quella sera fuori dal Portale Mistico, dopo aver rivissuto i nostri ricordi?»
Leonardo annuì.
«Tecnicamente ti ho baciato io, di sorpresa e tu sei scappato. Quindi non conta.»
Leonardo rimase a fissarlo. Guardò il volto pacato del ragazzo dai capelli color rame, il diavolo dalla faccia d’angelo che lo aveva tormentato e gli parve diverso. Forse meritava una seconda chance. Anche se non avrebbe mai provato amore per lui, gli doveva una risposta.
«Ok, un bacio solo. E non farti venire strane idee.»
Si avvicinò lentamente a lui, gli mise la mano destra sulla guancia e abbassò le palpebre. Lui si sporse gentilmente e lasciò che loro labbra si sfiorassero. Leonardo sentì un fremito. Avvertì il calore di Davide trasmesso da quel contatto. Era piacevole e non se lo aspettava. Si ritrasse, scostando anche la mano.
«Allora?» gli chiese.
Leonardo andò nel panico. Non aveva idea di cosa rispondere. Quel bacio lo aveva confuso, anziché dargli un chiarimento.
In quegli istanti di silenzio, udirono un rumore nel corridoio. Sembravano dei passi che si avvicinavano.
Leonardo si alzò e sgusciò all’interno del sacco a pelo, infilandosi in fretta e furia il maglione del compagno. «Spegni la luce prima che tua madre ci veda e fraintenda la situazione.» Si girò sul fianco, dando la schiena all’altro.
Davide spinse l’interruttore elettrico e si coricò nel buio della stanza.
Nessuno bussò alla porta, o piegò la maniglia per entrare, ma Leonardo fu sollevato che Davide  non riprese la conversazione.

Al di fuori dei vetri della finestra, nella notte scura, qualcuno aveva spiato l’intera scena non visto. Un pipistrello rimase sospeso a mezz’aria, agitando le ali. Poi, notando la quiete nella stanza, compì una giravolta e abbandonò la postazione. Aveva eseguito il compito affidatogli dal suo padrone e ora si apprestava a fare rapporto.

 
Continua…