lunedì 30 ottobre 2017

Darklight Children - Capitolo 53


CAPITOLO 53

Minaccia dal passato e nel presente

 
Reggendo con la mano sinistra la bretella dello zaino sulla spalla, Yuri posò sulla cattedra i fogli del test che teneva nella destra.
La professoressa seduta dietro il tavolo, chiese: «Sei sicuro? Non vuoi rileggerlo con calma?»
«Sono sicuro» rispose. «Posso andare?»
La donna fece un cenno affermativo con la testa e lui uscì dall’aula. Non era sicuro di aver dato il meglio, ma non se ne preoccupava. Per come la vedeva lui, la simulazione era inutile. Il tipo di testo che avrebbe dovuto scrivere e analizzare durante il vero esame sarebbe stato del tutto diverso. Probabilmente molto più complicato, e quindi avrebbe sfruttato tutto il tempo a sua disposizione, cosa che non aveva fatto oggi, visto che la votazione non avrebbe influito in nessun modo.
Yuri camminò nel corridoio deserto diretto verso l’atrio. Con Sara era rimasto d’accordo di vedersi lì, se qualcuno dei due avesse finito prima. Davanti a sé però non scorse nessuno. Controllò l’orologio al polso e si rese conto di essere uscito quasi un’ora e mezza prima.
Lo assalirono i dubbi. Forse sono andato via troppo in anticipo. Sicuramente Sara prenderà questa cosa più seriamente di me, e conoscendola, non la vedrò uscire così presto. Poi si rilassò e sorridendo, decise di aspettarla. Voleva parlare con lei, quella mattina si era dimostrata più socievole dei giorni precedenti, poteva esserci ancora una chance per la loro storia.
Decise che il luogo migliore era la biblioteca, il più delle volte era poco frequentata e poteva starsene in pace, senza rischiare di incrociare qualche compagno desideroso di confrontare con lui l’esperienza del test.
Tornò sui suoi passi e imboccò il corridoio opposto a quello che portava alle classi. La prima porta sulla destra era quella della biblioteca e la trovò aperta. Sbirciò dentro e come prevedeva non c’era anima viva. Persino il bibliotecario era assente.
«Sarà andato a fumarsi la sua solita sigaretta» ipotizzò e sistemò lo zaino sulla sedia al capo del tavolo in fondo alla stanza. «Ora devo trovare qualcosa da sfogliare per passare il tempo.»
Andò verso le librerie con i vetri scorrevoli, sistemate sul lato sinistro una dietro all’altra come tessere del domino, e passò in rassegna un po’ di titoli. Non si aspettava di trovare granché di interessante, dopotutto era la biblioteca della scuola e non un negozio in centro. Dopo aver superato la metà dello scaffale, individuò il titolo: “Battaglie Medievali. Armi e strategie”. Lo sfilò dal gruppo e esaminò velocemente il contenuto. C’erano abbastanza figure per intrattenerlo il tempo necessario.
Con il volume in mano, Yuri andò verso la sedia con sopra lo zaino, lo spostò e si sedette. Aprì il libro sul tavolo e comincio a girare svogliatamente le prime pagine, scritte con caratteri piccoli e con una spaziatura strettissima. Dopo le prime dieci, trovò un’immagine a tutta pagina raffigurante delle spade. Erano sei in totale e a una prima occhiata gli parvero tutte uguali.
Si sporse più in avanti e rimase a fissarle con attenzione, come rapito. Sorprendendosi, notò all’istante che non erano affatto simili, ma ognuna aveva un tipo di lama adatta a una situazione di battaglia specifica. Strizzò gli occhi per leggere i nomi attribuiti, ma si rese conto di conoscerli prima di identificarli con la vista. Come se li avesse saputi da sempre. Quando posò lo sguardo su una delle due rappresentate nel mezzo, il suo cuore ebbe un sussulto. Aveva già impugnato una spada come quella. Ne era sicuro. L’elsa stretta, la guardia tonda e spessa e la lama lucente che si allargava fino alla punta. Era un’arma massiccia, che aveva fatto fatica a reggere con due mani, ma che poi aveva imparato a sostenere con una sola.
«La tua prima spada era così. Me lo hai detto quando mi hai ucciso.»
Yuri si girò di scatto. Alla sua sinistra era comparso un uomo con i capelli lunghi e sporchi, che gli ricadevano sulle spalle nude. Non riusciva a riconoscerne il colore, gli parve lo stesso della pelliccia di un ratto, ma il suo volto era pieno di tagli e lividi, e la pelle, così come il resto degli stracci sul corpo, era grigia.
«Chi sei? Da dove sei entrato?» domandò senza riuscire  a muovere un muscolo.
«Sono quello che ti ha soccorso quando hai finto di essere stato attaccato da un gruppo di demoni. Sono lo stupido che ha visto un ragazzino dalle sembianze umane, senza capire di avere davanti un mostro» rispose l’uomo, alzando rabbioso il tono della voce sepolcrale.
«N-non capisco… di che cosa parli?»
L’uomo grigio si spostò alle sue spalle e gli sussurrò all’orecchio: «Credevi che fosse così facile? Essere un assassino e non rivedere più i volti delle tue vittime? Ti sei sbagliato.»
Yuri si sforzò di mantenere la calma. «È uno scherzo! Tu non sei reale.»
«Già, per quelli come te, la morte è uno scherzo. Un gioco.» Gli passò un braccio intorno al collo, ma non sembrava riuscire a toccarlo. «Ora è arrivato il nostro turno di giocare.»
L’uomo tentò di stringere. Yuri si rese conto di avvertire solo un forte gelo sulla pelle, ma non la stretta mortale con cui lui voleva ucciderlo.

