lunedì 10 dicembre 2018

Darklight Children - Capitolo 86


CAPITOLO 86
Fine primo round


Leonardo si fermò a pochi passi dal portone del palazzo. «E se non mi riconosce? Cosa farò? Dove andrò? Non posso passare il resto della vita da Davide.»
Sara sospirò. «Rilassati e pensa positivo. Magari chi c’è l’ha con te si è già stancato.»
Leonardo arricciò il naso esasperato. Era chiaro che sua sorella non prendesse sul serio la faccenda perché non si trovava al suo posto. «Non è così facile. Non lo è mai.»
«Non puoi saperlo. E in ogni caso ci inventeremo qualcosa.» Sara lo prese per mano.  «Non ti lascerò solo.»
Leonardo si fece coraggio e proseguì dietro di lei fin dentro al palazzo, davanti alla porta di casa.
«Fai parlare me»gli disse, infilando la chiave nella serratura e spingendo la porta. «Ehi! C’è nessuno?» domandò prima di chiudere la porta dietro di loro.
«Sono in cucina» rispose la madre.
Leonardo trattenne un gemito. Scoprì di provare u nuovo tipo di terrore: quello di non poter più vivere con la tua famiglia perché per loro non esistevi. Poi, incoraggiato da Sara, proseguì in corridoio e insieme raggiunsero la donna.
Grazia Martini alzò la testa dalla rivista che stava sfogliando e li guardò con aria neutrale.
«È tutto a posto?» domandò Sara.
«Sì, perché?» fece Grazia.
Leonardo continuò a fissarla, aspettandosi da un momento all’altro di venir trattato come un estraneo. 
Sara scrollò le spalle. «Niente. Sei qui, tutta sola, è quasi ora di pranzo…»
«Papà è fuori per delle commissioni, ma sarà qui a breve e andremo a mangiare al ristornate, come avevamo deciso.»
Sara annuì. Si voltò verso di lui e gli indicò di seguirla. Si girarono entrambi, diretti verso la camera della ragazza.
«Aspetta, non hai niente da dirmi?» li fermò Grazia.
«Cosa dovrei…» iniziò Sara.
«Non tu. Lui.»
Leonardo andò nel panico. Cosa doveva dire? Come doveva comportarsi? Deglutì a fatica. «Ehm… io…»
«So che hai diciotto anni e vuoi la tua indipendenza, ma abbiamo stabilito delle regole» disse Grazia. Il suo volto sia addolcì e Leonardo vide con sollievo che la preoccupazione dei suoi tratti lasciò spazio alla comprensione. «Se rimani a dormire da un amico, devi avvertirmi prima. D’accordo, Leonardo?»
Ricordava il suo nome. Si ricordava di lui in generale. Per la gioia le schioccò un bacio sulla guancia. «Hai ragione. Scusami, mamma.»
Grazia sorrise a sua volta. «Perdonato.»

