lunedì 9 dicembre 2013

Racconto - "Libero"

Paolo corse lungo la scalinata, raggiunse la porta della soffitta, l’aprì e si chiuse al suo interno.
Appoggiato con la schiena all’uscio, respirò lentamente. Strizzò gli occhi e ricacciò indietro il groppo che gli stringeva la gola. «Non piangerò» si disse. «Ho quindici anni, non sono più un bambino.»
I muri spessi, di cui erano ancora visibili alcune mattonelle, attutivano in parte le urla dei suoi genitori e degli zii che litigavano al piano di sotto. Ormai era diventata un’abitudine a ogni incontro tra parenti e il fatto che si fossero riuniti per festeggiare il Natale, non faceva alcuna differenza.
I dolci canditi e le luci appese un po’ dovunque nella villetta non erano bastati a trasmettere alla famiglia Ranieri lo spirito natalizio. Gli addobbi servivano a camuffare l’esterno, per dare una facciata di normalità a chiunque li osservasse di passaggio.
Paolo si scostò dall’ingresso, riusciva ancora a sentire le loro grida ovattate, si strinse nel maglione di cachemire azzurro, ma tremò comunque per il freddo che avvolgeva la stanza. Tastò la parete alla sua sinistra e spinse l’interruttore, illuminando elettricamente l’ambiente.
Le quattro pareti che la formavano non erano molto alte e il contatto immediato con il tetto rendeva più difficile al riscaldamento del piano inferiore di diffondersi. Avevano acceso anche il camino, ma in quella casa non c’era modo di immettere calore. Di nessun genere.
Il ragazzo avanzò nella soffitta, cercando qualcosa che lo distraesse. Appoggiate ai lati nord ed est, due vecchie librerie di legno di noce – che resisteva ancora nonostante gli anni e l’umidità – contenevano diversi generi di reliquie. Disposti a poca distanza l’uno dell’altro, i tre scaffali accoglievano i libri di quando Paolo e i suoi cugini Daniela e Antonio erano bambini. Accanto erano impilati i quaderni delle scuole elementari e medie: uno per ogni materia e tutti del primo e ultimo anno frequentato. Sua madre e sua zia avevano deciso di conservarli, considerandoli dei simpatici cimeli da mostrare ai futuri nipoti. E poi giochi e videocassette di cartoni animati erano accatastati alla rinfusa insieme a un mangianastri quasi inutilizzabile e poche musicassette di fiabe sonore.  
Paolo tornò con la mente agli anni in cui era bambino, durante quel periodo l’attesa dell’arrivo delle feste di Natale lo rendeva felice tanto quanto il giorno stesso. Seguiva tutte le tradizioni: a partire dall’aprire ogni mattina la casellina del calendario dell’Avvento, con il relativo cioccolatino da assaporare, fino allo scartare il primo regalo, posto sotto l’albero addobbato insieme ai genitori, dopo lo scoccare della mezzanotte della Vigilia. Con il passare del tempo però, aveva smesso di eseguirle e solo in quel momento si domandò cosa gli avesse fatto perdere quell’entusiasmo e quella gioia nel praticarle.
Sono cresciuto” pensò Paolo. La sentiva come una giustificazione debole, ma era vero. Crescendo, ai suoi occhi, il mondo aveva perso quella magia che sembrava avvolgerlo in quei giorni dell’anno e strappato il velo, rimaneva solo la verità con cui non si poteva scendere a patti.
Il litigio al piano inferiore non accennava a smettere e questo avvalorò ulteriormente la convinzione di Paolo che il Natale non possedesse più la vecchia magia. Abbandonò le librerie e si voltò verso il lungo tavolo rettangolare alle sue spalle. Lo usavano per le cene di famiglia, quando i commensali superavano i sette abituali. Molte delle persone che erano state solite sedersi attorno erano morte o si erano allontanate e così le cene erano diminuite, rendendo insopportabili quelle poche che venivano organizzate più per dovere che per piacere.
A testimonianza dell’uso ridotto e di conseguenza della poca cura, Paolo notò che i piedi del mobile avevano sfamato i tarli e piccoli forellini li attraversavano dal basso verso l’alto. Inoltre, la sua già precaria stabilità, era messa a dura prova da un esercito di scatoloni che ne riempivano la superficie.
Facendo scricchiolare le assi di legno del pavimento, Paolo si avvicinò e rabbrividendo, cercò al loro interno un indumento per coprirsi. Frugando, scoprì l’esistenza di oggetti che non aveva mai visto nell’abitazione: un vecchio candelabro arrugginito a sei braccia, piatti e bicchieri scheggiati e non appartenenti a un vero e proprio servizio, addirittura un vecchio album delle figurine dei calciatori datato 1983.
