lunedì 26 marzo 2018

Darklight Children - Capitolo 68


CAPITOLO 68
 
Rifiutata e accerchiata

 
Patrick indossò la giacca per uscire. Non aveva più avuto notizie di Sara ed era in pensiero. Non sapeva con che scusa avrebbe giustificato la sua presenza se avesse incontrato i genitori della ragazza, ma voleva andare a casa sua e chiederle di persona se era tutto a posto.
Era davanti alla porta e cercava nel cassetto del mobile le chiavi, quando un bagliore improvviso lo fece arretrare. Prima che se ne rendesse conto, Sara gli aveva buttato le baraccia al collo e lo stringeva tremante.
«Sara! Che cosa succede?» Lei non rispose. Rimase stretta a lui, nascondendo il volto contro il suo petto. «Mi stai spaventando. Per favore calmati e  dimmi perché sei comparsa qui come una furia.»
Sara staccò lentamente il volto dalla sua camicia. «Patrick… ho fatto una cosa orribile.»
Quasi sollevandola di peso, la trascinò verso il divano. La spinse a sedersi, e continuando a tenerla tra le braccia, riprese: «D’accordo, di qualsiasi cosa si tratti non può essere tanto grave.»
«È tremendo! Ho perso il controllo! Ho attaccato i miei amici» rispose Sara con l’affanno. Era sconvolta e faticava a credere alle sue stesse parole. «Era come se fossi di nuovo Sayka. O almeno un paarte di me. Ho usato i miei poteri contro Sabrina. Volevo solo vendicarmi, non mi importava di nient’altro.»
«Vendicarti di che cosa?»
Sara si allontanò da lui. Si strinse nelle braccia, quasi a ripararsi da un colpo che stava per ferirla. «Yuri e Sabrina sono andati a letto insieme. È successo mesi fa e adesso lei è incinta.»
Patrick rimase in silenzio. Era imbarazzato. La situazione era andata oltre quello che immaginava e temeva di non poterla più aiutare. «Hai fatto del male a qualcuno? Qualcosa di… irreparabile?»
«No, ma ci sono andata molto vicino» ammise. «Ho sentito tutta la rabbia e il dolore e volevo che li provasse anche Sabrina. A quel punto è successo tutto in fretta: ho usato i poteri mentali per ferirla, ma lei ha schivato il colpo. Quando ho visto cosa poteva succederle, ho capito che non lo volevo per davvero. Non sapevo da chi andare... così sono venuta da te.»
«Hai fatto bene» rispose, posandole una mano sulla spalla. «Sei riuscita a controllare la parte di te che è Sayka. Stava per prendere il sopravvento, ma hai fatto prevalere la vera te stessa.»
«Perché mi sento comunque da schifo?» gli domandò. «Dovrei essere io quella a cui chiedere scusa e invece…»
«Non hai niente di cui vergognarti. Hai avuto un momento di rabbia, ma non sei andata fino in fondo. Devi smetterla di punirti. Tu non sei più Sayka, sei migliore e lo hai dimostrato oggi.»
Sara alzò il capo e lo guardò negli occhi.
Patrick non riuscì a interpretare quello sguardo, sembrava sollevata, riconoscente… ma c’era dell’altro.  «Posso fare qualcosa per aiutarti?»
«Fammi restare qui con te.»
Patrick annuì. «Certo. Lascia che telefoni a uno dei tuoi amici. Sono sicuro che saranno in pensiero per te.»
«No.» Sara gli afferrò il braccio e strisciò accanto a lui. «A loro non importa di me. Mi hanno mentito. Sei l’unico di cui posso fidarmi.»
Patrick aprì la bocca per ribattere. Lei si avvicinò al suo viso e cogliendolo di sorpresa, lo baciò sulle labbra.
Per pochi secondi, lasciò che accadesse. Era stato preso alla sprovvista, ma poi riprese il controllo di sé e la allontanò. «Non credo sia una buona idea.»
Sara scosse la testa. «Sì invece. Voglio stare con te.»
Gli sfilò i guanti e la giacca. Riprese a baciarlo, incominciando a slacciargli i bottoni della camicia.
«No ferma.» Patrick la spinse di nuovo via. «Sei sconvolta e arrabbiata e stai facendo una stupidaggine. Vuoi vendicarti del tuo ragazzo. Pensi che venendo a letto con me ti sentirai meglio. Ma è il contrario. Ti farà solo stare peggio.»
Sara lo fissò confusa. «Io… credevo di piacerti.»
«Ci tengo a te. E non vorrei aver fatto qualcosa per farmi fraintendere. Tu sei…» Patrick le prese gentilmente una mano e si rese conto troppo tardi di essere senza protezione. Una visione gli invase la mente.
Fu fugace, perché Sara la ritirò subito.
«Sono solo una stupida.»
Patrick stava ancora cercando di mettere a fuoco la realtà dopo l’esplosione del suo potere e non fece in tempo a fermarla. Si alzò il vento, la luce l’avvolse e ricorrendo al teletrasporto, abbandonò l’appartamento.
Si alzò dal divano barcollando, mentre davanti agli occhi rivedeva l’immagine della visione: Sara era nel negozio di magia. Il locale era deformato, come se qualcuno avesse allargato in modo sbrigativo le pareti. Tutto l’ambiente intorno aveva un aspetto grottesco. Lei sollevava il braccio destro verso il soffitto, mentre con il sinistro reggeva un libro e una luce sinistra le illuminava il volto dal basso. Con un ghigno diabolico, la ragazza rimaneva immobile e il pavimento del Portale Mistico andava in pezzi.    
Cercò i guanti, li infilò di nuovo sulle mani e risistemò camicia e giacca. Non aveva dubbi: quella scena apparteneva al futuro.
«Devo fermarla. Devo impedire a Sara di distruggere il negozio di Angelo Moser.»