Il C.E.N.T.R.O. era immerso nel completo silenzio, per Marcus non era una novità.
Sgattaiolò fuori dalla sua stanza, si avvicinò alla terza porta dopo la sua e bussò tre volte. L’uscio si aprì e Samuele mise fuori la testa.
Marcus annuì e Samuele uscì dalla camera. Chiuse la porta senza fare rumore e lo seguì lungo il corridoio. Imboccarono la rampa di scale che portava al piano sottostante.
Marcus fece segno al compagno di rimanere fermo, si schiacciarono con la schiena contro il muro per pochi secondi, poi si sporse lievemente in avanti. Osservò con circospezione e constatò che la strada era libera. Prese Samuele per la manica della felpa e se lo tirò dietro, camminando a passo spedito fino alla porta al centro del nuovo corridoio. La spalancò e spinse all’interno il ragazzo più giovane di lui. Per l’ultima volta controllò all’esterno di non essere stato visto e la chiuse alle sue spalle.
«Finalmente! Ce ne avete messo di tempo per arrivare» lo accolse la voce pungente di Jonathan.
Marcus si girò di scatto, colto di sorpresa. Il ragazzo biondo era seduto comodamente su una delle poltroncine girevoli, ricoperte di tessuto rosso. Aveva una posizione rilassata e lo guardava con aria di sfida, ma da tempo Marcus sapeva come non cadere nei suoi tentativi di provocarlo.
Al suo fianco, su un’altra poltroncina, Erica era stretta al braccio destro di Jonathan, i lunghi capelli rossi per metà appoggiati sulla spalla di lui. Marcus la guardò, cercando di nascondere la sua disapprovazione: quella ragazza non si preoccupava di essere inopportuna, si strusciava addosso al compagno come una gatta in calore.
«Siamo in perfetto orario» rispose poi con tono fermo e sicuro. «Tu piuttosto, come mai sei già qui? Credevo ci volessi impiegare di più.»
«Non ne valeva la pena» disse Jonathan sorridendo. «Ho colto i due Alpha di sorpresa e mi sono divertito nel vederli nel panico. Ma poi la cosa si è fatta noiosa.»
Marcus sogghignò, mostrando i denti bianchi che risaltavano sulla sua pelle scura. «Hanno scoperto la tua illusione. Non sei durato molto.» Non resistette all’occasione di sottolineare la sua sconfitta.
«Sicuramente più di voi.»
«A ogni modo, se ci sei riuscito è anche merito mio. Uno dei miei pipistrelli ti ha fornito l’informazione giusta. E poi prenditela con Erica» ribatté. «È lei che ha attaccato l’umano.»
«Non sappiamo se è veramente umano. E comunque l’ho fatto per proteggere Samuele» replicò la ragazza, facendo le fusa.
«È vero» s’intromise Samuele, sedendosi a poca di stanza da loro, intorno al lungo tavolo di finto legno. «Temo che mi abbia riconosciuto.»
«Non preoccuparti» lo tranquillizzò Jonathan. «Non è colpa tua. Non è colpa di nessuno. E abbiamo avuto la conferma che cercavamo.»
«Davvero?» domandò Marcus sorpreso, non seguiva il suo ragionamento, o lui non li aveva messi al corrente dei suoi reali piani.
Jonathan gli indicò di prendere posto. «Certo. Ho avuto la prova che gli Alpha non sono più potenti di noi. Anzi a dirla tutta non sono preparati ad affrontarci.»   
Marcus si accomodò su una poltroncina dalla parte del lato di Erica, in modo da poter vedere Jonathan diritto negli occhi «E ti è bastato un solo breve tentativo per accertarlo?»
«Sì. Loro agiscono d’istinto, noi siamo stati addestrati. Potranno essere i nostri progenitori, ma siamo noi quelli con l’esperienza.»
La porta si aprì dall’esterno. Una donna con i capelli castani raccolti in una coda di  cavallo e un tailleur scuro comparve sulla soglia. «L’esperienza per che cosa, di preciso?»
«Professoressa Cluster» esclamò Samuele, balzando in piedi e imitato all’istante da loro tre.
Marcus si morse il labbro. Non farsi scoprire da lei era il primo obiettivo e lo avevano fallito in pieno.
«Ti ho fatto una domanda, Jonathan» disse Clara Cluster con sguardo torvo.
Jonathan riassunse il suo sguardo accattivante e la sua aria affascinante. «Niente di pericoloso. Eravamo solo curiosi di vedere con i nostri occhi i famosi Alpha.»
Il volto della donna rimase impassibile. «E loro hanno visto voi?»
«Sì» rispose Marcus, prima che potesse farlo uno degli altri. Mentirle era una pazzia e non voleva finire nei guai per l’orgoglio di Jonathan ed Erica.
Clara Cluster entrò nella sala conferenze con passo deciso. Si fermò al lato più vicino del tavolo e incrociò le braccia sul petto. «Vi ho scelti per la squadra speciale personalmente. Qualsiasi azione compite, giusta o sbagliata, ne sono responsabile. Sono io che vi ho dato dei privilegi, come poter uscire dal C.E.N.T.R.O. , confidando che non faceste sciocchezze di questo genere.»
«Ma noi…» tentò di ribattere Jonathan.
«Non ho finito» lo interruppe Clara. «Come dicevo, avete dei privilegi e come ve li ho dati, posso revocarli.» Si girò poi verso di lui. «Quanti Alpha vi hanno visto?»
Marcus mantenne l’aria seria. «Due delle ragazze hanno visto me, Samuele ed Erica.  E forse due dei ragazzi hanno visto Jonathan.»
«Forse?» ripeté Clara, rivolta ora a Jonathan.
«Sono sicuro al novanta per cento che non mi abbiano visto. Li ho osservati di nascosto e poi sono scappato quando ho avuto il dubbio che si fossero accorti di me» rispose prontamente il ragazzo.
Clara rimase in silenzio per un minuto a scrutarli. «Andate nelle vostre stanze e non uscite fino all’ora di cena. Degli eventuali danni mi occuperò io.»
Marcus si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo. Le passarono davanti, Jonathan a testa alta; Erica dietro di lui, senza incrociare lo sguardo; Samuele con la testa chinata in basso; infine lui spingendolo gentilmente con una mano sulla schiena. 
Una volta all’esterno della sala, i suoi compagni procedettero verso le loro stanze, ma Marcus si attardò, appoggiato al muro. Voleva essere sicuro di non dover incappare in future punizioni a sorpresa. Origliando, udì la donna comporre un numero sul cellulare.
«Pronto Kaspar? Sono io. C’è stato un piccolo imprevisto. No, l’operazione è ancora al sicuro, ma credo che dovrai giocarti quell’asso prima del previsto. Grazie. Sapevo di poter contare su di te.»