La porta si chiuse, sbattendo violentemente.
Yuri balzò in piedi e la sedia cadde all’indietro sul pavimento.
«Chi c’è?» chiese allarmato il nuovo arrivato.
Il ragazzo riconobbe una voce maschile. Una voce reale. Guardò al suo fianco e alle sue spalle, ma quell’essere grigio era sparito. Lo stipite di una delle librerie gli copriva la visuale dell’ingresso, così si sporse titubante e vide un uomo grassoccio con i capelli grigi e un paio di piccoli occhiali tondi, che si allargava il nodo della cravatta, mentre gocce di sudore gli scivolavano dalle tempie.
«S-sono Yuri Monti» rispose automaticamente. «Ero qui per…»
«Devi andare via» gridò l’uomo. «La biblioteca è chiusa.»
Yuri trovò il coraggio di avanzare di qualche passo. Nonostante fosse ancora sconvolto per la strana figura che lo aveva aggredito, riconobbe l’uomo come il bibliotecario e vide che era paonazzo e ansava. «Si sente bene? Posso andare a chiamare qualcuno.»
«No! Vai fuori di qui!» ripeté l’altro. Le gambe gli cedettero e cadde sulle ginocchia. Si slacciò del tutto la cravatta e il primo bottone della camicia e si piegò in avanti, tenendosi una mano sul petto. «Non ancora… non adesso…»
Yuri gli si avvicinò di più. «Lei non sta bene. Lasci che l’aiuti ad andare in infermeria.» Da quella distanza vide delle strane macchie sul suo collo.
Il bibliotecario lanciò gli occhiali accanto a sé e si infransero in pezzi sulle mattonelle del pavimento. Alzò il capo e mostrò gli occhi rossi, come il sangue. «No! Ormai è troppo tardi» rispose con la voce deformata e cavernosa.
Yuri, vedendolo in quello stato, arretrò velocemente. Era scosso per la strana allucinazione, ma non tanto da non capire quello che stava accadendo. Quell’uomo si stava trasformando.
Il bibliotecario si mise a quattro zampe come un animale. Il suo corpo venne scosso da fremiti e divennero in pochi secondi convulsioni. Urlò così forte che Yuri si coprì le orecchie per paura che gli rompesse i timpani. I muscoli si allargarono, quasi fossero pompati con l’aria compressa e i vestiti dell’uomo si squarciarono. Sotto i brandelli di giacca, camicia e pantaloni, furono visibili una quantità smisurata di macchie squamose color giada, che si diffusero in pochi secondi e ricoprirono interamente la pelle.
Sollevò nuovamente la testa, anch’essa ormai con scaglie verdi, e un paio di corna color avorio, come quelle di un toro, gli erano cresciute ai lati della fronte. Lo scrutò con gli stessi occhi rossi di poco prima e fece saettare la lingua biforcuta dalla bocca.
Il demone appena formato si alzò in piedi. Era molto più alto e con una massa muscolare maggiore rispetto all’uomo che era stato. Fermo davanti alla porta, la copriva interamente.
Guardandolo nel panico, Yuri capì di non avere scampo.

 
Continua….

lunedì 23 ottobre 2017

Darklight Children - Capitolo 52


CAPITOLO 52

Il passato non dimentica

 
Come aveva promesso a Patrick, Sara non saltò nuovamente un giorno di scuola. Una compagna l’aveva chiamata avvertendola che ci sarebbe stata la simulazione di una prova d’esame e quindi di essere presente.
Camminando in fila dietro agli altri studenti, Sara si sforzò di pensare positivo. Devo solo preoccuparmi di andare bene nella prova. È questo quello su cui devo concentrami. Niente demoni, o vite passate. Come farebbe qualsiasi adolescente all’ultimo anno delle superiori.
Mentre stava per entrare nell’edificio, venne raggiunta da Yuri.
«Ciao, tutto bene? Ieri non ti ho vista. Hai avuto qualche problema?»
«No, stai tranquillo, è tutto a posto» rispose gentilmente. «Se escludiamo che oggi ho una simulazione d’esame. Però penso che me la caverò.»
Yuri sospirò. «Anche nella mia classe oggi c’è una simulazione. Il lato positivo è che possiamo uscire prima da scuola se finiamo in anticipo.»
«Non lo ricordavo. Allora è meglio che mi sbrighi. Magari ci vediamo all’uscita.» Sara lo salutò con la mano e corse verso la scale.
Rifletté che era la prima volta che riusciva nuovamente a parlargli come ai vecchi tempi da quando si erano presi una pausa.  Yuri non si era allontanato, anche se lei lo aveva trattato con freddezza e concluse che forse era arrivato il momento di ripensare seriamente alla loro relazione.

