CAPITOLO 68
Rifiutata e accerchiata
Patrick indossò
la giacca per uscire. Non aveva più avuto notizie di Sara ed era in pensiero.
Non sapeva con che scusa avrebbe giustificato la sua presenza se avesse
incontrato i genitori della ragazza, ma voleva andare a casa sua e chiederle di
persona se era tutto a posto.
Era davanti alla
porta e cercava nel cassetto del mobile le chiavi, quando un bagliore
improvviso lo fece arretrare. Prima che se ne rendesse conto, Sara gli aveva
buttato le baraccia al collo e lo stringeva tremante.
«Sara! Che cosa
succede?» Lei non rispose. Rimase stretta a lui, nascondendo il volto contro il
suo petto. «Mi stai spaventando. Per favore calmati e dimmi perché sei comparsa qui come una furia.»
Sara staccò
lentamente il volto dalla sua camicia. «Patrick… ho fatto una cosa orribile.»
Quasi sollevandola
di peso, la trascinò verso il divano. La spinse a sedersi, e continuando a
tenerla tra le braccia, riprese: «D’accordo, di qualsiasi cosa si tratti non
può essere tanto grave.»
«È tremendo! Ho
perso il controllo! Ho attaccato i miei amici» rispose Sara con l’affanno. Era
sconvolta e faticava a credere alle sue stesse parole. «Era come se fossi di
nuovo Sayka. O almeno un paarte di me. Ho usato i miei poteri contro Sabrina.
Volevo solo vendicarmi, non mi importava di nient’altro.»
«Vendicarti di
che cosa?»
Sara si
allontanò da lui. Si strinse nelle braccia, quasi a ripararsi da un colpo che
stava per ferirla. «Yuri e Sabrina sono andati a letto insieme. È successo mesi
fa e adesso lei è incinta.»
Patrick rimase
in silenzio. Era imbarazzato. La situazione era andata oltre quello che
immaginava e temeva di non poterla più aiutare. «Hai fatto del male a qualcuno?
Qualcosa di… irreparabile?»
«No, ma ci sono
andata molto vicino» ammise. «Ho sentito tutta la rabbia e il dolore e volevo
che li provasse anche Sabrina. A quel punto è successo tutto in fretta: ho
usato i poteri mentali per ferirla, ma lei ha schivato il colpo. Quando ho
visto cosa poteva succederle, ho capito che non lo volevo per davvero. Non
sapevo da chi andare... così sono venuta da te.»
«Hai fatto bene»
rispose, posandole una mano sulla spalla. «Sei riuscita a controllare la parte
di te che è Sayka. Stava per prendere il sopravvento, ma hai fatto prevalere la
vera te stessa.»
«Perché mi sento
comunque da schifo?» gli domandò. «Dovrei essere io quella a cui chiedere scusa
e invece…»
«Non hai niente
di cui vergognarti. Hai avuto un momento di rabbia, ma non sei andata fino in
fondo. Devi smetterla di punirti. Tu non sei più Sayka, sei migliore e lo hai
dimostrato oggi.»
Sara alzò il
capo e lo guardò negli occhi.
Patrick non
riuscì a interpretare quello sguardo, sembrava sollevata, riconoscente… ma
c’era dell’altro. «Posso fare qualcosa
per aiutarti?»
«Fammi restare
qui con te.»
Patrick annuì.
«Certo. Lascia che telefoni a uno dei tuoi amici. Sono sicuro che saranno in
pensiero per te.»
«No.» Sara gli
afferrò il braccio e strisciò accanto a lui. «A loro non importa di me. Mi
hanno mentito. Sei l’unico di cui posso fidarmi.»
Patrick aprì la
bocca per ribattere. Lei si avvicinò al suo viso e cogliendolo di sorpresa, lo
baciò sulle labbra.
Per pochi
secondi, lasciò che accadesse. Era stato preso alla sprovvista, ma poi riprese
il controllo di sé e la allontanò. «Non credo sia una buona idea.»
Sara scosse la
testa. «Sì invece. Voglio stare con te.»
Gli sfilò i
guanti e la giacca. Riprese a baciarlo, incominciando a slacciargli i bottoni
della camicia.
«No ferma.» Patrick
la spinse di nuovo via. «Sei sconvolta e arrabbiata e stai facendo una
stupidaggine. Vuoi vendicarti del tuo ragazzo. Pensi che venendo a letto con me
ti sentirai meglio. Ma è il contrario. Ti farà solo stare peggio.»
Sara lo fissò
confusa. «Io… credevo di piacerti.»
«Ci tengo a te.
E non vorrei aver fatto qualcosa per farmi fraintendere. Tu sei…» Patrick le
prese gentilmente una mano e si rese conto troppo tardi di essere senza
protezione. Una visione gli invase la mente.
Fu fugace,
perché Sara la ritirò subito.
«Sono solo una
stupida.»
Patrick stava
ancora cercando di mettere a fuoco la realtà dopo l’esplosione del suo potere e
non fece in tempo a fermarla. Si alzò il vento, la luce l’avvolse e ricorrendo
al teletrasporto, abbandonò l’appartamento.
Si alzò dal
divano barcollando, mentre davanti agli occhi rivedeva l’immagine della visione:
Sara era nel negozio di magia. Il locale era deformato, come se qualcuno avesse
allargato in modo sbrigativo le pareti. Tutto l’ambiente intorno aveva un
aspetto grottesco. Lei sollevava il braccio destro verso il soffitto, mentre
con il sinistro reggeva un libro e una luce sinistra le illuminava il volto dal
basso. Con un ghigno diabolico, la ragazza rimaneva immobile e il pavimento del
Portale Mistico andava in pezzi.