Sara si ritrovò sul suo letto. Non aveva più nessun altro luogo in cui rifugiarsi. Era infuriata e offesa. Si vergognava e allo stesso tempo si sentiva persa.
«Cosa mi succede?» chiese nel silenzio e le prime lacrime le rigarono le guance. Scoppiò a piangere. Strinse il cuscino al petto, si rannicchiò e singhiozzò.
Odiava la sua vita e tutto quello che le era capitato negli ultimi mesi. Aveva perso suo fratello e per proteggere gli altri, si era negata quel dolore
E cosa ne ho ricavato?
La sua migliore amica le aveva tenuto segreto il tradimento del suo ragazzo. Yuri gentile e premuroso, che la faceva sentire speciale, per poi rivelarsi un bastardo: le era stato accanto negli ultimi mesi, mentendole ogni giorno. E come se non bastasse aveva fatto la figura della ragazzina sciocca con Patrick. L’unica persona che considerava amica, probabilmente non avrebbe più voluto rivederla.
Si sentì sconfitta. Tutto e tutti le erano contro.
«Non ti smentisci mai. La solita principessa egoista.»
Sara si drizzò a sedere. Quella voce la fece rabbrividire. Ormai aveva imparato a riconoscerla. Apparteneva allo spettro di una delle sue vittime.
Il ragazzo dal corpo grigio, che continuava a tormentarla, apparve ai piedi del letto.
«Vattene via!» gli urlò.
Lui avanzò ancora più deciso, mostrandosi interamente. Al suo fianco comparve anche la donna che aveva già fatto visita a Sara in precedenza. «Vedi sempre solo i tuoi problemi, il tuo dolore» le disse lei. «Eppure oggi hai cercato di uccidere un altro essere umano. Di questo dovresti rammaricarti.»
«Come lo sai?»
«Sappiamo tutto. Ogni mossa che fai, ogni azione indegna che compi» rispose il ragazzo. «Abbiamo giurato di tenerti d’occhio. Non avremo pace finché non espierai le tue colpe. Nessuno di noi ti abbandonerà mai.»
Alle spalle del ragazzo e della donna spettro, comparve una moltitudine di altre persone. Uomini, donne, bambini, tutti con il corpo di pelle grigia e ferite mortali sparse, che spiccavano addosso alle loro figure evanescenti. Si disposero nell’intero perimetro della camera, lasciando libero solo il letto su cui era rannicchiata.
A Sara parve che la stanza si stesse rimpicciolendo. Si sentiva in trappola, oppressa e le mancava l’aria. «Voi non siete reali. Voi non siete reali» ripeté in tono isterico.
«Lo siamo eccome» sibilò la donna. «Quel potere con cui hai ucciso molti di noi, ora ci permette di perseguitarti. Di prendere forma qui, con te, e dimostrati che il passato torna sempre a perseguitarti.»
Sara le scagliò contro il cuscino, ma questo le passò attraverso. La donna scoppiò a ridere e uno dopo l’alto tutti gli spiriti fecero altrettanto. Le loro risate le rimbombavano nella testa.
«Basta. Basta.» piagnucolò Sara. Si mise le mani sulle tempie e chiuse gli occhi. Pur non vedendoli continuava a sentirli. Stava per impazzire.
Aiutatemi. Qualcuno mi aiuti pregò in silenzio e un volto prese forma nella sua mente. Era qualcuno che sembrava conoscere, ma non ne era sicura. Aveva una maschera d’oro su metà della faccia e il resto era in ombra.
«Aiutami» sussurrò, aprendo gli occhi e rivolgendosi a quel viso misterioso. 
Una voce maschile e gutturale proruppe nella stanza. «Silenzio!» ordinò.
I contorni delle figure degli spettri tremarono, uno dopo l’altro svanirono, in un misto di terrore e dolore.
Sara si ripulì il volto dalle lacrime. Era sola in casa, eppure quella voce non se l’era immaginata e l’aveva salvata.
«Vieni allo specchio» comandò il misterioso salvatore con un tono sostenuto, ma non minaccioso.
Lei mise lentamente i piedi sul pavimento. Camminò titubante verso il mobile addossato alla parete, a cui era appeso lo specchio. Una parte di lei le suggeriva che era sbagliato, di non rimanere lì e di correre fuori dalla casa il più in fretta possibile. Ma l’altra metà la rassicurava che non c’era niente da temere. Al contrario era al sicuro ora che quella persona si era manifestata.  
Sara guardò la sua immagine riflessa e disse: «Sono qui.»
La se stessa oltre il vetro svanì lentamente, sostituita da qualcuno di inaspettato. Era l’uomo con la maschera in volto, ma poteva vedere chiaramente anche il resto dei suoi lineamenti. La parte inferiore della faccia era rossa e squamosa; dalle tempie gli partivano due lunghe corna color avorio con la punta rivolta all’indietro; il viso era incorniciato da lunghi e lisci capelli scuri.
«Chi sei?» domandò Sara.
«Speravo che fossi in grado di riconoscermi» rispose lui. «Sono passati secoli, ma i membri di una famiglia non si dimenticano. Sono tuo padre. Sono DiKann.»

 
Continua…

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