La classe era immersa nel silenzio. I due professori che dovevano sorvegliare i ragazzi erano seduti alla cattedra e tra uno sguardo e l’latro agli studenti, scambiavano due chiacchiere tra di loro.
Sara lesse velocemente le domande del test e poi evidenziò nel testo i riferimenti che potevano esserle utili. Si sentiva tranquilla, non aveva avuto difficoltà nell’individuare le risposte e credeva di essere in grado di rispondere a tutte le domande in breve.
Dall’inizio del tempo a disposizione non staccò lo sguardo dai fogli e all’improvviso la vista le giocò un brutto scherzo. Le parole cominciarono a sovrapporsi una con l’altra e le lettere a cambiare posto tra loro.
Non devo cedere alla stanchezza si disse, chiudendo momentaneamente gli occhi. Ancora pochi minuti di concentrazione e avrò finito.
Sollevò le palpebre e trovò un volto a fissarla, all’altezza della nuca del compagno seduto davanti a lei. La faccia aveva una carnagione grigiastra e i capelli appiccicati alla testa erano della stessa tonalità. Il labbro inferiore era rotto e una crosta di sangue grigio scuro formava una virgola sul mento.
Sara scrutò intorno a sé, ma tutti avevano lo sguardo rivolto sui propri fogli. E i professori discutevano tra loro, uno di fronte all’altro. Era l’unica a vedere quel volto galleggiare nel vuoto.
«La principessa è senza parole» disse all’improvviso la testa del giovane uomo.
Sara non rispose.
«Credi di potermi ignorare?» riprese lui. «O pensi che qualcuno di loro possa sentirti?»
«Che significa?» domandò Sara, parlando a voce alta.
«Hai notato qualcuno girarsi? No. Questo perché non puoi scappare da me. Come io non ho potuto scappare da te.»
«C-chi sei?»
«È quasi divertente che tu me lo chieda» rispose, senza ridere. «Prima di finirmi, hai detto che il primo uomo che uccidi non lo scordi mai.»
Sara scosse violentemente la testa. «Non ti ho ucciso. Non ho ucciso nessuno.»
«Bugiarda! Tu, Sayka figlia bastarda di DiKann, sei un’assassina.»
«Non sono Sayka. Lo ero, ma ora sono Sara Martini.»
L’espressione dell’uomo divenne ancora più rabbiosa. «Tu sarai sempre Sayka. Chi hai ucciso non lo dimenticherà tanto facilmente, come cerchi di fare.» Dall’estremità inferiore della testa prese forma il collo e il torace, seguiti da un paio di braccia e mani, tutto dello stesso colore grigio fumo. Rapide, le mani  si avvicinarono minacciose al suo collo.
Sara cercò di allontanarle con le proprie, ma lui le schivò senza sforzo.
«Tutti i morti di cui sei responsabile sono parte di te!» urlò, mentre il resto del suo corpo compariva, posizionandolo in ginocchio sul banco, sopra ai fogli del test. Gli si lanciò contro e le strinse le dita intorno al collo, buttandola per terra.
Sara sentì il respiro mancarle e udì la sua gola emettere un rantolo, mentre gli occhi gelidi del suo assassino brillavano di gioia.

«Martini! Martini!»
La voce agitata del professore fece aprire di colpo gli occhi a Sara. Era distesa sul pavimento, accanto al suo zaino, respirava affannosamente, mentre il professore chino su di lei continuava a chiamarla.
«Stai bene?» le chiese spaventato.
«Non… non lo so» balbettò lei, rendendosi conto di avere addosso lo sguardo sgomento di tutti i compagni.
«Hai fatto degli strani versi e poi sei caduta per terra» raccontò l’uomo, aiutandola a rialzarsi.
«Voi, tornate al vostro lavoro» disse l’altro professore ai ragazzi, e uno dopo l’altro eseguirono l’ordine.
Il professore che l’aveva soccorsa, accompagnò Sara fuori dalla classe. «Cosa ti è successo?»
«Non so. Credo di aver avuto un attacco di panico» mentì lei. Non poteva e non voleva parlare dello strano uomo grigio che aveva tentato di ucciderla.
«A che punto sei con il test?»
«Mi mancano le ultime due domande.» 
Il professore la squadrò dubbioso. «Non mi sembri nello stato di continuare. È meglio che tu vada dal consulente. Se hai un problema a gestire lo stress, è meglio risolverlo prima dei veri esami.»
Senza concederle repliche, l’uomo la scortò al piano superiore davanti all’ufficio del consulente scolastico. La porta era aperta, così entrò insieme a Sara. «Scusi il disturbo, dottor De Santi, Sara Martini ha avuto un problema durante la simulazione d’esame e credo sia opportuno che ne discuta con lei.»
Kaspar De Santi alzò la testa dalle carte che stava leggendo sulla sua scrivania e annuì. «Certo. Vieni Sara, siediti pure.»
Sara si ritrovò a farlo anche se non ne era del tutto convinta. Avrebbe voluto ribattere che non era necessario portarla lì, e che il consulente non poteva fare niente per lei. La situazione però era incomprensibile, le ci voleva del tempo per capire cosa fare e come uscire da lì senza aggiudicarsi un biglietto di sola entrata per il manicomio.
«Non preoccuparti per la prova. Terremo conto di questo imprevisto. Devo andare dagli altri prima che venga invalidata la simulazione. Torna quanto ti senti pronta.» Il  professore sparì dall’ufficio in un lampo.
Sara si ritrovò a fissare il volto calmo e sereno del dottor De Santi.
«Vuoi un bicchiere d’acqua?» le domandò Kaspar, notando la sua espressione spaurita.
«Sì, grazie» rispose. Istintivamente si tastò con le dita della mano sinistra il collo, sentendo ancora sulla pelle la stretta dell’uomo in  grigio.
Kaspar si alzò e prese un bicchiere di carta sotto il distributore a forma di boccia, posto accanto all’entrata dell’ufficio. Lo spinse contro la manopola e lasciò che l’acqua lo riempisse. Lo porse poi a lei. «Raccontami con calma cosa è successo.»
Sara impiegò più tempo del necessario a mandare giù l’acqua. Non sapeva cosa inventarsi. Non capiva nemmeno lei cosa le fosse accaduto. Scostò il bicchiere di plastica dalle labbra e disse: «Penso di aver avuto un attacco di panico.»
«Ti è già successo in passato?»
«No.»
«Però hai subito identificato il tuo disturbo come un attacco di panico» sottolineò Kaspar. «Dimmi, cosa hai provato di preciso?»
Sara bevve un nuovo sorso d’acqua e  deglutì. «Stavo rispondendo alle domande della prova di simulazione. Ero tranquilla, mi mancavano solo due risposte...» fece una pausa. Decise di raccontare quello che le era capitato, omettendo qualche dettaglio. Anche perché tutti in classe l’avevano sentita mentre respirava a fatica e l’avevano vista cadere a terra, quindi era inutile negarlo. «Poi all’improvviso mi è mancato il fiato. È stato come se qualcuno cercasse di strozzarmi e senza accorgermene mi sono buttata sul pavimento. Io… credevo davvero di stare soffocando.»
«Hai avuto l’impressione di avere qualcuno addosso che ti stringeva la gola. Hai persino creduto di poter sentire le sue dita.»
Sara sgranò gli occhi sorpresa. «Si, esatto.» Non si aspettava che le descrivesse alla perfezione l’attacco che aveva subito.
«Puoi stare tranquilla. È tutto normale.»
«Davvero? Da come mi guardavano gli altri non sembrava.»
Kaspar rise debolmente. «Sei all’ultimo anno. Ci sono gli esami di maturità e poi devi decidere cosa fare del tuo futuro. Per certi ragazzi questo è uno stress più pesante di quanto non si aspettano. I momenti di crisi come il tuo non sono nulla di preoccupante. Devi cercare di rilassarti. Non devi prendere tutte le decisioni adesso. E devi parlare delle tue paure con qualcuno. Con me, o con i tuoi genitori.»
Nella mente, Sara vide il volto di Patrick. Se pensava a qualcuno a cui confidarsi, lui le sembrava il più adatto.
«Raccontare i tuoi dubbi ad altri ti può aiutare davvero» insistette il dottore.
«D’accordo, mi sento più a mio agio con un amico di famiglia» rispose.
«Va benissimo. L’importante è che non ti tieni tutto dentro. Esternare le nostre angosce, ci aiuta a superare il problema.»
«Quindi niente pillole colorate?»
«No, non sei ancora nello stato di aver bisogno di ansiolitici» disse Kaspar con un sorriso. «Però vorrei che mi tenessi aggiornato su questi episodi. Solo per sicurezza.»
Sara annuì.
«Ok. Credo che tu possa tornare in classe.»
Sara ingollò il resto dell’acqua e posò il bicchiere sulla scrivania. Si alzò e uscì dalla stanza.