«Perché vuoi andare lì?» le domandò Yuri al volante della sua auto.
«Non ci voglio andare, voglio solo passarci vicino» rispose Sabrina sospirando, seduta nel posto del passeggero. «Abbastanza per dare un’occhiata.»
«Cosa speri di vedere?»
Sabrina era infastidita da quel terzo grado. «Non lo so… perché fai tante storie?»
Yuri corrugò la fronte. «Il signor Moser ci ha detto di stare lontani dal C.E.N.T.R.O. e io sono d’accordo con lui.»
«Non entreremo nell’istituto. Ho solo bisogno di schiarirmi le idee. Di capire.»
«Che cosa?»
«Mi sono venuti dei dubbi. Spiegazioni che nessuno mi ha dato. Ho parlato con Leonardo del bambino e pens…»
«Perché?» la interruppe. «Avevamo deciso di non farne più parola.»
«Tu lo hai deciso» ribadì secca lei.
«Credevo fossi d’accordo.»
Sabrina sospirò di nuovo. «Perché non possiamo affrontare l’argomento senza litigare?»
«Non stiamo litigando» replicò Yuri, alzando la voce.
«A me sembra di sì: stai urlando!»
Yuri rimase in silenzio, fissando la strada oltre il vetro del parabrezza. Svoltò al primo incrocio e sbucò in una via adiacente la strada che portava al C.E.N.T.R.O.
«Ti va bene qui?» le domandò.
 Sabrina si scostò i capelli biondo miele dietro l’orecchio e sbirciò fuori dal finestrino. Da dove si trovavano riusciva a vedere perfettamente l’edificio che ospitava l’istituto e se avesse voluto, avrebbe potuto raggiungerlo in una trentina di passi. «Sì. Perfetto.»
«E adesso?»
 Lei non rispose. Non sapeva cosa dire. I ricordi dell’aborto le avevano risvegliato qualcosa dentro, una volontà inspiegabile di tornare al C.E.N.T.R.O. e cercare informazioni. Una specie di istinto materno a metà.
«È per questo che non voglio più pensare a quello che è successo. Per la tua espressione, vedo la tua sofferenza e non posso fare niente per cambiarla.»
«Non ho mai preteso una cosa del genere.» Sabrina si girò a guardarlo. «Però ho bisogno che affrontiamo questa… non so neanche io come definirla, ma ho bisogno che lo facciamo insieme.»
«Non possiamo tornare indietro, non possiamo cambiare il passato.»
«Ma ignorarlo non è una soluzione» rispose Sabrina. «Abbiamo bisogno che ci aiutino a capire come evitare che riaccada, sapere se c’è un modo per poter evitare di concepire demoni.»
«Usare un contraccettivo sarebbe già un inizio.»
«Non riesci proprio a prendere questa questione seriamente? O ti arrabbi o devi fare delle battute.»
Yuri le accarezzò il volto. «Scherzavo perché ti preoccupi troppo. Hai ragione, in futuro potrebbe diventare un problema, ma non dobbiamo pensarci adesso. Quando vorremo avere figli, ci informeremo e faremo tutte le ricerche del caso.»
«E se gli unici a poterci aiutare dovessero essere i responsabili del C.E.N.T.R.O.?»
«Verremo qui a chiedere aiuto.» Yuri le baciò la guancia. «Fino ad allora però promettimi che cercherai di stare tranquilla.»
«D’accordo.» Si sporse in avanti e lo baciò sulle labbra. «Voglio solo poter essere libera di parlarti di tutto.»
«Ed è così.» Yuri girò la chiave nell’accensione e riavviò il motore. «Ti riporto a casa, o vuoi restare qui ancora un po’?»
«No.» Sabrina lanciò un ultimo sguardo al C.E.N.T.R.O. «Possiamo andare.»
Yuri ingranò la retromarcia e imboccò la strada.
Si allontanarono lentamente e nella mente di Sabrina risuonò una voce. Sgranò gli occhi, mentre con un tono indefinibile la chiamava.
Mamma.