Cercò i guanti,
li infilò di nuovo sulle mani e risistemò camicia e giacca. Non aveva dubbi:
quella scena apparteneva al futuro.
«Devo fermarla.
Devo impedire a Sara di distruggere il negozio di Angelo Moser.»
Sara si ritrovò
sul suo letto. Non aveva più nessun altro luogo in cui rifugiarsi. Era
infuriata e offesa. Si vergognava e allo stesso tempo si sentiva persa.
«Cosa mi
succede?» chiese nel silenzio e le prime lacrime le rigarono le guance. Scoppiò
a piangere. Strinse il cuscino al petto, si rannicchiò e singhiozzò.
Odiava la sua
vita e tutto quello che le era capitato negli ultimi mesi. Aveva perso suo
fratello e per proteggere gli altri, si era negata quel dolore
E cosa ne ho ricavato?
La sua migliore
amica le aveva tenuto segreto il tradimento del suo ragazzo. Yuri gentile e
premuroso, che la faceva sentire speciale, per poi rivelarsi un bastardo: le
era stato accanto negli ultimi mesi, mentendole ogni giorno. E come se non
bastasse aveva fatto la figura della ragazzina sciocca con Patrick. L’unica
persona che considerava amica, probabilmente non avrebbe più voluto rivederla.
Si sentì
sconfitta. Tutto e tutti le erano contro.
«Non ti
smentisci mai. La solita principessa egoista.»
Sara si drizzò a
sedere. Quella voce la fece rabbrividire. Ormai aveva imparato a riconoscerla.
Apparteneva allo spettro di una delle sue vittime.
Il ragazzo dal
corpo grigio, che continuava a tormentarla, apparve ai piedi del letto.
«Vattene via!»
gli urlò.
Lui avanzò
ancora più deciso, mostrandosi interamente. Al suo fianco comparve anche la
donna che aveva già fatto visita a Sara in precedenza. «Vedi sempre solo i tuoi
problemi, il tuo dolore» le disse lei. «Eppure oggi hai cercato di uccidere un
altro essere umano. Di questo dovresti rammaricarti.»
«Come lo sai?»
«Sappiamo tutto.
Ogni mossa che fai, ogni azione indegna che compi» rispose il ragazzo. «Abbiamo
giurato di tenerti d’occhio. Non avremo pace finché non espierai le tue colpe.
Nessuno di noi ti abbandonerà mai.»
Alle spalle del
ragazzo e della donna spettro, comparve una moltitudine di altre persone.
Uomini, donne, bambini, tutti con il corpo di pelle grigia e ferite mortali
sparse, che spiccavano addosso alle loro figure evanescenti. Si disposero
nell’intero perimetro della camera, lasciando libero solo il letto su cui era
rannicchiata.
A Sara parve che
la stanza si stesse rimpicciolendo. Si sentiva in trappola, oppressa e le mancava
l’aria. «Voi non siete reali. Voi non siete reali» ripeté in tono isterico.
«Lo siamo eccome»
sibilò la donna. «Quel potere con cui hai ucciso molti di noi, ora ci permette
di perseguitarti. Di prendere forma qui, con te, e dimostrati che il passato torna
sempre a perseguitarti.»
Sara le scagliò
contro il cuscino, ma questo le passò attraverso. La donna scoppiò a ridere e
uno dopo l’alto tutti gli spiriti fecero altrettanto. Le loro risate le
rimbombavano nella testa.
«Basta. Basta.»
piagnucolò Sara. Si mise le mani sulle tempie e chiuse gli occhi. Pur non
vedendoli continuava a sentirli. Stava per impazzire.
Aiutatemi. Qualcuno mi aiuti pregò in
silenzio e un volto prese forma nella sua mente. Era qualcuno che sembrava
conoscere, ma non ne era sicura. Aveva una maschera d’oro su metà della faccia
e il resto era in ombra.
«Aiutami»
sussurrò, aprendo gli occhi e rivolgendosi a quel viso misterioso.
Una voce
maschile e gutturale proruppe nella stanza. «Silenzio!» ordinò.
I contorni delle
figure degli spettri tremarono, uno dopo l’altro svanirono, in un misto di
terrore e dolore.
Sara si ripulì
il volto dalle lacrime. Era sola in casa, eppure quella voce non se l’era
immaginata e l’aveva salvata.
«Vieni allo
specchio» comandò il misterioso salvatore con un tono sostenuto, ma non
minaccioso.
Lei mise
lentamente i piedi sul pavimento. Camminò titubante verso il mobile addossato
alla parete, a cui era appeso lo specchio. Una parte di lei le suggeriva che
era sbagliato, di non rimanere lì e di correre fuori dalla casa il più in
fretta possibile. Ma l’altra metà la rassicurava che non c’era niente da
temere. Al contrario era al sicuro ora che quella persona si era manifestata.
Sara guardò la sua
immagine riflessa e disse: «Sono qui.»
La se stessa
oltre il vetro svanì lentamente, sostituita da qualcuno di inaspettato. Era
l’uomo con la maschera in volto, ma poteva vedere chiaramente anche il resto
dei suoi lineamenti. La parte inferiore della faccia era rossa e squamosa; dalle
tempie gli partivano due lunghe corna color avorio con la punta rivolta
all’indietro; il viso era incorniciato da lunghi e lisci capelli scuri.
«Chi sei?»
domandò Sara.
«Speravo che fossi
in grado di riconoscermi» rispose lui. «Sono passati secoli, ma i membri di una
famiglia non si dimenticano. Sono tuo padre. Sono DiKann.»
Continua…