Kaspar prese il bicchiere di plastica vuoto, lo accartocciò e lo gettò nel cestino accanto alla porta. La chiuse e tornò alla sua scrivania.
Aprì l’ultimo cassetto sul lato destro ed estrasse un plico di cartellette beige. Erano cinque e su ognuna in alto a destra era scritto in stampatello un nome: NAOKO MANCINI; YURI MONTI; SABRINA CORTI; DAVIDE CAPRI; SARA MARTINI;
Kaspar afferrò l’ultima e l’aprì. Sul fondo di un foglio, già pieno di suoi appunti scritti a mano, aggiunse: “Primi segni di allucinazioni sul passato. Ricordi che emergono spontaneamente? Verificare.”
Chiuse il fascicolo, si voltò sulla sinistra e controllò il calendario appeso alla parete. «Devo fare visita a Patrick Molina al più presto. Dopo due mesi, è l’ora di valutare se ha fatto progressi con il suo incarico e ha altre informazioni sui cinque soggetti.»
Kaspar ripose i cinque fascicoli nel cassetto e tornò al suo lavoro di copertura di consulente scolastico. 

 
Continua…

lunedì 9 ottobre 2017

Darklight Children - Capitolo 51


CAPITOLO 51

Conforto

 
Ferma davanti al cancello della scuola, Sara guardò i ragazzi che entravano tranquillamente. Alcuni chiacchieravano tra loro, altri ridevano, qualcuno aveva delle cuffie nelle orecchie ed era concentrato solo sulla musica che ascoltava. 
Nessuno sapeva il potenziale pericolo che li aspettava una volta varcata la soglia.
Angelo Moser aveva supposto che alcuni ex-adepti del professor Barbieri potessero essere parte del personale scolastico. Ricordando gli eventi dei mesi precedenti, Sara si domandò se era corretto escludere a priori anche gli stessi ragazzi: compagni ripetenti rimasti di proposito nella scuola; fratelli minori di membri della setta, come era già successo; altri, iscritti apposta per seguire lei e i suoi amici. E ognuno di loro poteva avere un uovo dentro il corpo, pronto a schiudersi in qualsiasi momento.
Leo ha sempre detto che venire a scuola era come entrare per otto ore all’inferno pensò Sara. Se fosse qui mi ripeterebbe di aver avuto ragione. I demoni si aggirano tra quei corridoi insieme a noi.
Rimase qualche altro minuto a osservare tutti quei ragazzi che in apparenza erano simili a lei. Li invidiò, ignoravano molti aspetti del mondo, storie che leggevano solo nei romanzi, nei fumetti o vedevano in tv o al cinema nelle serie tv e nei film, ma che per lei erano parte della sua vita quotidiana.
La campanella dell’inizio delle lezioni risuonò per tutto il cortile e Sara prese la sua decisione. Non sarebbe stata loro preda. Non quel giorno almeno.
Notò di essere rimasta sola davanti al cancello. Nessun occhio indiscreto. Focalizzò nella mente il luogo e attivò il suo potere.