                                               
                                                Continua…

lunedì 26 novembre 2018

Darklight Children - Capitolo 85


CAPITOLO 85
Riunione strategica



Leonardo chiuse il cellulare e lo porse a Sabrina, seduta di fronte a lui intorno al tavolo del Full Moon, ancora deserto, in compagnia di Yuri e Davide. «Grazie per avermelo prestato. Sara ha detto che ha avvertito sia Patrick che il signor Moser. Lei e Naoko stanno per arrivare.»
«Bene. È meglio che vada fuori ad aspettarle, per evitare brutte sorprese» rispose Yuri, scostando indietro la sedia. Guardò Davide e chiese: «Mi accompagni?»
Davide si pulì la bocca con un tovagliolo. «Ok.» Si alzò e gli lanciò uno sguardo fugace prima di uscire.
Leonardo bevve un sorso dalla tazza e leccò la schiuma del cappuccino da sopra le labbra, osservandoli sparire oltre la porta del locale.
Sabrina sistemò il cellulare nella tasca dei pantaloni. «Mi sembra di essere tornata ai vecchi tempi, come quando facevamo colazione insieme al bar prima di entrare in classe.»
«Sembra di parlare di secoli fa. Ora per bere un cappuccino insieme, uno di noi deve essere attaccato da qualcuno con strani poteri.»
«Già… negli ultimi mesi ce ne sono successe di tutti i colori, ma ogni tanto riusciamo a tornare alle vecchie abitudini» gli rispose con un sorriso.
Leonardo si spazzolò le briciole della brioche dai pantaloni. «Peccato che la nostra parentesi di normalità duri sempre troppo poco.»
«Sei il solito pessimista» sbuffò lei. «D’accordo, la situazione non è piacevole, tua madre non ricorda chi sei, ma lo risolveremo. E anche quei ragazzi, vedrai che sono meno pericolosi di quello che sembrano. Tra l’altro, se mi avessi chiamata ieri notte, avresti potuto venire a dormire da me.»
«E a Yuri non avrebbe dato fastidio?»
«No e lo sai benissimo. È consapevole di non aver motivo di essere geloso.» Sabrina scostò la tazza vuota da davanti a sé. «Comunque ti è andata bene. Poco tempo fa, l’idea che tu trascorressi un’intera notte a casa di Davide era assurda e non saresti arrivato intero alla mattina dopo. Ma adesso lui è cambiato, è diventato più gentile.»
«Sua madre pensa che sia merito mio.»
Sabrina lo guardò sorpresa.
«La scorsa notte ci ha beccato mentre rientravamo dalla ricerca del ragazzo che ci ha teso l’agguato. Era arrabbiata perché non capiva cosa stava succedendo, io e Davide ci siamo inventati una storia all’istante e lei se l’è bevuta.» Guardò d’istinto il posto vuoto accanto al suo. «Poi, quando Davide ci ha lasciati soli per andare a cambiarsi, lei mi ha confidato che crede che la mia vicinanza gli faccia bene. Dice che è meno aggressivo e anche loro due litigano raramente.»
«Dovresti esserne orgoglioso.»
«Perché?»
«Perché forse ha ragione» replicò Sabrina. «Forse, sei davvero tu il responsabile del suo cambiamento. A pensarci bene è stato quello più testardo nel voler scoprire se eri morto davvero. Sì, ora che mi ricordo ha chiesto anche il tuo Registro al signor Moser per avere dettagli sulla vostra vita passata.»
Leonardo trasalì. Il ricordo della loro particolare esperienza sulla vita passata era ancora vivida nella sua mente. A ripensarci non riusciva a non provare imbarazzo.
La cosa non sfuggì a Sabrina. «Che ti prende?»
«Niente.»
«Non è vero. Ti stai agitando, lo vedo da come ti muovi sulla sedia.» Sabrina lo scrutò con attenzione. «È successo qualcosa tra te e Davide.»
Leonardo arrossì. Si massaggiò le guance sentendo che andavano a fuoco.
Sabrina gli afferrò un braccio. «Ho ragione. C’è qualcosa! Parla!»
«Va bene, ma non gridare» si divincolò Leonardo. «Mi ha confessato di avere una cotta e… ecco per vedere se per me era uguale, perché ero confuso sulla nostra vita del passato e su qu…»
«Arriva al punto» lo esortò.
«Ci siamo baciati» disse di colpo.
Sabrina rimase a fissarlo incredula. Poi si riprese e chiese: «Come è stato? Come quando ci siamo baciati io e te in seconda liceo, cioè strano e infantile, o più intenso?»
«Intenso… credo.» Leonardo scosse violentemente la testa. «Ma non ne sono sicuro. La prima volta temevo che sua madre ci scoprisse e la seconda…»
«È successo due volte?» lo interruppe lei, sgranando gli occhi.
«Non so se la seconda vale, eravamo nell’illusione di quel ragazzo. Comunque per il momento preferirei non pensarci.»
«Come vuoi.»
Sapeva che per l’amica era davvero un grande sforzo non chiedere altro, ma rispettò la sua decisione. Rimasero in silenzio qualche secondo e Leonardo terminò di bere il cappuccino.
Sabrina cambiò espressione, come se si fosse appena resa conto di qualcosa di importante. «Hai detto che hai parlato con la madre di Davide, giusto?» disse. «Quindi lei ti ha riconosciuto.»
Leonardo lasciò cadere la tazza sul piatto. «Non ci avevo fatto caso, ma sì, sapeva perfettamente chi fossi. Questo vuol dire che i ricordi che mi riguardano non sono svaniti del tutto.»
«Hai visto? La situazione è meno grave di quanto sembra.»
Leonardo inarcò un sopracciglio. «Però è mia madre che deve ricordarsi di me.»
«Non sottovalutare il legame di una madre con il suo bambino» replicò Sabrina. Il suo volto sereno si velò di un’ombra di malinconia. «È difficile dimenticarsi di un figlio.»
Leonardo si morse il labbro. Aveva scordato che l’amica aveva subito un aborto spontaneo solo due mesi prima. «Scusami. Sono stato insensibile. Ti ho fatto tornare in mente brutti ricordi.»  
«No, non preoccuparti. Mi fa bene parlare di quello che è successo. Ignorarlo è peggio.»
«Yuri come l’ha presa?»
Sabrina si sforzò di sorridere di nuovo. «Lui non condivide la mia idea, preferisce evitare l’argomento. Teme che soffriremmo troppo. E poi dovremmo affrontare anche l’altra questione.»