In fondo al secondo scatolone trovò una coperta di lana marrone in perfetto stato, l’afferrò e se l’avvolse intorno alle spalle. Camminò verso il centro dello stanzone, si sedette sul divano e sprofondò nei cuscini per colpa delle molle consumate. Lo osservò e si accorse che il suo rosso brillante aveva assunto un tono più spento, ma non c’erano altri segni di vecchiaia: l’apparenza tradiva gli anni che aveva trascorso in quella casa.
Distese le gambe e i suoi piedi si adagiarono sul largo tappeto che arrivava quasi fino alla parete che gli stava di fronte, dominata dall’ampia finestra. Era stato filato con cotoni che richiamavano le varie gradazioni di verde e nel lato destro era impressa una deforme macchia di panna, caduta in quello stesso giorno, pochi anni prima, da una fetta di panettone in mano a suo zio.
Sorridendo, Paolo avvertì anche la morsa della nostalgia serrargli la gola. Ci aveva fatto l’abitudine, ma ogni volta che accadeva, la consapevolezza che i ricordi facevano male diventava sempre più dolorosa. Mise in paragone il passato con il presente e gli sembrò che fossero passati secoli da quei giorni in cui era stato tanto spensierato. Le ore trascorse a ridere e chiacchierare durante il pranzo di Natale non sarebbero più tornate, anzi a ogni festeggiamento erano diminuite fino a sparire. E infatti in famiglia era come trovarsi in mezzo a degli estranei. Accettarlo gli fece mancare il fiato, quasi qualcuno gli premesse con violenza la testa sott’acqua.
Facendo scorrere lo sguardo in giro per l’ambiente per scacciare quei pensieri, Paolo vide che l’estremità del tappeto opposta a quella in cui si trovava era fermata da un pesante baule di metallo, rifinito in bronzo lungo gli angoli della base. Lo riconobbe: si trattava dello scrigno dei tesori che aveva diviso con Antonio e Daniela.
Si alzò dal divano e gli si inginocchiò davanti, poi armeggiò con il lucchetto allentato, fino a  far scattare la serratura. Lo spalancò e notò con sollievo che al suo interno c’era tutto quello che avevano rinchiuso. Il coniglio di pezza di Daniela con il braccio destro scucito, il  trenino elettrico con cui lui e Antonio avevano passato interi pomeriggi, il collare di Bri, il cucciolo dei vicini con cui tutti e tre avevano giocato. In fondo, sulla base della scatola, piegato ordinatamente trovò il suo asciugamano bordeaux.
Affondando le mani nel tessuto, il ricordo legato all’oggetto riaffiorò nella sua mente. Aveva sette anni e dopo aver visto il suo primo film sui super-eroi, se lo legava intorno al collo, con indosso una tuta blu, giocando a fare “Superman”.
Anche se avevano due e tre anni più di lui, Daniela e Antonio lo assecondavano sempre, assicurandosi che non si facesse del male, mentre ribadiva di stare salvando il mondo.
Con rammarico, Paolo constatò che essere in quella stanza vuota era l’ennesima riprova del cambiamento negativo delle loro vite. Stava cercando rifugio dalla piega che aveva preso la giornata e Daniela e Antonio non erano al suo fianco. Entrambi avevano abbandonato la casa prima ancora di arrivare al dolce, con la motivazione di vedere una ragazza o degli amici e lo avevano lasciato lì. Solo.
Le voci concitate che ancora risuonavano dal piano sottostante si scontrarono violentemente con la memoria dei tempi passati e Paolo si coprì le orecchie, facendo cadere a terra l’asciugamano e lasciando scivolare dalle spalle la coperta.
«Basta... basta...» sussurrò e senza più la forza di ingoiarle, lasciò scendere le lacrime sulle sue guance. Singhiozzò debolmente per pochi istanti e poi si fermò. Abbassò le braccia e si passò il dorso della mano destra sul volto per asciugarlo.
Alzò lo sguardo e vide il paesaggio al di là della finestra. Il cielo era blu e i fiocchi di neve lo imperlavano cadendo scomposti.
Da solo non poteva fermare quella lite di cui non ricordava nemmeno l’origine, ma non era nemmeno più costretto ad ascoltarla. Di certo nessuno degli adulti di sotto si sarebbe zittito, ma poteva sentirsi nuovamente libero.
Paolo raccolse l’asciugamano, lo strinse con un nodo sotto il collo, in modo che scendesse fino a metà schiena e si diresse verso l’ampia finestra. Fece scorrere il vetro e sentì il vento gelido schiaffeggiargli il volto.
Illuminato dalle luci gialle, rosse e verdi fissate sul bordo, salì sul davanzale.
Ripetendo lo stesso gesto che avrebbe voluto fare da bambino, aprì le braccia verso l’esterno e si lanciò  nel vuoto.
La neve lo accompagnò nel suo volo silenzioso.