Un lampo di luce fugace illuminò il magazzino del Full Moon, teletrasportando Sara nel luogo.
Non appena l’effetto del suo potere svanì, tutto intorno tornò semibuio. La luce filtrava da una persiana abbassata su una minuscola finestra e le permetteva di vedere i rifornimenti del locale accatastati in ogni angolo.
Perché continuo a tornare qui? si chiese. E sapeva che la risposta era sempre la stessa. Quello era il posto in cui suo fratello era stato vivo per l’ultima volta. Era come se trovarsi lì, le desse la possibilità di rivederlo.
«Sono davvero una stupida» disse nel silenzio. Strinse i pugni contro i jeans e si morse con rabbia il labbro inferiore. Sentì le lacrime inumidirle gli occhi. Non avrebbe pianto. Era stanca di farlo, la faceva sentire debole.
«Sara…»
Sara si girò di scatto. Si guardò intorno. La porta era chiusa a chiave. Nessuno poteva essere entrato. Lo avrebbe sentito.
«Sa…ra…»
Quella voce! Non può essere. Compì un giro completo su se stessa e quando si fermò, una sagoma sembrò formarsi davanti ai suoi occhi. I contorni erano confusi, ma non per questo irriconoscibili. Anche se trasparente ed etereo, era sicura che il ragazzo che aveva di fronte a lei fosse suo fratello.
«Leonardo… non è possibile» disse in un sussurro. Allungò la mano sinistra per toccarlo e nello stesso istante la serratura alle sue spalle scattò.
Si spostò rapida dietro una pigna di scatoloni e accovacciandosi, udì una voce familiare.
«Ho capito. Due confezioni: una di acqua tonica e una di aranciata» disse Carla Monti, spalancando la porta.
La madre di Yuri entrò nel magazzino e si diresse sicura sul fondo, davanti alle confezioni delle bibite. Attraversò il locale senza incontrare lo spettro di nessun ragazzo.
Sara pensò che poteva scomparire in un batter d’occhio, ma avrebbe generato un lampo di luce e attirato attenzione. Rimase ferma a trattenere il respiro. Ascoltò con attenzione i rumori. Se avesse sentito i passi avvicinarsi al suo nascondiglio, si sarebbe teletrasportata e al diavolo le precauzioni.
La donna armeggiò con un paio di casse, le raccolse da terra e uscì tirandosi la porta dietro con una mano sola. Girò la chiave e fece scattare di nuovo la serratura.
Sara attese qualche secondo e poi si alzò lentamente. Sbirciò da dietro gli scatoloni e ebbe conferma di essere di nuovo sola. La sensazione di rilassatezza durò poco. Ripensò a cosa aveva visto e si agitò.
Queste allucinazioni stanno peggiorando. La tristezza lasciò il posto al timore. Ciò che solo lei riusciva a vedere era ancora più spaventoso. Le tornò alla memoria il giorno dell’attacco del bidello e di come nella sua mente fosse emerso il ricordo di come fosse la reale forma di un demone completamente sviluppato. Sapeva con certezza che quel ricordo non era suo. Era di Sayka.
«Davide ha ragione. Devo parlarne con qualcuno o finirò con l’impazzire.» Sara chiuse gli occhi e lasciò che vento e luce la facessero svanire dal magazzino.