«Quale?»
«Be’… non abbiamo in progetto di avere dei figli in breve tempo, però abbiamo avuto la prova che se rimango incinta può nascere un demone completo e quindi dovremmo valutare come comportarci nel...» La porta cigolò e si zittì di colpo.
Leonardo si girò di scatto verso l’ingresso e scorse i due ragazzi, Sara, Naoko, Patrick e Angelo fare il loro ingresso in fila indiana in quell’istante.
Ognuno di loro pese una sedia e la mise intorno al tavolo, mentre Yuri e Davide ripresero i rispettivi posti.
Sara lo scrutò con attenzione. «Per fortuna stai bene. Credevo ti avessero fatto del male.»
«Potete spiegare anche a noi cosa è successo?» chiese Angelo Moser.
«Questa mattina ci siamo svegliati dopo aver subito l’influsso dell’illusione di un ragazzo biondo» spiegò Davide. «Per fortuna grazie alla proiezione astrale di Leonardo siamo riusciti a rompere il suo trucco, ma quando abbiamo cercato il ragazzo, era scomparso.» Lo guardò di sfuggita, sorridendogli maliziosamente.
Leonardo distolse lo sguardo, ma gli fu grato per aver omesso la modalità con cui erano sfuggiti all’illusione.
«Un altro ragazzo con capacità soprannaturali. Non può essere una coincidenza» disse Naoko.
«Infatti, io e Angelo pensiamo che si tratti di mezzo demoni come voi, reclutati dal C.E.N.T.R.O.» rispose Patrick. «Purtroppo non ne abbiamo le prove.»
«Come se ce ne fosse bisogno. Chi altro potrebbe essere? Non credo che in città ci siano tanti istituti che istruiscono ragazzi con super poteri» fece notare Yuri.
«Il punto è capire se agiscono da soli» intervenne Angelo. «In caso contrario è chiaro che Kaspar e i suoi soci vogliono qualcosa da voi.»
«Potrebbero essere stati loro ad aver cancellato di nuovo il mio ricordo» esclamò Leonardo.
«Cosa?» domandò Patrick.
«Oh sì, mi ero dimenticata di dirvelo» rispose Sara. «Ieri sera nostra madre non ha riconosciuto Leonardo. Anzi è convinta che io sia figlia unica. E c’è di più, nessuno di noi due riesce a teletrasportarsi.»
Angelo corrugò la fronte. «Strano. Le due cose non dovrebbero essere correlate. Andiamo con ordine.» Si alzò in piedi e disse: «Avete provato a teletrasportarvi insieme, tenendovi per mano?»
Leonardo incrociò gli occhi della sorella. Era un tentativo talmente ovvio che avrebbero dovuto pensarci da soli.
«No. Proviamo adesso» annunciò Sara.
«E dove ci trasportiamo?» chiese Leonardo.
Sabrina indicò la porta in fondo alla stanza. «Provate con la toilette. Se ci dovessero essere problemi, vi recupereremo velocemente.»
Leonardo abbandonò la sedia e andò al fianco di Sara già in piedi. Si sistemarono a poca distanza dagli altri, in modo che potessero vederli. Prese per mano la sorella, chiusero gli occhi per focalizzare nella mente il luogo desiderato.. Inaspettata, comparve la familiare e confortante sensazione di calore e si diffuse nel corpo; il vento li avvolse, e Leonardo fu certo di sparire in un baluginare di luce.
Appena aprì gli occhi Leonardo riconobbe l’interno dell’antibagno della toilette. Sara lo fissava con aria indecifrabile. Uscirono quasi subito notando l’espressione sollevata del gruppo.
«Un problema sembra risolto» annunciò Patrick.
«Però prima riuscivano a farlo singolarmente» replicò Naoko. «Perché ora devono essere insieme?»
Angelo si massaggiò il mento. «Per ciò che è successo mesi fa al mio negozio. Leonardo ci ha raccontato di aver condiviso con Sara il fardello delle vittime di Sayka. Questo ha influito e modificato gli effetti dell’incantesimo del Riciclo delle Anime, che in origine aveva fornito a tutti e due la capacità del teletrasporto. È un segno che il rapporto che li unisce è diventato ancora più profondo.»
«Che seccatura» si lamentò Sara. «Ora per spostarci dovremmo dipendere l’uno dall’altro.»
«Scusami tanto se ti ho evitato di impazzire» rispose sarcastico Leonardo. Si rivolse quindi ad Angelo e chiese: «E per l’altra faccenda? Questa notte e poi mattina la madre di Davide mi ha riconosciuto, quindi immagino che i suoi ricordi siano intatti. Perché quelli di mia madre sono spariti?»
«Sinceramente non so spiegarlo» ammise Angelo. «Avete eseguito l’incantesimo davanti a me, seguendo le mie indicazioni e se qualcosa fosse andato storto, si sarebbe visto fin da subito. È come se qualcun altro fosse intervenuto, intromettendosi.»
«In che senso?» domandò Patrick.
«Può essere che un’altra persona abbia agito prima di noi. Non ha impedito che restituissimo i ricordi, ma ha lasciato aperto un varco per toglierli e rimetterli a suo piacimento in vari soggetti. Come se avesse a disposizione un interruttore nella loro memoria, che accende e spegne quando vuole.»
«È orribile» esclamò Sabrina. «Chi può essere stato?»
«Non è ovvio? Sono quelli del C.E.N.T.R.O.» sbottò Davide. «Dovremmo andare lì e dargli una lezione.»
«Non possiamo, è troppo pericoloso» ribatté Yuri. «È meglio evitare scontri con loro.»
«Avete ragione entrambi» s’intromise Angelo. «Un faccia a faccia diretto ci leverebbe tanti dubbi, ma allo stesso tempo ci esporrebbe troppo. Però c’è un modo per sorvegliarli. Kaspar è il consulente alla vostra scuola. Con cautela, seguite le sue mosse e se qualcosa nel suo comportamento non vi convince, riuniamoci di nuovo. Insieme troveremo una soluzione, magari riusciremo a scoprire anche se lui e il C.E.N.T.R.O. sono legati ai mezzo demoni degli attacchi.»
«E io cosa faccio?» domandò Leonardo. «C’è un modo per annullare questo interruttore di ricordi?»
«Non so» disse Angelo. «Contatterò l’Ordine per avere informazioni. Nel frattempo, temo che l’unico modo per scoprire se hanno restituito i ricordi a tua madre sia tornare a casa e verificarlo da solo.»

                                                        Continua…

lunedì 12 novembre 2018

Darklight Children - Capitolo 84


CAPITOLO 84
Mettere insieme i pezzi


Patrick si convinse di non preso quella decisione troppo d’impulso. Quella mattina aveva telefonato ad Angelo Moser e gli aveva chiesto di andare da lui al più presto, dopo le rivelazioni della visone si rese conto che era un passo necessario.
Prima che  arrivasse, frugò in camera e trovò il blocco da disegno e la matita che Kaspar gli aveva regalato quando lo aveva istruito all’uso dei suoi poteri; erano nel terzo cassetto in basso della sua scrivania, l’ultimo posto in cui li aveva lasciati. Per mesi non li aveva più utilizzati, ma doveva riconoscerlo, erano stati un regalo veramente utile, come il suggerimento dell’uomo di riportare sulla carta le immagini delle sue visioni.
Sotto il blocco ritrovò anche il ritaglio di giornale che lo riguardava, un altro dono di Kaspar, ma di quello non era più sicuro che gli fosse stato dato per aiutarlo a  ricordare e soprattutto che era stato disinteressato.  
Trasportò tutto, articolo compreso, sull’ampio tavolo del salone, dove sarebbe stato più comodo e si mise all’opera. Come la prima volta che aveva impugnato la matita, la sua mente e la sua mano agirono di comune accordo, permettendogli di tratteggiare alla perfezione il volto che aveva in testa.
Delineò il viso lungo e spigoloso, la fronte seminascosta dal cappuccio, gli occhi piccoli e la barba liscia che si stendeva sulle labbra carnose, prima di ricongiungersi alle basette.
Patrick constatò che il ritratto rispecchiava l’uomo incappucciato che cercava di rincuorarlo nella visione. Adesso doveva solo scoprire di chi si trattasse.
Il suono urgente del campanello di casa lo distolse dai suoi pensieri. Andò ad aprire e con aria trafelata Angelo gli strinse la mano coperta dal guanto nero.
«Ho fatto prima che ho potuto» disse passandogli accanto per entrare nell’appartamento. «Volevo incontrarla già ieri sera, ma Sara mi ha detto che la situazione era risolta. È successo qualcosa di nuovo?»
«In un certo senso» rispose Patrick. Lo scortò nel salone e lo fece accomodare sul divano. «Possiamo darci del tu?»
Angelo annuì prendendo posto accanto a lui.
«In realtà, la questione di cui voglio parlarti riguarda solo marginalmente i ragazzi. Si tratta di me. Questa notte i miei ricordi si sono sbloccati e ho bisogno di un consulto.»
«Se non ricordo male, eri seguito da Kaspar De Santi. Non è meglio che ti rivolgi a lui?»
«Non posso. Parte dei ricordi lo riguardano.»
Angelo sembrò gradire il suo cambio di atteggiamento nei confronti del professor De Santi. «D’accordo. Cercherò di esserti d’aiuto. Raccontami con calma cosa è accaduto ieri notte. Siete stati attaccati?»
«Sì. Ero andato a controllare le rovine perché sapevo che le ragazze sarebbero state da sole e non ero tranquillo. Poco dopo il loro arrivo, sono comparsi una ragazza e due ragazzi. Avevano chiaramente seguito Naoko e Sara e le hanno sfidate a dimostrare i loro poteri. Hanno detto che volevano mettere alla prova le Alpha.»
Angelo s’incupì. «Hanno usato proprio quel termine?»
Patrick annuì. «Significa qualcosa per te?»
«In effetti sì. Tutti i membri dell’Ordine usano quell’appellativo: Alpha è per identificare i sei mezzo demoni rinati con l’uso del Riciclo delle Anime. Se i ragazzi le hanno chiamate così, devono essere collegati a qualcuno dell’Ordine.»
Patrick intuì subito a chi si riferiva. «Kaspar e i suoi colleghi sono ex-membri dell’Ordine e parte dell’organico del C.E.N.T.R.O.»
«Non voglio lanciare accuse affrettate, ma Kaspar ha ammesso che il C.E.N.T.R.O. rintraccia e addestra da anni gli ultimi mezzo demoni rimasti in circolazione» fece notare Angelo. «E se non ho capito male, i ragazzi che le hanno attaccate possiedono poteri speciali.»
«Esatto. Uno di loro ha dato l’impressione di comandare i pipistrelli, mentre la ragazza ha creato dal nulla una lancia e mi ha colpito» raccontò Patrick. «Ed è per questo che ti ho chiamato. In principio sono svenuto, dopo ho avuto un forte mal di testa e poi toccandomi sono riemersi i miei ricordi.»
«Ti riferisci a ciò che  avevi dimenticato prima del coma?»
Patrick non era sicuro di aver mai messo al corrente Angelo della sua situazione, ma non si sorprese che ne fosse comunque a conoscenza. «Non tutto. Questa notte, per la prima volta da mesi, ho cominciato ad avere dei frammenti di immagini sul mio passato.»
Angelo si fermò a riflettere. «La lancia della ragazza è un’arma psichica, anche se l’ha usata per ferirti,  potrebbe aver intaccato il blocco mentale sulla tua memoria e averti in realtà aiutato.»
«Quindi adesso ricorderò ogni cosa?»
«Non lo so, non posso dirlo con certezza» gli rispose. «Quel genere di arma ha la capacità di scuotere la mente e nel tuo caso di rimuovere lo shock che ti ha impedito di accedere ai ricordi dopo l’esperienza che ti ha mandato in coma. Se è così, è molto probabile che un po’ alla volta tutto tornerà a galla.»
«Spero che tu abbia ragione. È davvero importante che succeda. E non solo per me.» Patrick si alzò in piedi. Andò verso il tavolo e prese l’articolo e il disegno. «Il bambino con me è Samuele e l’ho salvato anni fa. Ieri notte l’ho rivisto: era tra i ragazzi che ci hanno attaccato.»
Angelo prese il ritaglio di giornale dalle sue  mani e lo osservò per alcuni secondi.
«Tra le visioni, o meglio, i ricordi che ho avuto dopo lo sblocco, c’è n’è uno in cui gli parlavo, era come se fossi un suo professore al C.E.N.T.R.O. e gli promettevo che una volta insegnatogli come usare i suoi poteri, lo avrei portato fuori da quell’istituto.»
Angelo sollevò la testa di scatto. «Vuoi dire che facevi parte dell’equipe di Kaspar, ma lui te lo ha tenuto nascosto?»
«Mi ha raccontato che ero un suo collaboratore, ma non so se ero solo quello o qualcosa di più. Fin quando non riavrò tutti i ricordi, non posso accusarlo di niente… anche se incomincio a sospettare che su certi fatti mi abbia mentito» replicò. «Inoltre devo capire perché non sono riuscito a mantenere la mia promessa, o se qualcuno me lo ha impedito.»
Angelo corrugò la fronte. «Cosa ti fa pensare che abbiano cercato di fermarti?»
Patrick gli porse anche il foglio con il ritratto dell’uomo. «L’ultimo frammento di memorie riguardava un rito, qualcosa di strano e di sicuro collegato con l’occulto, che si svolgeva al C.E.N.T.R.O. . Ero su un tavolo di pietra e mi sentivo come una vittima sacrificale. Tra le persone che lo stavano mettendo in atto c’era quest’uomo.»
«Sai il suo nome?» gli chiese Angelo scrutando con attenzione il volto disegnato.
«No.»
«Non posso dartelo per certo, ma forse in questo posso aiutarti. Mi ricorda una fotografia che ho visto negli annali dell’Ordine.»
«Era anche lui un membro?»
Angelo scosse la testa. «In realtà ho visto il suo volto nei files dei mezzo demoni schedati. Ma è successo anni fa e dovrei ricontrollare nei fascicoli che ho salvato dalla distruzione del Portale Mistico
Patrick lo osservò. Gli sembrò più preoccupato da quell’ultima rivelazione che da quanto aveva detto in precedenza. «È qualcuno pericoloso?»
«Forse, o forse no. A ogni modo dobbiamo tenere d’occhio i ragazzi e metterli in guardia. Se tra le alte sfere del C.E.N.T.R.O. c’è anche un mezzo demone, la situazione potrebbe farsi complicata. Dobbiamo evitare di finire di nuovo nei guai.»
Il telefono squillò, facendoli voltare entrambi. Patrick afferrò l’apparecchio cordless e rispose: «Pronto? Ciao Sara.»
Angelo lo guardò in silenzio.
«Va bene arrivo subito. Sì, so dove si trova il locale di Yuri.» Sollevò poi gli occhi incrociando quelli del suo ospite. «Sì, è qui con me vuoi che… ah, ok. A dopo.»
«Cosa succede?» domandò Angelo.
«Leonardo e Davide sono stati attaccati di nuovo. Non so i particolari, Sara vuole che andiamo al Full Moon, faremo una riunione con gli altri. E hanno anche bisogno di spiegazioni da te su un problema personale.»
Angelo abbandonò il foglio da disegno sul divano e si mise in piedi. «Sbrighiamoci. Ho come l’impressione che i guai ci hanno trovato prima che potessimo metterci al riparo.»