Sara ricomparve nel salotto di un appartamento che le era familiare. La sua mente l’aveva portata dall’unica altra persona, oltre ai suoi amici, che conoscesse la maggior parte dei suoi segreti: Patrick Molina con il dono della veggenza, che era stato di grande aiuto dall’inizio della vicenda con la setta.
Si mosse lentamente. Non era carino piombare in casa di qualcuno senza annunciarsi, ma non aveva mai salvato il numero dell’uomo sul cellulare. E comunque aveva deciso di tenerlo spento per tutta la giornata, in modo da evitare di venire contattata.
Sara uscì dalla stanza decisa a cercarlo nel resto dell’abitazione. Magari è fuori pensò. 
Non appena arrivò davanti al corridoio, se lo ritrovò davanti che brandiva un ombrello come se fosse una mazza da baseball.
«Sara! Sei tu» disse Patrick, tirando un sospiro di sollievo. «Ho sentito dei passi e… non dovresti intrufolarti così in casa d’altri! Avrei potuto ferirti.»
«Con quello?» domandò Sara. Indicò l’ombrello, cercando di trattenere una risata.
Patrick osservò l’oggetto stretto tra le mani coperte da guanti di pelle nera. «Forse ferirti è un po’ esagerato, ma potevo comunque farti del male.» Superò la ragazza e andò a riporre l’arma nel portaombrelli, accanto alla porta d’ingresso. «A quest’ora non dovresti essere a scuola?»
«Ecco… mi sono presa un giorno di vacanza.»
Patrick la guardò severo. «Non lo condivido, ma se sei venuta da me, invece che andare in giro a bighellonare, vuol dire che è una cosa seria.» Le indicò il divano e disse: «Avanti sediamoci.»
Lei ubbidì e fu subito sollevata di averlo scelto come confidente. «Grazie. E mi scusi se sono piombata qui così.»
Patrick tornò subito sorridente. «Potresti cominciare a darmi del tu. Coraggio, dimmi qual è il problema.»
«Fosse solo uno» rispose Sara con un’aria cupa. «È tutto un gran casino. Da quando Leo...» si fermò di colpo. Ricordò che anche Patrick era nella lista di chi non poteva più ricordarlo. Neanche con lui poteva parlare apertamente. Era andata nel posto sbagliato, ma ormai era troppo tardi per fare marcia indietro.
«Hai problemi con un ragazzo?» le domandò per colmare il silenzio.
Sara scosse la testa. Anche se in realtà un ragazzo centrava, ma non come pensava Patrick. «È per quello che sono. Dopo i guai con la setta e le conseguenze, abbiamo scoperto di più sui nostri poteri. Il punto è che so di essere stata una principessa… demoniaca. La figlia di DiKann.» 
«Aspetta, intendi quel DiKann?» chiese Patrick incredulo.
Sara annuì. Abbassò lo sguardo, non voleva scoprire di essere osservata come un mostro.
Patrick invece le mise una mano guantata sulla spalla. «Ora capisco perché non avevi voglia di andare a scuola. Anzi, mi meraviglio che tu sia riuscita a farlo per tutto questo tempo.» Poi le massaggiò gentilmente le spalle e aggiunse: «Però non dire a nessuno che te l’ho detto.»
Sara sorrise. Era divertente vedere quel ragazzo, non poi tanto più grande di lei, sforzarsi di fare la parte dell’adulto.
«E cosa ti ricordi di questo passato?» le chiese.
«Non molto, a dire il vero. Mi chiamavo Sayka ed ero fidanzata con Yuri, cioè con lo Yuri del passato. E questa è una delle ragioni per cui sono così… confusa. Come posso essere sicura di volergli bene per mia scelta e non perché era già stato così? Come so con certezza che ogni mia azione non è influenzata da ciò che sono stata?»
«Un dubbio giusto. Però, hai mai preso in considerazione che tu e Yuri siate in realtà anime gemelle?» le fece notare Patrick. «Non capisco molto di questa cosa, ma credo che se due persone sono destinate a stare insieme, continuano a cercarsi. Probabilmente per voi è stato lo stesso.»
«Sì, ma ho dimenticato un particolare: lui nel passato mi ha tradita.» E poi pensò E insieme abbiamo anche progettato di uccidere mio fratello. Ovviamente non voleva riportare la discussione su quell’argomento, quindi lo tenne per sé.
«E lo ha fatto anche nel presente?»
«Tradirmi? No… non credo… ora ci siamo presi una pausa.»
«Ho capito qual è il tuo errore» disse Patrick. «Tu continui a pensare a te stessa come se fossi Sayka. Ma lei non c’è più, è qualcuno che sei stata in un’altra vita. Può darsi che di tanto in tanto i ricordi di lei ti tornino alla mente, ma tu ora sei un’altra persona. Le scelte che hai fatto, le persone che hai voluto intorno, sono una tua decisione. E anche i tuoi sentimenti sono solo tuoi.»
«Quindi mi stai dicendo che devo andare da Yuri e dirgli di tornare insieme?»
«Dico solo che non devi avere pregiudizi» rispose lui. «Se senti di aver bisogno di prenderti del tempo, allora fallo, ma non farti condizionare dalla tua vita passata.»
Sara scosse la testa. «Non è così facile. Quando i ricordi di Sayka emergono, non posso a fare a meno di sentirmi sporca, sbagliata. Dopotutto lei era un demone.»
Patrick le mise anche l’altra mano sulla spalla libera e la obbligò a girarsi in modo da guardarlo in volto. «Dimenticati di Sayka. Tu sei migliore di lei. Fai come me: non ricordo minimamente chi sono stato prima di risvegliarmi dal coma e mi sono costruito una nuova vita. Forse ho il vantaggio di non sapere se sono migliore del Patrick che sono stato fino a quel momento, ma se anche dovessi ricordare gli sbagli che ho commesso, andrò avanti. Non posso cambiare il passato, ma posso rendere migliore il presente.»
«Wow» esclamò Sara. Rivalutò la scelta di essere andata da Patrick. Forse non era a conoscenza di tutto, ma aera riuscito comunque ad aiutarla. A ridarle un briciolo di speranza. Inoltre, le piaceva quello che le aveva detto e soprattutto sembrava anche facile da mettere in pratica. Aveva ragione: doveva riprendere il controllo della sua vita. «Mi hai convinto.»
Patrick si alzò in piedi soddisfatto. «Sono contento. Promettimi che cercherai di andare a scuola, anche se è difficile.»
Sara aveva omesso gli altri motivi per cui aveva saltato le lezioni, Patrick era riuscito a farla sentire fiduciosa come non le accadeva da mesi e non voleva rovinare quel momento.
«D’accordo» rispose. Stava per ricorrere al suo potere per andarsene, quando sentì il bisogno di chiedergli: «Potresti abbracciarmi? »
Lui la guardò insicuro.
«Ti sembrerà infantile, ma dopo una chiacchierata così, quando mi confidavo con un’altra  persona, be’ lo faceva sempre.»
«Ok..»
«E so che è un problema, ma puoi farlo senza guanti?»
Sapeva che per Patrick quella era l’unica protezione alle visioni involontarie, ma a lei serviva un contatto umano e i guanti, per quanto superficiali, non lo avrebbero reso tale.
Patrick li sfilò e li posò sul divano.
Sara gli si avvicinò e lui le avvolse il corpo gentilmente con entrambe le braccia. La strinse debolmente, un po’ impacciato. Rimase attaccata a lui per pochi secondi, Poi, pur avendo fatto lei quella richiesta, si sentì in imbarazzo.
Si staccò e disse: «Grazie. Ora  è meglio che vada.»    
Patrick aprì la bocca, ma prima che uscisse alcun suono, Sara era già svanita in un lampo di luce.

Patrick rimase in piedi a fissare la stanza vuota.  Non aveva avuto il tempo di dirlo a Sara, ma dopo  averla sfiorata, aveva avuto una visione.
Si era visto in casa sua. Era in compagnia di un ragazzo dai capelli scuri. Lo aveva chiamato Leonardo e insieme stavano progettando un modo per portare il Ritus fuori dal Portale Mistico.
Patrick tornò a sedersi e si risistemò i guanti sulle mani. Non capiva il senso della sua visione. Che relazione c’era tra Sara e un misterioso ragazzo, che non conosceva, né credeva di aver mai incontrato?
«Leonardo» ripeté, ricordando il nome con cui lo chiamava nella visione. «Come fa a sapere dell’esistenza del Ritus
Patrick si convinse che se aveva visto quelle immagini, c’era un pericolo in arrivo.

 
                                                          Continua…

lunedì 2 ottobre 2017

Darklight Children - Capitolo 50


CAPITOLO 50

Le pericolose conseguenze di una notte

 
Un momento di debolezza.
Sabrina rimuginava su questa farse, quella con cui Yuri aveva definito la notte che avevano passato insieme. Per lei era stato il momento più felice della sua vita. La sua prima volta. La realizzazione di un sogno in cui aveva smesso di sperare: essere ricambiata dal ragazzo di cui era innamorata. Per lui, invece era stato solo sesso consolatorio.
«Sono stata una stupida» disse seduta sul divano del salotto di casa sua, avvolta in una coperta a frange. «Se non significava niente, perché è rimasto con me fino al mattino dopo?»
Purtroppo, l’unica persona che poteva darle quella spiegazione non sembrava interessata a parlarle. Per lui esisteva solo una ragazza. Sempre la stessa. Il modo in cui Yuri continuava a girare intorno a Sara come un cagnolino fedele, le dava sui nervi. 
Afferrò la tazza con il tè, ormai freddo, dal tavolino accanto a lei e se la portò alla bocca. Le bastò l’odore, perché una nuova ondata di nausea la cogliesse alla sprovvista. Posò velocemente la tazza, versando un po’ del liquido sul legno, e si coprì la bocca con entrambe le mani.
No. Ti prego, non di nuovo supplicò silenziosamente. Le nausee non le davano più tregua. Se non le venivano appena si sedeva tavola, vomitava quel poco che riusciva a ingerire. L’aspetto peggiore era incominciare a temere che Naoko avesse ragione.
La nausea passò alla stessa velocità con cui era comparsa, ma Sabrina non si sentì meglio. Ormai era arrivata alla convinzione che quell’unica notte con Yuri avesse portato enormi conseguenze nella sua vita.
«Sono incinta» disse a voce alta, quasi a voler destare la sua coscienza intorpidita.
Non poteva cambiare ciò che era successo. La verità, per quanto scomoda, in breve tempo sarebbe stata sotto gli occhi di tutti, eppure questo non bastava a darle il coraggio per accertarsi delle sue condizioni.
Si alzò e andò in cucina con la tazza in mano. Versò il contenuto nel lavandino, aprì il rubinetto e lasciò che l’acqua trasportasse con sé nello scarico anche il tè. Osservando il fondo tornare pulito, disse: «Vorrei che anche cancellare il mio passato recente fosse così semplice.
Il campanello trillò per tre volte. Sabrina si riscosse, abbandonò la tazza nel lavabo e andò alla porta d’ingresso dell’appartamento. Ciò che vide dallo spioncino destò le sua curiosità. Introdusse le chiavi nella serratura e aprì la porta. «Ciao Naoko, cosa ci fai qui?»
«Oggi non ti ho vista a scuola e volevo farti una visita di cortesia» le rispose.
Senza riuscire a nascondere la sua sorpresa, Sabrina chiese: «Come sai dove abito? Non ricordo di avertelo mai detto.»
«Non lo so, infatti. Mi hanno guidato loro.» Naoko, si girò all’indietro e indicò con l’indice destro i fedeli gatti, fermi accanto ai suoi piedi «Possono entrare con me?»
«Si, certo. Accomodati.» I suoi ospiti avanzarono e Sabrina chiuse la porta, rendendosi conto troppo tardi di essere ancora in pigiama. «Scusami se ti accolgo così, ma stamattina mi sono svegliata tardi» si giustificò, facendola sedere al tavolo in cucina.
«Non preoccuparti, sono io che sono venuta senza avvisarti» replicò lei, posando la borsa a tracolla sul tavolo. «Allora, come ti senti?»
Sabrina distolse lo sguardo e osservò Ombra. Il gatto nero rimase fermo davanti all’entrata della stanza, sedendosi sulle zampe posteriori e osservando la scena come una vedetta scruta l’ambiente dalla sua torre di controllo. Il compagno bianco, Scintilla, invece si strusciò sulle sue gambe. «Posso prenderlo in braccio?»  chiese.
«Quel gatto è senza pudore» disse Naoko. «Il vero problema, sarà farlo scendere dalle tue ginocchia.»
Sabrina sorrise. Il micio bianco si fece sollevare da terra e adagiare sulle gambe, quando gli massaggiò il pelo lucente, miagolò soddisfatto.
«Come vanno i tuoi disturbi?»
«Sei proprio un coccolone» mormorò Sabrina.
«Continuerai a evitare di rispondermi? Per me non c’è problema, ma non credo che potrai restare chiusa qui dentro per sempre.»
Sabrina rimase in silenzio, con lo sguardo basso, continuando a lisciare il pelo candido di Scintilla. Poi alzò il capo e disse: «Sto meglio. Più o meno. Ho un po’ di nausea, ma non credo sia legata al mio...insomma...»
«Al fatto che sei incinta» completò la frase Naoko.
«Forse. È solo una supposizione.»
«Da quanto tempo hai questo dubbio?» le domandò seria.
«Ho avuto un ritardo del ciclo di due settimane a inizio gennaio, ma non sono mai stata una precisa e con tutto lo stress che abbiamo sopportato, non ci ho dato peso. Qualche giorno fa sono incominciate le nausee. Ho continuato a rimandare questo pensiero, convincendomi che qualunque cosa fosse, ci avrei pensato più avanti.»
«Hai fatto il test per esserne sicura?»
Sabrina strabuzzò gli occhi. «No» rispose secca.
Naoko aprì la cerniera della borsa. Infilò la mano sinistra dentro e dopo aver rovistato tra i libri, estrasse un busta di carta bianca. La mise sul tavolo e la spinse verso di lei.
«Che cos’è?» domandò.
«Ho immaginato che se non te lo portavo io, non avresti avuto il coraggio di comprarlo.»
La ragazza abbandonò il pelo morbido di Scintilla e con entrambe le mani frugò all’interno del sacchetto. «Un test di gravidanza.» Non era sorpresa che Naoko avesse preso l’iniziativa, ma dubitava che fosse per amicizia nei sui confronti. Di certo stava pensando alla possibilità che la scoperta coinvolgesse anche la sua migliore amica Sara.
«Non vuoi sapere se stai effettivamente aspettando un figlio?»
«Questi affari non sono sicuri al cento per cento.»
«Il farmacista che me lo ha venduto, dice che lo sono nel novanta per cento dei casi.»
Sabrina si rigirò un paio di volte la confezione tra le mani e poi sentenziò: «Ti ringrazio, ma non credo di usarlo.»
«Perché? Se il test rivelasse che non aspetti un bambino, ti toglieresti un dubbio che ti tormenta. In caso contrario avresti una conferma e potresti parlarne con il padre.»
Sabrina si irrigidì.
Naoko si sporse in avanti. «Tu sai chi è, vero?»
«Certo che lo so» rispose offesa Sabrina. «Non sono convinta, però, che la notizia lo interesserebbe.»
«Dovrebbe comunque saperlo.» Naoko abbassò la voce e aggiunse: «E forse, non solo lui.»
Tra le due cadde il silenzio. Sabrina avrebbe voluto domandarle di chi sospettava e se pensava a Yuri, come mai pensasse proprio a lui in particolare, ma così avrebbe solo finito con complicare di più la situazione.
Ombra si spostò dalla sua postazione e andò verso la padrona. Miagolò insistentemente, segno che voleva essere preso in braccio a sua volta. Naoko lo accontentò e prese a grattargli la testa. «In che modo posso convincerti a fare quel test?»
Sabrina la scrutò incerta. Forse l’aveva giudicata male. Poteva davvero essere sinceramente preoccupata per lei. E magari le stava dimostrando la sua amicizia…
«Mantieni un segreto.»
Naoko corrugò la fronte. «Cosa?»
«Se ti dico il suo nome, del padre, mi giuri che non lo dirai a nessuno?»
«Hai la mia parola.»
Sabrina sospirò. «Si tratta di Yuri. Noi… siamo stati insieme la notte dopo aver scoperto la verità sul nostro passato.»
Naoko si appoggiò allo schienale. «Lo sospettavo. Quando siamo in gruppo, voi due vi comportate in modo strano.»
«Mi aspettavo una reazione violenta» ammise Sabrina.
«Perché?»
«Sara è la tua migliore amica…»
«Davvero?» domandò Naoko scettica. «Comunque, non approvo quello che hai fatto, ma sono fatti vostri. Se vorrai parlarne a Sara, dovrai farlo tu.
«Non ti capisco» rispose Sabrina. «Non mi hai mai sopportato, però sei qui a preoccuparti di scoprire se sono incinta. Perché lo fai?»
Naoko la guardò addolcendo la sua espressione. «Credo che l’Ordine ha fatto bene a punirci. Forse non eravamo tutti colpevoli nello stesso modo, ma sono convinta che se ci hanno fatto rinascere, è per imparare una lezione. Dobbiamo restare uniti. Non lo abbiamo fatto e guarda cosa è successo. Voglio evitare che ricapiti una tragedia e aiutarti è il primo passo per farlo.»
Sabrina rimase colpita e si sentì ancora più colpevole per i suoi giudizi affrettati. Si alzò facendo saltare per terra Scintilla, che miagolò infastidito, non gradendo affatto dover abbandonare la sua posizione. Afferrò il sacchetto sul tavolo e disse: «D’accordo. Togliamoci il pensiero. Farò il test.»
«Ti serve una mano?»
«Tranquilla» le rispose con un sorriso. «Credo di potercela fare da sola.»
Sabrina andò in bagno e si chiuse dentro.