                                                     Continua…

lunedì 29 ottobre 2018

Darklight Children - Capitolo 83


CAPITOLO 83

Ricordo/Visione

 

Naoko  lo guardò dubbiosa. «È davvero sicuro di non aver bisogno di nulla?»
Fermo sul pianerottolo, davanti alla porta del suo appartamento, Patrick annuì. «Sto meglio» rispose, sperando che un sorriso riuscisse a mascherare il fastidio che provava per la fitta alla testa, che non accennava a svanire. «Vai a casa e fai attenzione.»
La ragazza rimase a fissarlo per pochi secondi. Il gatto nero, tra le sue braccia insieme a quello bianco, si mosse. «D’accordo. Non si preoccupi: Ombra e Scintilla stanno per svegliarsi. Forse gli anestetici che gli hanno dato sono meno forti del previsto.»
Le fece un cenno con la mano, lei ricambiò il saluto e abbandonò e scese le scale, scomparendo dopo la prima rampa.
Patrick inserì la chiave nella serratura, entrò in casa e chiuse la porta, Si appoggiò all’uscio e trasse un lungo sospiro. Aveva impiegato diversi minuti per convincerla che stava bene e poteva lasciarlo solo. Voleva che arrivasse a casa in fretta, altrimenti quello a preoccuparsi sarebbe stato lui.
Anche se Naoko aveva richiamato come scorta una schiera di felini e lui li aveva visti attenderla fuori dal palazzo, mentre lo accompagnava fino al suo appartamento, Patrick non voleva che corresse altri rischi a causa sua. 
Barcollò fino alla sua stanza e si buttò sul letto senza svestirsi. L’ambiente era illuminato dalla luce esterna, un misto di bagliore lunare e luce elettrica, che filtrava dai vetri della finestra.  Ripensò agli eventi della sera e si sentì un emerito idiota. Era andato fino al luogo in cui riposava il Sigillo per assicurarsi che Sara stesse bene ed era stato lui quello che si era fatto ferire.
«Bell’esempio di persona adulta» si disse. In realtà si vergognava per un’altra ragione. Si era quasi tradito poche ore prima. Da quando Sara lo aveva baciato e aveva cercato di fare l’amore con lui, Patrick aveva capito che non gli era indifferente.
Provare qualcosa per lei era sbagliato? In fin dei conti era maggiorenne e lui non era tanto più vecchio di lei.
«Che diavolo vado a pensare» si rimproverò, scuotendo la testa per scacciare quei pensieri.
Una fitta di dolore gli attraversò le tempie. Il colpo subito dall’arma di quella ragazza non era poi così innocuo. Si tolse i guanti di pelle e li gettò sul comodino.
Doveva concentrarsi su questi nuovi ragazzi, tenerli a bada prima che diventassero un pericolo per tutti.
Il dolore alla testa riprese a tormentarlo. Più forte, acuto e martellante. Non sapeva come calmarlo, non poteva rivolgersi a un medico. Per non correre rischi si sarebbe preso un paio di aspirine.
Tentò di sollevarsi dal materasso, ma il male lancinante al capo lo fece ricadere sulla schiena. Le fitte divennero più ravvicinate e più profonde. Era come se qualcosa spingesse per uscire dalla sua nuca. Urlò e si portò le mani alle tempie, quasi la testa stesse per scoppiargli.
Non ci fu nessuna esplosione fisica, ma le visioni riempirono la sua mente.