Uscì qualche minuto dopo e trovò Naoko in salotto, a osservare le foto sparse sui mobili che la raffiguravano con una donna.
«È mia madre» spiegò, raggiungendola con lo stick per il test in mano. «Di solito a quest’ora si sta preparando per andare al lavoro. Fa il turno di sera come cameriera in un ristorante. Da quando le ho detto che ho… questo disturbo, si è fatta spostare il turno all’ora di pranzo per non lasciarmi sola di notte.»
Naoko si girò. «Non hai foto di tuo padre?»
«Non so chi sia mio padre. È scappato non appena ha saputo che mia madre era incinta.» Sabrina si sforzò di sorridere. «È buffo. Sembro destinata ha ripetere gli errori di un’altra vita e quelli di mia madre.»
«È presto per dirlo. Non ne siamo ancora sicure» rispose Naoko. «Quanto devi aspettare prima di vedere il risultato?»
«La confezione dice tra i dieci e i quindici minuti.»
Naoko girò ancora intorno alla stanza, poi Sabrina si sedette sul divano e lei fece altrettanto.
«Se fosse positivo, cosa farai?» le domandò. «Terrai il bambino?»
Sabrina allontanò lo sguardo dallo stick. «Io… penso di sì. Mia madre non si è sbarazzata di me, anche se ha dovuto crescermi da sola. È giusto che io faccia lo stesso.»
Naoko si accigliò. «Per te potrebbe essere più difficile. Tuo figlio, o figlia, potrebbe avere i nostri poteri.
«Ne sei sicura?»
«Diciamo che c’è il cinquanta per cento di probabilità. Noi siamo la reincarnazione di mezzo demoni e anche se non so come si applicano in questo caso le leggi della genetica, può darsi che possiamo tramandare le nostre capacità a una nuova generazione.» 
Sabrina rimase a rifletterci qualche secondo. Essere incinta era già spaventoso, ma partorire qualcuno che aveva i loro stessi poteri la fece rabbrividire. «Quindi c’è anche la possibilità che sia completamente umano, senza poteri.»
Naoko annuì. Poi fece una pausa prendendo in considerazione anche un’altra possibilità. «Oppure c’è il rischio che sia un demone completo.»
«Che cosa?»
«Te l’ho detto: non sono pratica di genetica. E il soprannaturale non è una scienza esatta. Ma se mi baso su quello che abbiamo studiato in scienze, da due genitori mezzo demone può nascere anche un essere che non possiede nessun tratto umano ed è un demone al cento per cento. Non sappiamo quale cromosoma dominante lo determini e non possiamo certo andare in ospedale per fare analisi approfondite.»
Sabrina riportò gli occhi sullo stick e le mani le gelarono.
Naoko non si avvicinò, ma chiese: «Qual è il responso?»
«È positivo» rispose con un fio di voce. «Sono incinta.»

 
Continua…