La casa era in fiamme. Tossì ripetutamente e poi si ricordò di Samuele. Era ancora prigioniero all’interno. Tirò l’impermeabile sopra la testa e si ributtò in quell’inferno.
Non sprecò tempo e fiato a chiamarlo, rischiava solo di inalare altro fumo e gli sarebbe stato letale.
La cucina era il punto di origine dell’incendio, ma il ragazzino era nel salone. Stava guardando la televisione. Uno strumento alimentato elettricamente. Si appiattì sul pavimento e lo scorse. Samuele era steso in terra, tra il tavolino con le riviste e il divano. Lo sollevò, avvolgendolo nell’impermeabile e lo strinse tra le sue braccia.
Guardò davanti a sé: rifare il percorso al contrario sarebbe stato più complicato. Si erano scatenate fiamme dovunque.
Il fuoco divampava ed era abbagliante.
Tanto da spingerlo a chiudere gli occhi. Li riaprì ed era altrove.
Camminava nei grigi corridoi del C.E.N.T.R.O., fissando le pareti ai due lati. Non era certo il posto più allegro dove far crescere dei ragazzini. Magari abbellirlo un po’ con qualche poster avrebbe fatto la differenza. Mentiva a se stesso per non accettare la realtà. Comunque la dipingi, una prigione, rimane una prigione.
Girò la manopola della stanza adibita ad aula. Gli altri ragazzi se ne erano già andati, ma Samuele era ancora lì: seduto da solo dietro al banco.
Si piegò sulle gambe, in modo che i loro volti fossero alla stessa altezza.
«Ti sei dimenticato di nuovo del nostro appuntamento.»
Samuele non rispose.
«Lo sai che è per il tuo bene. Per evitare altri incidenti.»
«Voglio andare a casa» disse Samuele.
«Lo so e ti riporterò io personalmente» rispose. «Ma prima dobbiamo insegnarti a  controllare il tuo dono. Non possiamo rischiare che tu faccia del male a mamma o papà.»
«Non è vero! È una bugia.» Samuele scattò in piedi e corse verso la porta.
«Samuele!»
Il ragazzino si bloccò. Si girò lentamente e lo guardò con disprezzo, come può disprezzare un ragazzino della sua età. «Stai mentendo. So cosa farete. Gli altri ragazzi non fanno che ripetermelo.»
Avanzò verso di lui e gli mise le mani sulle spalle. «Cosa ti hanno detto?»
«Non andrò mai via da qui. Loro sono entrati prima di me e non sono più usciti.»
Non poteva negarlo. Aveva avuto anche lui gli stessi pensieri, gli stessi dubbi. Li aveva ignorati ogni volta che erano emersi a stuzzicarlo, ma non lo avrebbe fatto questa volta. Aveva portato lui Samuele in quell’istituto e non intendeva rinchiuderlo lì.
Si accovacciò ancora davanti al ragazzino. «Facciamo un patto. Parlerò con il professor De Santi e gli chiederò spiegazioni. Mi farò confermare e giurare che una volta imparato a controllarti, sarai libero di tornare a casa tua.» Vide il barlume della speranza e della fiducia affacciarsi nei giovani occhi del ragazzino. «Però tu non devi più saltare nessuna lezione con me. Prima saprai come usare il tuo potere, prima potrò portarti dai tuoi genitori.»
«Me lo prometti?»
«Croce sul cuore» rispose disegnando due linee immaginarie sul petto.
Samuele sorrise. L’aria intorno a lui si riempì di elettricità e dal suo corpo sprizzarono scintille. Erano così  luminose…
Ancora troppa luce. Si coprì il volto, quando scostò la mano, non poteva muovere un muscolo.
Era steso su un tavolo di marmo gelido. Il freddo gli passava attraverso la pelle nuda della schiena, sul petto avevano disegnato un simbolo.
Rimase immobile, girò solo gli occhi per scrutare i presenti. Erano in cinque, tutti con una casacca viola e con il cappuccio calato sul volto. Si erano disposti in circolo intorno al tavolo, intorno a lui.
La lampada al neon illuminava debolmente la stanza. Era sufficiente per indicargli che era nel misterioso sotterraneo del C.E.N.T.R.O. Aveva sperato di non doverlo visitare in quel modo.
Uno dei cinque, quello ai suoi piedi, iniziò a recitare una formula. Sembrava un rito, qualcosa di antico. Oppure qualcosa senza senso. A ogni modo, non capiva quello che dicevano. Gli altri lo imitarono uno dopo l’altro, partendo da quello al fianco del primo, seguito da quello alla sua destra e poi da quello alla sua sinistra.
Tra di loro dovevano esserci anche una o più donne. La voce femminile si mischiava a quelle maschili e non riusciva ad identificare in quante potevano essere.
L’individuo dietro di lui, che aveva visto solo come un’ombra incombente, si mosse di un paio di passi, in modo da rientrare ampiamente nel suo campo visivo. Gli mise la mano sinistra sulla fronte e con la destra si fece scivolare il cappuccio sulle spalle.
Dal volto appariva un uomo adulto, ma non in età avanzata. Aveva i capelli castano chiari e due lunghe basette, che davano inizio a una cornice di barba curata intorno alle labbra carnose.
Gli sorrise. Non sembrava cattivo. Forse voleva rassicurarlo. Però non ci riuscì.
Era terrorizzato da quello che stava per accadere.

Patrick si rizzò a sedere sul letto come spinto da una molla invisibile, alla stessa velocità con cui escono i pupazzi dalle vecchie scatole giocattolo.
Inspirò avidamente aria sia dal naso, che dalla bocca. Uscire da quella trafila di visioni era come riemergere da un pozzo profondo.
Sudato e ansimante, cercò a tentoni i guanti sul comodino e ci fece scivolare di nuovo le mani all’interno.
Passati i primi istanti di confusione, fu pervaso da un’inaspettata euforia. Il suo corpo gli stava suggerendo la verità su ciò che la sua mente gli aveva appena offerto.
Quelle che aveva avuto non erano state comuni visioni. Erano molto di più. Non sapeva come o perché erano spuntati proprio in quel momento, ma i ricordi erano finalmente tornati da lui. Aveva assistito a eventi del suo passato, lo stesso che aveva rincorso e desiderato scoprire a lungo senza successo.
«Samuele… il C.E.N.T.R.O. e quell’uomo.»
Erano i primi pezzi del puzzle. Il ragazzino lo aveva riconosciuto dal ritaglio di giornale che aveva avuto fin dal giorno in cui era tornato dall’ospedale E se come supponeva anche gli altri due appartenevano alla sua vita prima che la mente diventasse una tabula rasa, ora poteva cominciare a ricostruire chi era stato prima del coma. Ma non poteva farlo da solo.
Patrick sorrise. Sapeva chi chiamare per ricevere aiuto.

 
Continua…